La storia del “DOGE” (Department of Government Efficiency) annunciato da Trump, con al comando Elon Musk e Vivek Ramaswamy ( un uomo d’affari repubblicano di provata fede trumpiana), va subito chiarita perché non si tratta assolutamente di una scelta liberale né liberista.
I principali think tank italiani, o “serbatoi di pensiero”, che si qualificano liberali, dovrebbero subito smontare mattone per mattone una misura che in realtà è di tipo statalista. In pratica si annuncia di voler istituire un altro Dipartimento. Quindi siamo davanti a un atto di natura politica all’insegna del trumpiano L’ État c’est mois. Altro che la neutralità politica predicata dal pensiero liberale.
Scrive Trump che il compito del nuovo Dipartimento per l’Efficienza Governativa è quello di “aprire la strada alla mia amministrazione per smantellare la burocrazia federale, sforbiciare le regole in eccesso, tagliare gli sprechi e ristrutturare le agenzie federali”.
Il punto è che una politica liberale non consiste nel moltiplicare i controllori dei controllati, ma più semplicemente nel ridurre il numero dei controllati. Se B controlla C, il problema non si risolve introducendo A perché impedisca a B di controllare C. Ma si elimina semplicemente B.
Il primo liberale (inconsapevole) della storia fu il filosofo francescano Guglielmo di Occam, che con il suo cosiddetto rasoio, consigliò vivamente ai suoi interlocutori, di non moltiplicare, sul piano ragionamento, gli enti non necessari: “Non sunt moltiplicanda entia sine necessitat”. Il succo del suo discorso valido, per ogni ambito e tempo, è di non fare inutilmente con molte cose ciò che si può fare con poche.
Concetto estraneo a Trump. Altrimenti avrebbe rinunciato al DOGE. Frutto invece di una scelta che risponde al criterio politico della minaccia. Per tenere al guinzaglio l’ammnistrazione si impone la moltiplicazione dei controlli. E ci si guarda ben dal ridurre i controlli e conseguenti spese per foraggiare i controlli. Spese, che al di là del valore economico (alto o basso che sia), rinviano alla sconsacrazione di un importante questione di principio: che si fa con molto ciò che si potrebbe fare con poco. Si ignora la lezione di Occam.
Il Presidente vuole imporre la propria volontà politica incutendo il timore di un imminente danno o pericolo che consiste nella soppressione di un ente governativo e nel licenziamento dei suoi membri, se non si obbedirà al nuovo corso. Il che implica che l’alito fedito del governo federale appesterà l’aria più di prima. Altro che fare di nuovo grande l’America… Solo prove tecniche di Big Government
Per semplificare il concetto: il liberista elimina i controlli, lo statalista travestito da liberista li accresce. Si inventa come Trump nuovi dipartimenti. Detto alla buona: nuovi megaministeri.
Del resto Trump – altro errore di alcuni osservatori – non è liberale, perché odia giudici, leggi e minoranze, né liberista, perché, oltre ad essere un protezionista, ai normali controlli istituzionali, politici ne vuole sovrapporre un altro, di tipo iperpolitico, sociologicamente fondato sulla richiesta, più o meno esplicita, di un atto di sottomissione al nuovo ordine, pena il licenziamento.
Al cosiddetto Spoils system, una pratica che risale ai tempi di Jackson e che consiste nella tacita regola che gli alti dirigenti della pubblica amministrazione cambiano con il cambiare del governo, Trump sovrappone la Spada di Damocle del dipartimento che controlla tutti gli altri dipartimenti. Una specie di Superministero , di cui ancora non si conoscono regole e prassi, con incarico alla minaccia: o paghi il pizzo politico o sei fuori. Roba da racket. Altro che stato minimo…
La retorica trumpiana sui troppi freni rimanda non tanto ai freni economici quanto ai politici. Trump vuole tutto il potere per sé. Ragiona come Tony Soprano. Il che non è esattamente in sintonia con il principio liberale della separazione o divisione dei poteri. E neppure con quello dello sbandieratissimo Law and Order, che invece vale solo per i migranti…
Trump si comporta da monopolista del potere, da accentratore dell’offerta politica. La natura del DOGE prima che economica è politica.
Sono cose che vanno chiarite e divulgate, come dicevamo, dai principali centri di ricerca liberali. Proprio per evitare equivoci.
Carlo Gambescia
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