Alla destra non sembra vero di poter cavalcare il Qatargate. Una vera ciliegina sulla torta per poter infangare le istituzioni europee e parlamentari. Bingo! Le nemiche di sempre.
Ma la destra ha mai sentito parlare di “lobbismo”? Le società più sono aperte, più gli interessi sono diversificati, più cresce la variegata attività dei gruppi di influenza (ad esempio una “catena” massmediatica) e dei gruppi di pressione (di tipo economico).
Un deputato, anche in un parlamento nazionale, è sottoposto a un notevole carico di richieste rivolte a favorire gli interessi più vari. Negli Stati Uniti questi interessi sono regolati per legge. I membri del Congresso, possono spendersi per questo o quel gruppo economico, ma alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti. Si pensi, per il presente, alla grande questione della lobby dei venditori di armi: gli elettori sanno sempre chi sta con chi.
È vero che nel caso del Qatargate i corruttori sembrano venire dal deserto. Ma parlare di confini nazionali in un mondo globalizzato economicamente è semplicemente ridicolo. In realtà, l’autentico problema è quello di portare alla luce del sole relazioni, anche economiche, che invece la pretesa di una specie di superomismo etico, imposto ai parlamentari, tramuta in una caccia alla streghe che di fatto facilita il ritorno dell’antiparlamentarismo, del nazionalismo, dello statalismo. Insomma di quel maleodorante minestrone culturale, alla base del totalitarismo novecentesco.
Il sistema parlamentare non è perfetto. Nella patria delle istituzioni parlamentari, la Gran Bretagna, nella seconda metà del Settecento, quando la Camera dei Comuni e il Governo di Gabinetto si andavano consolidando, la Compagnia delle Indie Orientali, fortissimo gruppo di pressione privato, poteva contare su un buon numero di parlamentari pronti a combatterne lo scioglimento. Tutti sapevano chi fossero. In genere funzionari della Compagnia, chiamati “nababbi” (Nabobs, sulla falsariga dei ricchissimi principi indiani), di ritorno in patria, che, enormemente ricchi, compravano i seggi, di quelli che in seguito saranno chiamati “borghi putridi”, perché nelle mani di pochi elettori, manovrabili. Sicché si combatteva ad armi pari. Perché si sapeva da quale parte stavano i nababbi: della Compagnia.
Intanto però la Rivoluzione industriale faceva passi da gigante, il commercio volava, la cultura illuminata e liberale si diffondeva nel ceto medio. Nel secolo dopo, il XIX, si ebbe così il trionfo delle istituzioni rappresentative e della libertà economica. Oggi ancora godiamo dei frutti preziosi di quella rivoluzione, in fondo pacifica.
A chi dobbiamo essere grati? A quei politici britannici, come Edmund Burke ad esempio, che furono sì acerrimi nemici dei “nababbi”, ma al tempo stesso strenui difensori delle istituzioni rappresentative. Burke si battè come un leone contro Warren Hastings (governatore generale della Compagnia), ma si guardò bene dal rimpiangere gli Stuart e in particolare Carlo I.
Pertanto, attenzione, grande attenzione, proprio di questi tempi così graditi agli amici dei dittatori e a coloro che in italia rimpiangono Mussolini, a non gettare, come si dice, il bambino con l’acqua sporca. Che poi non è neppure così sporca. Per capirlo basta scendere da questo cazzo (pardon) di piedistallo morale, che in nome di una specie di superomismo etico, tra l’altro a corrente alternata (ora tocca alla destra salire in cattedra), rischia di favorire la vittoria dei nemici della libertà e della società aperta.
Bisogna studiare la storia. Altra cosa che oggi nessuno ama più fare.
Carlo Gambescia
(*) Sul punto si veda l’ottima ricostruzione di Giorgio Borsa, La nascita del mondo moderno in Asia, Rizzoli 1977, pp. 76-81 (in particolare p. 78).
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