Non era mai capitato. Neppure con i governi Berlusconi. A dieci giorni dall’esercizio provvisorio (che poi sarebbe l’ultimo dei problemi), Giorgia Meloni sembra annaspare: al di là delle etichette (semplificando: Ministero della sovranità alimentare, Ministero del Merito, eccetera), non si capisce ancora cosa farà il governo sulle misure annunciate: sul pos, sui contanti, sullo scudo fiscale, sulle le coperture finanziarie, non ancora trovate, per flat tax e pensioni. Perché?
Secondo i retroscenisti, i parlamentari della maggioranza, cosa mai capitata, sono privi di ordini. Insomma sembra non esistano uomini capaci di comandare. Si brancola.
Che dire? Probabilmente questo non è un governo ma appuntamento al buio. Sempre i retroscenisti scrivono che gli stessi ministri sono in attesa delle decisioni di Palazzo Chigi. Che viceministri e sottosegretari non sanno cosa fare, perché attendono indicazioni dai ministri. Tutti insieme non si conoscono, non si fidano gli uni degli altri, e nell’incertezza, come il fatale Otto di Settembre, temporeggiano e alzano le braccia.
I retroscenisti esagerano? Dall’esterno ciò che si può rilevare è che Giorgia Meloni sembra parlare poco ma pure decidere poco… Pare dominata dal timore di sbagliare. Un atteggiamento pericoloso, in fondo impolitico, che come sappiamo rinvia regolarmente alla madre di tutti i fallimenti: la disfatta politica.
Un fare titubante che sostituisce alla politicità proclamata, neppure due mesi fa, una impoliticità di fatto.
Detto altrimenti, il governo Meloni sembra incapace di scegliere una precisa linea politico-programmatica. Perché? Al di là della titubanza, resta l’assenza di una concezione liberale capace di illuminare il governo Meloni soprattutto sul piano delle riforme economiche.
Si rifletta: come si fa a seguire fino in fondo una linea politica che non esiste?
Si chiama anche dilettantismo.
Carlo Gambescia
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