Dinanzi alla magra figura che sta facendo l’Occidente, chiunque studi la politica, anzi la metapolitica, scienza delle regolarità politiche e sociali, non può provare alcuna meraviglia (*). Basterebbe chiamare le cose con il loro nome… Cosa vogliamo dire? Il lettore, per capire il senso della nostra affermazione, dovrà avere la pazienza di seguirci fino in fondo. Buona fortuna.
In realtà, anche in occasione della guerra in Ucraina, come altre volte nella storia, ritroviamo alcuni precisi modelli di comportamento politico e sociale. Quali?
Dalla regolarità "amico-nemico" (Europa e Stati Uniti vs Russia e forse Cina) alla regolarità dello "scontro egemonico" ( sulla legittimità dei confini europei del 1945) giustificata da ragioni ideologiche (Occidente vs Oriente); dalla regolarità "decisioni prese" esclusivamente dalle élite politiche (da pochi insomma, a Washington come a Bruxelles, Parigi, Berlino, eccetera) alla regolarità "conflitto tra individuo e comunità" (si pensi al dissenso come al consenso individuale collettivo alla guerra).
Ne abbiamo indicate, solo alcune. Cosa ci possono dire le regolarità metapolitiche sullo sviluppo e l’evoluzione del conflitto in atto?
La questione rinvia al riconoscimento politico, ovviamente da parte della élite politica, delle regolarità metapolitiche. Ci spieghiamo meglio.
Solo l’ammissione politica che quanto sta accadendo ha natura inimicale, egemonica, elitaria e conflittuale, può aiutare a fare un primo passo verso un inizio di soluzione, che però potrebbe essere anche non pacifica.
Quanto più si introducono nell’analisi della situazione fattori di tipo morale (“chiunque bombardi e uccide è un assassino”), pacifista (“tutte le guerre sono sbagliate”), religioso (“chiunque bombardi e uccida offende dio) tanto più ci si allontana dallo studio delle regolarità metapolitiche e quindi dalla possibilità di giudicare la guerra per quello che è (una continuazione della politica con altri mezzi), e di trovare una soluzione di riduzione dei danni umani, sociali ed economici da conflitto armato. Soluzione, ovviamente, sempre provvisoria, come ricordano le regolarità metapolitiche, che altrimenti non sarebbero tali… E che cosa ci suggerisce la metapolitica?
Sul piano del conflitto amico-nemico, Occidente e Russia sono sistemi antitetici sia sul piano dei valori che degli interessi, quindi il conflitto è un fatto strutturale. Perciò sarà sempre possibile. Però si può convivere. Naturalmente a vari livelli, crescenti o meno, di tollerabilità reciproca.
E qui veniamo al piano egemonico che collega i livelli di tollerabilità del nemico alla capacità delle élite di muoversi lungo un arco di scelte che va dalla guerra alla pace. Quanto più l’ élite, a livello decisionale, si avvicina ai due punti estremi di questo arco, tanto più crescono le possibilità di guerra, o perché la si vuole a tutti i costi, o perché l’ arrendevolezza verso la pace scatena gli appetiti egemonici del nemico, anche sugli “innocenti”, proprio perché psicologicamente indifesi, diciamo pure moralmente disarmati.
Si faccia mente locale: è sempre il nemico a indicare un attore politico come nemico, a prescindere, come si è detto, dal desiderio di pace della vittima designata. Non basta professarsi amici e pacifici per evitare il peggio.
La professione di pace o di guerra rinvia alla quarta regolarità quella individuo vs comunità. Che ha valore esterno, di rappresentazione della comunità come fattore coesivo contro la disgregazione individualistica, e interno, come conflitto tra individuo e identità comunitario-politica. Il conflitto bellico accentua queste forme di conflitto sociale, spesso portandole all’estremo del pacifismo assoluto e del bellicismo gratuito, imponendo alle élite, come detto, scelte, a dir poco delicate, lungo uno spettro decisionale che va dalla guerra alla pace. Una dinamica socio-politica che rinvia, ripetiamo, alla qualità delle élite, agli appetiti egemonici e al conflitto amico nemico.
Ora, per tornare dalla metapolitica alla politica di questi giorni, si può giungere ad alcune conclusioni, frutto però di un approccio metapolitico agli sviluppi in atto della guerra in Ucraina.
a) Putin ha chiarissima la visione di chi sia il nemico, l’Occidente non ancora.
b) Putin non si preoccupa di nascondere i suoi appetiti egemonici, l’Occidente sì.
c) Putin (come le élite che lo affiancano) ha una capacità decisionale di cui, al momento, l’Occidente è privo.
d) Putin non deve fare i conti (se non in modo residuale) con un’opposizione pacifista, per ora la comunità russa è coesa. Per contro, quella occidentale è un aggregato di individui divisi e impauriti.
Il che non deve portarci a giudicare Putin come una specie di nuovo Napoleone, ma soltanto a ritenerlo un passo avanti in chiave di approccio metapolitico rispetto ai titubanti leader dell’ Occidente. Che fanno i moralisti o gli psichiatri a buon mercato, oppure tutte e due le cose insieme, evocando la pace a ogni costo. Favorendo così, ripetiamo, gli appetiti egemonici del nemico Putin. Sì, del nemico Putin.
Come notavamo nell’incipit, non si deve avere paura delle parole.
Diciamo che questa è la metaregola della metapolitica: chiamare le cose con il loro nome. E soprattutto agire di conseguenza. Con giudizio, ma di conseguenza.
Carlo Gambescia
(*) Si rinvia, chi voglia approfondire i “misteri” sociologici della metapolitica, al nostro Metapolitica. L’altro sguardo sul potere, Edizioni Il Foglio 2009.
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