Verso Trump resta singolare l’atteggiamento della stampa italiana, che, a dire il vero, non riesce tuttora a “capire” gli Stati Uniti. Anzi, per dire meglio, non comprendendo, preferisce “accodarsi”, nel bene come nel male.
In Italia si parla di Trump (la destra neo missina-leghista in verità lo adora), come di un politico, appena un poco sopra le righe. La stessa sinistra non è ancora riuscita a prendere le giuste misure al magnate. Anche perché Biden non convince del tutto il binomio dorato “Stampa-Repubblica”. Insomma, si registra un senso di smarrimento.
Però su Trump esita anche la stampa statunitense. Si scrive e si parla di lui, come se fosse andato perduto il gravissimo senso politico di ciò che tentò di fare il 6 gennaio del 2021. Quando, caso forse unico nella storia americana, Trump puntò apertamente sul colpo di stato, invitando il suo elettorato a marciare in massa su Washington per fare pressione sulle istituzioni. Una cosa inaudita per ogni liberal-democratico e sopratutto lesiva dei principi costituzionali, non solo statunitensi. Perché si violava, ricorrendo alla forza, un accordo, prima morale che politico, sulle regole.
Perciò, passi, per così dire, per gli Stati Uniti (che pure hanno conosciuto gli orrori della guerra civile), ma in Italia, il paese che ha inventato la “Marcia su Roma” (modello anche per Hitler), nessuno dovrebbe nutrire più dubbi sulla natura politicamente devastante di Trump per le istituzioni liberali.
E invece, qui da noi, lo si considera quasi un candidato normale. E si riferisce sui conflitti (pochi in verità) all’interno del Partito Repubblicano come di una cosa altrettanto normale.
Probabilmente alla base dell’atteggiamento dell’establishment americano c’è un senso di vergogna politica che invita “a rimuovere” ciò che è accaduto nel gennaio di due anni fa.
Ci si chiede ancora, senza trovare la spiegazione, perché una democrazia consolidata come quella statunitense si sia trovata invischiata in un pericolosa situazione di tipo sudamericano.
Purtroppo stupore e vergogna non aiutano a capire, correggere intervenire. Trump andava subito processato per alto tradimento e per così dire tolto di mezzo. E invece si è lasciato che si trasformasse in una mina vagante per la democrazia americana e per l’Occidente. Perché, solo per dirne una , con Trump, insediato a Washington, al Cremlino i brindisi rischiano di sprecarsi.
Si è esitato. Forse si temeva di farne un eroe agli occhi dei suoi elettori. Oppure si pensava – cosa veramente improbabile – di recuperarlo alla democrazia liberale.
Ora, con grave ritardo, si sta cercando di aggredirlo fiscalmente, come con i grandi protagonisti della mafia. Una specie di ipocrita scorciatoia che non favorisce la chiarezza politica né il riguardo verso quelle istituzioni rappresentative, orgoglio americano, che funzionano, e anche abbastanza bene, da quasi due secoli e mezzo.
Pertanto, lo smarrimento italiano dinanzi a Trump rispecchia lo smarrimento americano. Come dicevamo gli Stati Uniti, nel bene e nel male, soprattutto da un secolo a questa parte, influenzano (il famoso “soft power”) idee e comportamenti politici in tutto il mondo. E in particolare in Occidente.
Quindi – piaccia o meno – siamo tutti “influenzati”. Certo, quanto ora sta accadendo, vede un Partito Democratico, desideroso di ricandidare Biden, nonostante l’inadeguatezza del personaggio.
Perciò se Trump dovesse confermarsi come sfidante, potrebbe avere non poche possibilità di vittoria. Certo, è in atto una strategia fiscale per “bloccarlo”. Che però non aiuta gli elettori a schiarirsi le idee. Anche perché sembra la classica pugnalata politica alle spalle.
Ripetiamo, Trump andava subito processato e condannato per alto tradimento. Davanti a tutti. Giudicato per quello che era ed è: un potenziale dittatore.
Ora potrebbe essere troppo tardi.
Carlo Gambescia
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