Perché, dopo Zelensky, non invitare anche Putin a parlare dinanzi al Parlamento italiano?
L’idea è stata avanzata sui social. Però si può metterla anche così: perché su un omicidio non sentire pure la versione dell’ assassino? Diciamo che la legge lo permette: però in aula davanti ai giudici e tra due agenti della polizia carceraria.
Già sembra di sentirli i difensori d’ufficio di Putin: cosa comprova che Putin sia un “assassino”?
Solo tre milioni di ucraini in fuga (donne, bambini, vecchi), altre decine di milioni di ucraini che non hanno accolto con lanci di fiori i carri armati russi e duecentomila soldati ucraini che stanno stoicamente combattendo.
La regola della maggioranza democratica e di opinione o vale sempre o non vale mai.
Il popolo, ucraino, per così dire, ha “votato” con i piedi, con il dolore e con le armi. E quello russo, ha votato per Putin? È favorevole alla guerra di aggressione?
Secondo Putin sì. Secondo i suoi nemici interni ed esterni, no. Diciamo perciò, che mentre nessuno dubita del consenso a Zelensky, su quello a Putin si può sospendere il giudizio. Aggiungendo che il sistema democratico russo è molto più debole di quello ucraino.
Putin, parlerà, forse, un giorno, davanti a un bel tribunale internazionale, quando gli saranno contestati i suoi crimini.
Ammesse e non concesse le sue rivendicazioni, Putin ha invaso un intero paese, libero, civile e democratico in barba a qualsiasi regola del diritto internazionale, bombardando e assediando città e popolazioni civili. Putin è un criminale di guerra. Non è degno di parlare dinanzi a un parlamento democratico. Oppure sì, ma tra due carabinieri.
Anche qui, già conosciamo la risposta dei difensori d’ufficio di Putin: allora le guerre americane, l’imperialismo europeo, il colonialismo, il neocolonialismo? Chi ha mai giudicato, eccetera, eccetera?
Ora, a parte che sul piano della critica storiografica e politica in materia l’Occidente continua tuttora adautoflagellarsi fino all’autolesionismo da “tempesta perfetta”, come nel caso della cosiddetta “cancel culture”: prolungamento della damnatio memoriae, che ritroviamo, come fattore di legittimazione politica, fin dai tempi di Roma. Di qui l’idea romantica, che tanto consola gli sconfitti, della storia scritta dai vincitori…
Dicevamo, a parte questo, politicamente parlando, il reciproco gettarsi in faccia fango svolge una funzione tipicamente propagandistica: quella di accendere i riflettori sul passato e spegnerli sul presente, consentendo, ad esempio, a personaggi come Putin di farla franca.
Insomma, un conto è il revisionismo storiografico, un altro dare la patente d’innocenza politica a un criminale di guerra. Semplificando il concetto: tutti colpevoli, nessun colpevole. Molto comodo.
Certo, fra sei-settecento anni ci sarà chi dirà di Putin, come molti oggi dicono delle piramidi di teste mozzate di Tamerlano, che era la sua cultura e che in fondo va capito perché poi tornò la pace, costruì splendidi palazzi, inutile quindi dare retta ai biografi malevoli…
E perché no? Insegnare pure che Putin, come Hitler, era severo ma giusto…
Certo tra settecento anni. Ma ora che si fa? Si dà la parola a Tamerlano?
Carlo Gambescia
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