martedì 12 gennaio 2010

I giovani e la professione più bella del mondo
Piccoli giornalisti crescono? 


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Provocazione. Oggi l’unica strada per diventare “giornalisti” famosi, sembra sia quella di non essere giornalisti… Pare, infatti, prevalere il modello “Le Iene” o “Striscia la notizia”. E in che cosa consiste? Nel mettere l’aggressività verbale al servizio dei diritti del cittadino. Ma non sempre, perché più spesso la si mette al servizio di un pettegolezzo “orientato”. E da chi? Dalla “notiziabilità” o meno di un fatto, stabilita dai grandi media. I quali decidono quando sia necessario dare spazio a personaggi come Corona e quando no… Sulle base, ovviamente, del colore delle braghe del padrone. Ma evitiamo la dietrologia. Un grande politologo francese, Maurice Duverger, una volta disse, che i media, era liberano da tutto, eccetto che dal denaro.
Ma allora cosa significa, oggi, essere (buoni) giornalisti? Che cosa conta veramente? Dal punto di vista “tecnico”, e sorvolando sulla natura del media in cui si eserciti l’attività, possono essere distinte due scuole: il Passion-Driven Journalism e il Market-Driven Journalism… Tradotto: la scuola del giornalismo impegnato civilmente, si pensi al “modello Saviano”, merce sempre più rara; e quella del giornalismo dedito alle banalità, oggi strabordante, spesso non svolto da professionisti. E dominato dalla commercializzazione della notizia. Si pensi al “modello Le Iene” .


Da alcuni dati Censis per agli anni Duemila, sui giovani dai venticinque ai trent’anni frequentanti scuole di giornalismo, emerge un fatto interessante (http://www.censis.it/277/280/339/430/453/3279/3289/content.asp): chi vuole abbracciare la professione è mosso nella maggioranza dei casi da “ragioni vocazionali”: il 63,2% . In questo senso, quello del giornalista, resta un mestiere che si fa per passione. Infatti la “scelta ragionata” riguarda solo il 24,1%. Tuttavia il 74,4% desidera ottenere dalla professione “soddisfazioni personali” Mentre il 56,9 è alla ricerca della “possibilità di svolgere un ruolo utile per la società” .
Quindi tra coloro che vogliono praticare giornalismo professionalmente due su tre aspirano “a sistemarsi” in modo soddisfacente, mentre un futuro giornalista su due vuole “ aiutare il prossimo”. Di qui probabilmente, una volta entrati in redazione la scelta di praticare la “via di mezzo”: un colpo cerchio (la carriera) e uno la botte (il prossimo).
Potremmo perciò parlare “tipologicamente” di un giornalista “postmoderno”, tra l’altro laureato e padrone delle nuove tecniche di comunicazione. Che, soprattutto nelle nuove generazioni ( i trentenni), proverà a volare alto con Saviano, per poi - magari non sempre - planare sul pettegolezzo o quasi: politico, economico, culturale eccetera.
Concludendo: grandi ideali, piccolo cabotaggio. Anche perché il settore è in crisi, soprattutto quello della carta stampata. E perciò primum vivere.

Carlo Gambescia

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