sabato 28 dicembre 2019

Sociologia di Pietro, Camilla e Gaia

La conoscenza dei fatti  non è mai facile. La realtà è complicata, spesso impenetrabile.  Pertanto dalle ricostruzione  giornalistiche riprendiamo solo due “fatti” (o quasi): il primo che Pietro Genovese non era un “automobilista” modello; il secondo che  Camilla Romagnoli e Gaia von Freymann,  non erano “pedoni” modello. Un terzo fatto, che dovrebbe far riflettere,  è l’età complessiva dei tre giovani coinvolti nell’incidente di Corso Francia: 42 anni. Una tragedia.
La reale dinamica verrà accertata, ci si augura,  dai giudici,  Una delle famiglie delle vittime  ha scelto un avvocato molto agguerrito, Giulia Bongiorno, Probabilmente, anche il padre di  Pietro,  noto regista, opterà per un legale di pari fama.
Il contesto sociale dell’incidente è borghese, probabilmente alto-borghese, comunque sia, sociologicamente parlando,  si tratta di  ceti medi:  la principale ossatura sociale di ogni società aperta.
E qui sorge  una  domanda sociologica (non giudiziaria) che al momento  può apparire spietata. Perché la  borghesia affluente di oggi "produce"  automobilisti e pedoni  lontani dal rappresentare dei modelli sociali di riferimento?  
In argomento,  la letteratura è vastissima e  non deve indurre a determinismi sociali. Perché i comportamenti devianti (dalle regole) riguardano  tutti i ceti sociali. 
Tuttavia  il   punto sociologico  è costituito, ripetiamo,   dal perché la borghesia, se si preferisce il ceto medio, abbia rinunciato alla trasmissione sociale  di valori elementari di natura  endoattiva (per usare un termine a metà strada tra la psicologia e il diritto). Per dirla altrimenti:  un semaforo rosso (o verde) rappresenta l’accettazione interiorizzata di un patto tacito di civiltà, qualcosa  che rinvia al grado zero della socialità moderna, fondata, almeno in linea di principio, sul libero consenso.   Sopra di essa, vengono vigili, poliziotti, giudici, eccetera, ossia l’apparato coercitivo, che però -  ecco il punto -  nel  rispetto del  semaforo rosso  (o  verde)  rimanda, come dicevamo, a una adesione “endoattiva”, interiorizzata, che precede l’apparato coercitivo.   Basta il segnale.  Non servono guardie armate o meno.  Nessuna esoattività.
Ora, che un  ceto borghese, lo stesso che meritoriamente ha edificato la modernità, non riesca a trasmettere non  "il senso  della vita", come abbiamo letto, che sarebbe troppo (anche perché "il senso della vita" è scelta individuale), ma il rispetto interiorizzato di alcune basilari regole endoattive, dovrebbe far riflettere. Perché il rischio grosso che discende dalla mancata "riproduzione" sociale di endoattività  è quello della dissoluzione di un ordine collettivo, se si vuole pubblico,  di cui il ceto medio dovrebbe essere il rigoroso  guardiano, a cominciare, ripetiamo,  dalla trasmissione  delle regole tacite, prive di coercizione materiale esterna all'individuo.
Diciamo questo a prescindere dalle attribuzioni di colpa individuale sulle quale sentenzieranno i giudici. Ovviamente, al di là della disamina sociologica, che può apparire fin troppo fredda perché rivolta impietosamente al fenomeno generale,  resta ferma  la nostra partecipazione al dolore di tre famiglie, due  delle quali  toccate più duramente negli affetti.  


Carlo Gambescia