martedì 17 ottobre 2006





Fusione San Paolo-Intesa
Lo strano caso del professor Bazoli




Leggere la lunga intervista a Giovanni Bazoli, pubblicata domenica 15 ottobre sul Corriere della sera può essere difficile e noioso, soprattutto per i non addetti ai lavori. Ma ne varrebbe la pena. Esortiamo perciò i nostri lettori a visitare il sito del Corriere per leggerla con attenzione (www.corriere.it). Per quale motivo? Perché l’intervista è un concentrato di luoghi comuni, contraddizioni e mezze verità. E perciò la dice lunga su come i guru dell’economia (Bazoli è anche professore), con un posto in prima fila nella stanza dei bottoni, si divertano a rimescolare le carte, se non a truccarle (verbalmente si intende), pur di vincere, o comunque di mostrare quanto amino il popolo e il bene pubblico…
Ci limiteremo a indicare solo alcuni punti.
Punto primo. Bazoli, pur di giustificare futuri tagli e licenziamenti, cita Galbraith. Testuale: “Nella sua diagnosi critica e impietosa del capitalismo Galbraith osserva che spesso le ristrutturazioni e le integrazioni hanno più successo se maggiori sono i sacrifici imposti ai dipendenti; e i piani per il futuro sono più accreditati se si basano sui tagli piuttosto che su i ricavi”. La citazione è chiaramente strumentale, perché Bazoli non aggiunge che Galbraith ha sempre condannato le politiche monetariste ( i tagli di cui sopra). E apprezzato l’intervento pubblico in favore dell’occupazione e dello sviluppo. Bazoli manipola Galbraith. Per fare un esempio: è come dire a un gruppo di persone ignare della storia del Terzo Reich, che Hitler amava i bambini, senza aggiungere quel che è successo dopo…
Punto secondo. Bazoli definisce la fusione San Paolo-Intesa come la nascita di “un grande supporto al sistema industriale, economico e anche politico”. Nella politica, aggiunge, “ c’è (…) lo spazio per la programmazione e la predisposizione degli strumenti necessari alla crescita civile ed economica”. Chiacchiere. Di programmazione economica non si parla più da almeno trent’anni. Oggi mancano perfino gli strumenti (il CIPE è defunto da un pezzo) e soprattutto la volontà politica. In realtà un' autentica programmazione creditizia, rivolta al bene comune, avrebbe vietato, o comunque contrastato la nascita di un “mostro” come quello sorto dalla fusione San Paolo-Intesa. Una specie di Stato (economico) nello Stato (politico).
Punto terzo. Bazoli mette sullo stesso piano l’unità politica, mostrata dai partiti, all’epoca della lotta contro il terrorismo, e l’unità politica, che, sempre i partiti, dovrebbero mostrare oggi nella lotta per costruire una grande economia di mercato, licenziando e tagliando posti di lavoro… Insomma, si capisce che per Bazoli i nuovi terroristi sono coloro che non vogliono perdere il posto di lavoro… L' accostamento, a dir poco, è fuorviante: la battaglia contro il terrorismo fu sacrosanta e condivisa da tutti gli italiani democratici. Quella per il “mercato” è condivisa solo da Bazoli e da chi si trova nelle sue condizioni privilegiate.
E poi, per dirla tutta: ma l’economia di mercato, così difesa da Bazoli, non condannava, in linea di principio, megafusioni e concentrazioni economiche?
I conti non tornano. O probabilmente, tornano solo per Bazoli

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