Si narra che Federico II di Prussia, sovrano illuminista che tuttavia non disdegnava la politica di potenza, rispose a proposito dell’indignazione nei suoi riguardi di un suddito, se costui avesse almeno centomila soldati, altrimenti non se ne sarebbe occupato.
Stessa cosa, secondo Churchill, rispose ironicamente Stalin a Laval, in visita a Mosca prima della guerra, a proposito del numero delle divisioni del Vaticano.
Cosa vogliamo dire? Che Putin, per ora, può dormire sonni tranquilli e continuare a bombardare la popolazione ucraina.
L’indignazione dell’Occidente, se ci si passa l’espressione, gli fa un baffo, Putin, la pensa come Federico II e Stalin. Fino a quando non troverà sul campo di battaglia una forza superiore alla sua non si fermerà.
Anzi, dal suo punto di vista, quello del realismo politico criminogeno (*), per cui la forza crea il diritto, principio di cui egli si compiace (il che spiega la denominazione), quanto più Europa e Stati Uniti si indignano tanto più Putin sente di avere le mani libere sull’Ucraina. E soprattutto si convince sempre più della debolezza politica dell’Occidente, che non gli farà mai la guerra.
Per contro, un sano realismo politico, non criminogeno, accetta la forza per quello che è, senza compiacersi. Quasi a malincuore, ma quando necessario la usa. Qui la differenza tra il realismo politico sano e insano.
Ma allora – si dirà – le sanzioni economiche? Non sono un segno concreto della reazione politica dell’Occidente? Quindi non solo indignazione?
In realtà, quando entreranno in circolo, Putin avrà occupato tutta l’Ucraina, o comunque la terrà in pugno. Fermo restando: 1) che dal punto di vista economico la Russia è autosufficiente, o comunque, per dirne solo una, resta sempre il gigantesco canale cinese, diciamo non nemico e attento ai buoni affari economici; 2) che per l’Occidente, il cui interscambio è notevole, le sanzioni, per dirla in termini civilistici, si risolveranno in un danno emergente (blocchi produttivi e finanziari) e in un lucro cessante (dei mancati guadagni futuri, non rinnovi contrattuali, eccetera);
Infine, come detto, perché le sanzioni vadano a regime, è necessaria, come per ogni fenomeno economico, la chiusura del ciclo di bilancio, quindi, per una qualche effettività (comunque con le controindicazione al punto 2), trascorrerà almeno un anno, una manna militare per Putin.
Per tornare all’indignazione, va inoltre sottolineato, che la “rivolta morale” agisce all’interno dell’Occidente euro-americano come fattore dissolvente di qualsiasi reattivo spirito militare. Si proclama ai quattro venti che se si intervenisse, si scatenerebbe la guerra atomica. È la stessa tesi che sostengono i russi, che però hanno invaso e bombardano l’Ucraina, mentre l’Occidente condanna moralmente.
Il che significa che l’antinuclearismo dell’Occidente è disarmato dal punto di vista della guerra convenzionale, mentre quello russo, cosa sotto gli occhi di tutti, è armato. I conti non tornano.
Si noti pure che Putin in Europa ha non pochi sostenitori tra le destre sovraniste. Gruppi e partiti politici che di colpo, basta fare un giro in rete e sui social, si sono tramutati in pacifisti: in agnellini che enfatizzano il pericolo di una guerra nucleare. Che ovviamente la gente comune, la massa, teme. Di qui la possibilità di una pericolosa saldatura politica ed elettorale, sul pacifismo, tra putinisti russi, putinisti europei, e putinismo inconsapevole di masse che già non vogliono sentir parlare di guerre convenzionali, figurarsi quelle atomiche.
Inoltre le destre sovraniste, sempre in nome della pace, si esercitano in un nuovo sport: quello di incolpare gli Stati Uniti per non aver ceduto prima e così “costretto” Putin a usare la forza. Insomma, Putin invade bombarda però la colpa è degli americani… Se proprio si vuole parlare di errori, allora ne è stato fatto uno e grave: quello di non opporsi subito e con decisione alle fantasie panslaviste di Putin sull’ “unità spirituale” tra russi e ucraini. Popolo che a quanto pare non ha risposto con lanci di fiori all’ abbraccio fraterno delle truppe di Mosca.
L’indignazione accresce la forza dei russi, divide astutamente l’Occidente in amici e nemici della pace, e vanifica qualsiasi tentativo di reazione che non sia di tipo morale.
Sicché ogni giorno che passa le acque politiche diventano sempre più torbide, i contorni del conflitto si fanno labili, Putin si consolida militarmente sul campo e l’Ucraina, che disperatamente tenta di difendersi, rischia di trasformarsi in colpevole, perché con la sua resistenza – tesi che già aleggia, non solo tra i russi – potrebbe provocare una guerra nucleare.
Quanto alla tesi attendista dell’impantanamento russo, va sottolineato che richiede tempo per concretizzarsi, come pure quella del contraccolpo sul regime. Potrebbero passare alcuni anni, di sicuro almeno uno, perché le sanzioni come detto devono prima andare a bilancio.
Del resto le sanzioni economiche, come di regola avviene, possono esser sfruttate dalla propaganda russa quale “energizzante” fattore coesivo contro il nemico esterno.
Come si può capire, l’indignazione non aiuta, anzi può peggiorare le cose. Il rischio della guerra nucleare sussiste, non si può negare. Però si tratta di rischio non di certezza.
Carlo Gambescia
(*) Sul punto si veda Carlo Gambescia, Il grattacielo e il formichiere. Sociologia del realismo politico, Edizioni Il Foglio 2019, pp. 41-49 (https://www.ibs.it/grattacielo-formichiere-sociologia-del-realismo-libro-carlo-gambescia/e/9788876067853 )
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