Profili/37
Reinhold Niebuhr
Reinhold Niebuhr (1892-1971) è una figura singolare e
interessante. Nel pensiero di Niebuhr, pastore protestante, teologo e filosofo
sociale, l’essere cristiani implica sempre un conflitto tra l’uomo
religiosamente motivato e le strutture economiche, sociali e politiche: tra
“uomo morale e società immorale”, come recita il titolo di un suo libro.
Tuttavia per Niebuhr prendere atto di questo conflitto non significa, come
vedremo, sposare la causa dell’utopismo sociale. In questo senso, il suo
realismo sociale, rappresenta ancora oggi un ottimo antidoto a ogni forma di
pericoloso romanticismo politico.
Reinhold Niebuhr nasce nel 1892
a Wright City, nel Missouri, da una famiglia di immigrati
tedeschi. Il padre è un pastore luterano. Fin da adolescente manifesta il suo
desiderio di abbracciare la vita religiosa. Studia teologia all’Eden
Theological Seminary . E dopo aver conseguito nel 1913 il diploma in teologia
(B.A.) prosegue gli studi presso la Yale University , dove nel 1915 si laurea (M.A.).
Pur essendo portato per la ricerca pura, preferisce accettare l’incarico di
pastore a Detroit presso la Bethel Evangelical Church (1915-1928). Viene così
a contatto con le durezza della vita operaia, scoprendo bruscamente i limiti
del capitalismo . Nel 1928 accetta di insegnare Etica cristiana all’Union
Theological Seminary di New York. Inizia a svolgere attività politica, dopo
essersi impegnato negli anni precedenti in un’intensa attività pubblicistica.
Negli anni Trenta fonda il “Movimento dei cristiani socialisti”. Ma guarda con
simpatia, nonostante alcune perplessità iniziali, anche al New Deal. E, a poco
a poco, si allontana dal socialismo “rivoluzionario”. Nel 1941 diviene
presidente nazionale dell’Unione di azione democratica, movimento vicino al
Partito democratico, partito con il quale inizia a collaborare, ricoprendo
incarichi di prestigio e responsabilità. Nel 1952, la salute malferma, lo
costringe a sospendere gli impegni politici, pur continuando a insegnare e
scrivere. In questo periodo riceve riconoscimenti prestigiosi da parte di
università americane e straniere. Muore nel 1971. Non potendo qui occuparci del
teologo, per ragioni di preparazione personale, ci limiteremo a evidenziare un solo
punto del suo pensiero, ma di grande interesse sociologico.
Niebuhr pone un problema fondamentale: l’uomo va educato alla libertà? E, se sì, quale può essere il ruolo del potere in questo processo?
A questa domanda Niebuhr risponde negativamente. A suo avviso il potere va suddiviso e imbrigliato: perché ogni forma di costrizione, che non provenga dal basso, e magari anche a“fin di bene” (come la stessa educazione "obbligatoria" alla “libertà” teorizzata dai liberali) rischia di avere implicazioni totalitarie.
Per quale ragione?
Perché l’educazione dall’alto, può dare frutti solo se riguarda l’individuo preso singolarmente. Mentre non ne può dare, se concerne il rapporto tra individuo e gruppi sociali (in particolare quelli economici e politici). Perché si tratta di un rapporto segnato, soprattutto nella società moderna, da una evidente sproporzione delle forze in campo. Perciò un individuo può anche essere “educato” alla libertà, ma, ad esempio, una volta “immesso nel circuito produttivo” scopre , e subisce, "differenze sociali", spesso ingiustificabili. E così finisce regolarmente per restare prigioniero di un enorme squilibrio di potere (come nella Detroit degli anni Venti, vennero trovarsi i singoli operai, privi di rappresentanze collettive sindacali). E magari vittima di pulsioni anarcoidi e distruttive. Pertanto il problema concerne la distribuzione del potere del sociale. Prima dell’educazione, che comunque è importante, viene l'equa divisione del potere politico ed economico , affinché anche gli individui socialmente deboli possano finalmente essere "giustamente" rappresentati da un gruppo sociale specifico e dotato di sufficiente (e dunque non invasivo...) potere contrattuale. Secondo Niebuhr, le società non si reggono sull’amore o sul puro altruismo individuale, ma dipendono principalmente dalla giusta (non perfetta…) distribuzione del potere sociale: scopo che si può conseguire puntando sulla sussidiarietà e sulla rappresentanza contrattata degli interessi. Per dirla con una formula: se la società è immorale (perché il potere è gestito da ristrette oligarchie) anche l’uomo morale è destinato, prima o poi, a divenire immorale (perché comunque, pena l’isolamento totale o la morte per inedia, sarà in qualche modo costretto a servire le élite del potere…). Di qui la necessità di una riforma in senso pluralistico e democratico della società moderna. Senza però esagerare… Perché Niebuhr ritiene che “compito dell’uomo per alcuni secoli a venire non sarà quell[o] di creare una società ideale in cui siano spontaneamente pace e giustizia perfette per tutti, ma una società in cui ci sia abbastanza giustizia, e in cui la coercizione sia sufficientemente non-violenta da impedire che il suo ordinario impiego porti al completo disastro”(Reinhold Niebuhr, Moral Man and Immoral Society. A Study in Ethics and Politics, 1932, trad. it. Jaca Book, Milano 1968, pp. 23-24; volume esauritissimo in Italia) .
Niebuhr ha scritto una trentina di libri e diverse centinaia di articoli. Tra le sue opere principali, oltre al saggio sopra citato, ricordiamo: Does Civilization Need Religion? A Study in the Social Resources and Limitations of Religion in Modern Life (The Macmillan Co., New York 1927), Reflections on the End of Era (Scribner’s, New York 1934), Christianity and Power Politics (Scribner’s, New York 1940), The Nature and the Destiny of Man ( Scribner’s, New York 1941-1943, 2 voll.), Faith and History. A Comparison of Christian and Modern Views of History, Scribner’s,New York
1949, trad. it. il Mulino, Bologna 1966), Christian
realism and Political Problems (Scribner’s, New York 1953), Intellectual
Autobiography of Reinhold Niebuhr (1956, trad. it. a cura di Massimo
Rubboli, Queriniana, Brescia
1977 - www.queriniana.it ), The Structures
of Nations and Empires (Scribner’s, New York 1959), Man’s
Nature and His Communities (Scribner’s, New York 1959). In italiano si veda in particolare l’antologia a cura di
Elisa Buzzi, Reinhold Niebuhr, Il destino e la storia,
Rizzoli, Milano 1999 (“i libri dello spirito cristiano"- www.rcsmediagroups.it), nonché Giovanni
Dessì, Niebuhr. Antropologia cristiana e democrazia, Edizioni
Studium, Roma 1993 ( www.edizionistudium.it);
Massimo Rubboli, Politica religione negli USA. Reinhold Niebuhr e il suo
tempo, Angeli, Milano 1986 ( www.francoangeli.it)
.
Niebuhr pone un problema fondamentale: l’uomo va educato alla libertà? E, se sì, quale può essere il ruolo del potere in questo processo?
A questa domanda Niebuhr risponde negativamente. A suo avviso il potere va suddiviso e imbrigliato: perché ogni forma di costrizione, che non provenga dal basso, e magari anche a“fin di bene” (come la stessa educazione "obbligatoria" alla “libertà” teorizzata dai liberali) rischia di avere implicazioni totalitarie.
Per quale ragione?
Perché l’educazione dall’alto, può dare frutti solo se riguarda l’individuo preso singolarmente. Mentre non ne può dare, se concerne il rapporto tra individuo e gruppi sociali (in particolare quelli economici e politici). Perché si tratta di un rapporto segnato, soprattutto nella società moderna, da una evidente sproporzione delle forze in campo. Perciò un individuo può anche essere “educato” alla libertà, ma, ad esempio, una volta “immesso nel circuito produttivo” scopre , e subisce, "differenze sociali", spesso ingiustificabili. E così finisce regolarmente per restare prigioniero di un enorme squilibrio di potere (come nella Detroit degli anni Venti, vennero trovarsi i singoli operai, privi di rappresentanze collettive sindacali). E magari vittima di pulsioni anarcoidi e distruttive. Pertanto il problema concerne la distribuzione del potere del sociale. Prima dell’educazione, che comunque è importante, viene l'equa divisione del potere politico ed economico , affinché anche gli individui socialmente deboli possano finalmente essere "giustamente" rappresentati da un gruppo sociale specifico e dotato di sufficiente (e dunque non invasivo...) potere contrattuale. Secondo Niebuhr, le società non si reggono sull’amore o sul puro altruismo individuale, ma dipendono principalmente dalla giusta (non perfetta…) distribuzione del potere sociale: scopo che si può conseguire puntando sulla sussidiarietà e sulla rappresentanza contrattata degli interessi. Per dirla con una formula: se la società è immorale (perché il potere è gestito da ristrette oligarchie) anche l’uomo morale è destinato, prima o poi, a divenire immorale (perché comunque, pena l’isolamento totale o la morte per inedia, sarà in qualche modo costretto a servire le élite del potere…). Di qui la necessità di una riforma in senso pluralistico e democratico della società moderna. Senza però esagerare… Perché Niebuhr ritiene che “compito dell’uomo per alcuni secoli a venire non sarà quell[o] di creare una società ideale in cui siano spontaneamente pace e giustizia perfette per tutti, ma una società in cui ci sia abbastanza giustizia, e in cui la coercizione sia sufficientemente non-violenta da impedire che il suo ordinario impiego porti al completo disastro”(Reinhold Niebuhr, Moral Man and Immoral Society. A Study in Ethics and Politics, 1932, trad. it. Jaca Book, Milano 1968, pp. 23-24; volume esauritissimo in Italia) .
Niebuhr ha scritto una trentina di libri e diverse centinaia di articoli. Tra le sue opere principali, oltre al saggio sopra citato, ricordiamo: Does Civilization Need Religion? A Study in the Social Resources and Limitations of Religion in Modern Life (The Macmillan Co., New York 1927), Reflections on the End of Era (Scribner’s, New York 1934), Christianity and Power Politics (Scribner’s, New York 1940), The Nature and the Destiny of Man ( Scribner’s, New York 1941-1943, 2 voll.), Faith and History. A Comparison of Christian and Modern Views of History, Scribner’s,
Carlo Gambescia
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