Evocazioni politiche
Prodi e la teoria del complotto
Nella ormai famigerata intervista al Pais, Prodi
ha dichiarato, più o meno, che contro di lui sarebbe in atto un complotto. Va
subito detto che Prodi non è il primo uomo politico italiano a evocare l’idea
di forze oscure “in agguato”. Berlusconi, a suo tempo, aveva parlato, di
complotto comunista. Ma anche in Francia, a cicli alterni, si torna a parlare
parla di complotto lepenista, fascista e nazista. In Spagna, la Chiesa è sospettata di
chissà quali trame antiZapatero. Mentre i cattolici spagnoli, reputano il premier
socialista una marionetta nelle mani della massoneria “eterna”. Anche negli
Stati Uniti non si scherza: Bush vede complotti ovunque. Per contro, i suoi
avversari, non esitano a definirlo un complice segreto di misteriosi gruppi
semiti, volti alla conquista del mondo. Va poi ricordato il rumore
politico-editoriale suscitato dal Codice da Vinci: il libro e il film
hanno suscitato, trasversalmente, nei diversi schieramenti (pro e contro il
mystic-thriller di Brown), teorie complottiste, una più tendenziosa, e
diciamolo pure, demenziale, dell’altra.
Come mai una società ufficialmente democratica, illuminata e razionale, come quella occidentale, usa la “teoria del complotto”come normale strumento comunicativo? In parole povere, quanto di più irrazionale, almeno in apparenza, si possa pescare nel buco nero della psiche collettiva…
Le spiegazioni possono essere tre, e in certo senso complementari.
In primo luogo, l’idea di complotto, in quanto compiuta o totale (nel senso che la sua vaghezza la rende inconfutabile) colpisce l’immaginazione collettiva perché indica il nemico ( i comunisti, i fascisti, i massoni, eccetera). E’ un esempio classico di idea-forza. Che accresce la coesione intorno alla persona (o al gruppo sociale) vittima del presunto complotto. E per contro rafforza pure la compattezza di coloro che ne siano eventualmente ritenuti autori. La teoria del complotto è conflittuale per eccellenza: unisce e divide a un tempo. E’ un’ arma, spesso micidiale, come mostra la sanguinosa storia del Novecento.
In secondo luogo, l’idea di complotto, ha una funzione socialmente esplicativa: rende chiaro quel che a prima vista appare incomprensibile e rassicura, scoprendo le eventuali colpe. Basti ricordare che le interpretazioni complottistiche della rivoluzione francese, furono dovute al fatto che molti monarchici continuarono per anni a ritenere inaudito il crollo improvviso di un antico regno europeo: non credevano ai loro occhi. Cosicché l’attribuzione della caduta alle trame massoniche svolse una funzione esplicativa e, tutto sommato, di rassicurazione emotiva e politica nei riguardi del mondo aristocratico. Che poteva auto-assolversi e così puntare sul suo riscatto sociale e storico. Si tratta di un approccio ricorrente che si ritrova anche in altre rivoluzioni.
In terzo luogo, l’evocazione del complotto ha un “sottofondo” animistico, diremmo antropologico. L’uomo, soprattutto quello collettivo, ha un “bisogno”, quasi fisiologico, di credere che dietro ogni fenomeno sociale vi sia un principio superiore che spiega, giustifica e protegge. L’idea che un re sia tale, per ragioni di diritto divino, fa il paio con quella che un complotto sia tale, per ragioni di “provvidenzialismo” sociale. Il punto è che sia l’esistenza del diritto divino sia di un grande vecchio, appagano lo stesso bisogno antropologico di veder confermata l’idea che dietro gli eventi sociali vi sia sempre qualcuno che imprime una direzione. Insomma, che il nostro mondo (grande o piccolo che sia, dalle capanne africane ai grattacieli newyorkesi) abbia comunque senso compiuto: un ordine.
Ora, può sembrare esagerato, ricorrere a un’analisi così complicata, per spiegare il comportamento politico di Prodi. Ma si rifletta un momento. Dichiarando di essere vittima di un complotto, Prodi ha colpito l’immaginazione del “popolo di sinistra”, indicando un nemico (che può essere facilmente ricondotto agli ambienti economici, politici e giornalistici del centrodestra); ha offerto una spiegazione rassicurante al suo elettorato, che in precedenza non riusciva a capire l’impasse del centrosinistra; ha dato, infine, una riposta al bisogno animistico, non solo dell’elettore di sinistra, ma dell’uomo che vi è sotto, affamato come ogni altro essere umano di significati
Il che vuol dire, ma questa è un’osservazione generale, che l’uomo ( anche politico) è antico, anzi, diremmo eterno.
Come mai una società ufficialmente democratica, illuminata e razionale, come quella occidentale, usa la “teoria del complotto”come normale strumento comunicativo? In parole povere, quanto di più irrazionale, almeno in apparenza, si possa pescare nel buco nero della psiche collettiva…
Le spiegazioni possono essere tre, e in certo senso complementari.
In primo luogo, l’idea di complotto, in quanto compiuta o totale (nel senso che la sua vaghezza la rende inconfutabile) colpisce l’immaginazione collettiva perché indica il nemico ( i comunisti, i fascisti, i massoni, eccetera). E’ un esempio classico di idea-forza. Che accresce la coesione intorno alla persona (o al gruppo sociale) vittima del presunto complotto. E per contro rafforza pure la compattezza di coloro che ne siano eventualmente ritenuti autori. La teoria del complotto è conflittuale per eccellenza: unisce e divide a un tempo. E’ un’ arma, spesso micidiale, come mostra la sanguinosa storia del Novecento.
In secondo luogo, l’idea di complotto, ha una funzione socialmente esplicativa: rende chiaro quel che a prima vista appare incomprensibile e rassicura, scoprendo le eventuali colpe. Basti ricordare che le interpretazioni complottistiche della rivoluzione francese, furono dovute al fatto che molti monarchici continuarono per anni a ritenere inaudito il crollo improvviso di un antico regno europeo: non credevano ai loro occhi. Cosicché l’attribuzione della caduta alle trame massoniche svolse una funzione esplicativa e, tutto sommato, di rassicurazione emotiva e politica nei riguardi del mondo aristocratico. Che poteva auto-assolversi e così puntare sul suo riscatto sociale e storico. Si tratta di un approccio ricorrente che si ritrova anche in altre rivoluzioni.
In terzo luogo, l’evocazione del complotto ha un “sottofondo” animistico, diremmo antropologico. L’uomo, soprattutto quello collettivo, ha un “bisogno”, quasi fisiologico, di credere che dietro ogni fenomeno sociale vi sia un principio superiore che spiega, giustifica e protegge. L’idea che un re sia tale, per ragioni di diritto divino, fa il paio con quella che un complotto sia tale, per ragioni di “provvidenzialismo” sociale. Il punto è che sia l’esistenza del diritto divino sia di un grande vecchio, appagano lo stesso bisogno antropologico di veder confermata l’idea che dietro gli eventi sociali vi sia sempre qualcuno che imprime una direzione. Insomma, che il nostro mondo (grande o piccolo che sia, dalle capanne africane ai grattacieli newyorkesi) abbia comunque senso compiuto: un ordine.
Ora, può sembrare esagerato, ricorrere a un’analisi così complicata, per spiegare il comportamento politico di Prodi. Ma si rifletta un momento. Dichiarando di essere vittima di un complotto, Prodi ha colpito l’immaginazione del “popolo di sinistra”, indicando un nemico (che può essere facilmente ricondotto agli ambienti economici, politici e giornalistici del centrodestra); ha offerto una spiegazione rassicurante al suo elettorato, che in precedenza non riusciva a capire l’impasse del centrosinistra; ha dato, infine, una riposta al bisogno animistico, non solo dell’elettore di sinistra, ma dell’uomo che vi è sotto, affamato come ogni altro essere umano di significati
Il che vuol dire, ma questa è un’osservazione generale, che l’uomo ( anche politico) è antico, anzi, diremmo eterno.
Carlo Gambescia
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