Tradizione. I pericoli della "tuttologia"
Perché Claudio Magris
parla di cose che non conosce?
parla di cose che non conosce?
Il lungo editoriale di Magris sul Corriere della Sera
di ieri (Dio, fede e confusione: La Chiesa , la Tradizione
i teocon) è un ottimo esempio di confusa tuttologia. Magris, che come noto
è di formazione uno studioso di letteratura tedesca, da qualche anno in qua,
scrive su e di tutto. Con risultati alterni, e spesso non proprio esaltanti.
Ovviamente, poiché viene considerato un mostro sacro del Gotha intellettuale,
nessuno osa contraddirlo o criticarlo.
La tesi dell’articolo è tutto sommato semplice, se non semplicistica: teocon e
“atei devoti” non avrebbero nulla a che fare con il tradizionalismo cristiano e
cattolico per due motivi. In primo luogo, perché non sanno nulla della
tradizione cristiana e cattolica. In secondo luogo, perché il loro uso della
religione, è strumentale e politicizzato: ad usum delphini.
Si tratta sostanzialmente, di due affermazioni che potrebbero anche essere accettate, o comunque discusse. Nulla di particolarmente originale … Quel che invece non convince assolutamente è l’idea di tradizione cristiana e cattolica, proposta da Magris. E spieghiamo perché.
Magris parte da una definizione di “Tradizione cattolica” (scritta con l’iniziale maiuscola) ripresa da Rodolfo Quadrelli (altro letterato, certo bravissimo, ma letterato). Vediamo come ne riassume il pensiero: “La Tradizione , egli diceva
[Quadrelli], è la creatività spirituale della Chiesa che non perde mai la sua
freschezza sorgiva e la sua vitalità, bensì si accresce di continuo, senza
rinnegare nulla del passato, ma aprendosi al presente e al futuro e rispondendo
alle sempre nuove esigenze della storia dell’uomo, inserendole e integrandole
nella sua unità e nella sua continuità. Il tradizionalista che si ferma al
passato nega e offende la
Chiesa e la sua cattolicità ovvero universalità, perché la
considera di fatto una morta reliquia”.
Per non allargare troppo il discorso, si evita di discutere la cattiva interpretazione che Magris traccia del pensiero di Quadrelli. Ci interessa qui il punto sociologico ( e non teologico) dell'argomentazione di Magris.
Ora, ogni tradizione, si distingue per un’ adesione (nei vari gruppi sociali), a un nucleo di principi fondamentali, dettata da differenti livelli di consapevolezza e comportamento: per fede, ragionamento, o addirittura per mimetismo collettivo. I principi-base (valori e norme) possono essere articolati, più o meno bene, nel corso della normale dialettica sociale tra idee e istituzioni. Ora però, una tradizione è tale fin quando rimane fedele ai suoi principi di fondo. Sorokin parlava di major premise (premessa maggiore). E la sua longevità e congruità sociologica è assicurata dalla capacità di influire, attraverso tali principi, sulle istituzioni sociali. Per contro, quando sono le istituzioni sociali (che poi riflettono sempre valori di altre tradizioni emergenti o contrastanti), a influire sulla tradizione, come dire, “principale”, trasformandola, ci si trova davanti a qualcosa di completamente differente. Che non ha nulla a che vedere con la tradizione, così come si qualifica, di regola, all'inizio del processo sociale.
Si tratta di una costante sociologica che non riguarda solo la tradizione cattolica e i suoi gruppi sociali, ma ogni altra tradizione (politica, culturale, filosofica, economica, eccetera): quando arriva il momento del sincretismo, piaccia o meno, una tradizione è finita. Insomma, una tradizione è viva finché plasma le istituzioni, e, soprattutto, non ne viene, a sua volta, plasmata.
Scomodare come fa Magris una generica creatività spirituale, oppure categorie storicistiche, tipicamente "moderne", come quelle di presente, passato e futuro ( ma il discorso vale anche per chi di solito ricorre a categorie “premoderne”…), significa solo fare confusione. O, se si preferisce, della tuttologia, magari elegante, ma appunto priva di qualsiasi valore conoscitivo. E soprattutto sociologico.
Una tradizione è tale perché è nel mondo senza essere del mondo. Plasma e non si lascia plasmare. Tutto il resto è poesia o letteratura….
Si tratta sostanzialmente, di due affermazioni che potrebbero anche essere accettate, o comunque discusse. Nulla di particolarmente originale … Quel che invece non convince assolutamente è l’idea di tradizione cristiana e cattolica, proposta da Magris. E spieghiamo perché.
Magris parte da una definizione di “Tradizione cattolica” (scritta con l’iniziale maiuscola) ripresa da Rodolfo Quadrelli (altro letterato, certo bravissimo, ma letterato). Vediamo come ne riassume il pensiero: “
Per non allargare troppo il discorso, si evita di discutere la cattiva interpretazione che Magris traccia del pensiero di Quadrelli. Ci interessa qui il punto sociologico ( e non teologico) dell'argomentazione di Magris.
Ora, ogni tradizione, si distingue per un’ adesione (nei vari gruppi sociali), a un nucleo di principi fondamentali, dettata da differenti livelli di consapevolezza e comportamento: per fede, ragionamento, o addirittura per mimetismo collettivo. I principi-base (valori e norme) possono essere articolati, più o meno bene, nel corso della normale dialettica sociale tra idee e istituzioni. Ora però, una tradizione è tale fin quando rimane fedele ai suoi principi di fondo. Sorokin parlava di major premise (premessa maggiore). E la sua longevità e congruità sociologica è assicurata dalla capacità di influire, attraverso tali principi, sulle istituzioni sociali. Per contro, quando sono le istituzioni sociali (che poi riflettono sempre valori di altre tradizioni emergenti o contrastanti), a influire sulla tradizione, come dire, “principale”, trasformandola, ci si trova davanti a qualcosa di completamente differente. Che non ha nulla a che vedere con la tradizione, così come si qualifica, di regola, all'inizio del processo sociale.
Si tratta di una costante sociologica che non riguarda solo la tradizione cattolica e i suoi gruppi sociali, ma ogni altra tradizione (politica, culturale, filosofica, economica, eccetera): quando arriva il momento del sincretismo, piaccia o meno, una tradizione è finita. Insomma, una tradizione è viva finché plasma le istituzioni, e, soprattutto, non ne viene, a sua volta, plasmata.
Scomodare come fa Magris una generica creatività spirituale, oppure categorie storicistiche, tipicamente "moderne", come quelle di presente, passato e futuro ( ma il discorso vale anche per chi di solito ricorre a categorie “premoderne”…), significa solo fare confusione. O, se si preferisce, della tuttologia, magari elegante, ma appunto priva di qualsiasi valore conoscitivo. E soprattutto sociologico.
Una tradizione è tale perché è nel mondo senza essere del mondo. Plasma e non si lascia plasmare. Tutto il resto è poesia o letteratura….
Carlo Gambescia