Per i non addetti ai lavori due cose restano difficili da capire: quale sia la funzione del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) e il vero perché dell’opposizione delle destre sovraniste.
Si pensi a una banca che concede prestiti, ponendo condizioni contrattuali, come è normale che sia. Ovviamente, nessuno è obbligato a chiedere prestiti.
Nel caso del MES, non si tratta però di privati cittadini ma di stati, entità politiche quindi, che hanno sottoscritto il capitale di questa superbanca (il termini per ora può sembrare improprio), e che quindi sono, in base all’entità della quota sottoscritta, soci investitori e clienti al tempo stesso.
L’Italia, è uno di questi soci. Un socio complicato, soprattutto ora che i sovranisti sono al governo. Perché sembra voglia rivedere le condizioni contrattuali per la concessione dei prestiti modificate nel 2021 ( la nascita del MES risale al 2011). Però tutti gli altri soci investitori-clienti hanno detto sì, inclusa la ritardataria Germania ( è di ieri), l’ Italia invece nicchia. Sembra sia per il no.
Purtroppo, a differenza di una banca privata, la superbanca MES non può fare a meno dell’Italia. Perché in caso di un suo passo indietro, la modifica del 2021 non passerebbe.
Il suo “consiglio di amministrazione”, composto di politici e di banchieri, ha bisogno dell’unanimità degli investitori-clienti per deliberare. Il che è un fattore anomalo e di confusione: o una banca è una banca, e perciò i politici ne devono restare fuori, oppure è una specie di cassa depositi e prestiti (semplificando) che risponde al governo. E i governi membri del MES sono 17…
E quest’ultima, per l’appunto, è la strada intrapresa dal MES: quella di un’impresa pubblica che amministra il fondo sovvenzionato dagli stati membri, però con la mentalità, giustamente ragionieristica, di una banca… Anzi, come abbiamo detto una superbanca, perché si parla di stati, di macroentità politiche. Un mix di ragioneria e politica che il romanticismo sovranista non può sopportare.
Ma non è la sola ragione.
Il lettore si chiederà in che cosa consistono le modifiche. Qui viene il bello. La differenza con le regole precedenti consiste nell’automaticità. Come esempio di tale criterio si pensi alla spending review e ai tagli lineari. In realtà, alcuni sostengono che i tagli non saranno automatici, e che le modifiche prevedono discrezionalità. Comunque sia, saranno sempre le cifre a dire l’ultima parola non i politici. Un debito pubblico enorme resta un debito pubblico enorme.
Ora, fermo restando che si tratta di regole – le vecchie come le nuove – frutto della stessa visione keynesiana del credito ( magari corretta secondo criteri più o meno monetaristi), che mescola pericolosamente in termini di diritto pubblico più che di diritto privato investitori e clienti, il vero punto di discussione rimane l’ inevitabile ricorso a criteri quantitativi.
Insomma, poiché la matematica non è un’ opinione, con la riforma i numeri continuerebbero comunque a parlare da soli. Ciò spiega l’opposizione non solo dei sovranisti ma di tutti coloro che fanno del debito pubblico strumento di governo. Si notino in proposito le reazioni negative di Giuseppe Conte, mago delle politiche “spenderecce”, per dirla con Nitti.
In realtà, sono in gioco le illusorie promesse elettorali di tagliare tasse e aumentare pensioni. Altro che la sovranità italiana. Di fatto le nuove le regole sono più eque delle precedenti perché estendibili, e in automatico a tutti gli stati. Per dirla brutalmente, un meccanismo del genere lega le mani a politici spendaccioni e talvolta corruttori. Insomma, la riforma del MES è antidemagogica quindi può far perdere voti. Il che spiega la titubanza di Giorgia Meloni.
Concludendo, mani pulite? Anche. Ma soprattutto mani legate.
Carlo Gambescia
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