lunedì 16 dicembre 2019

La Popolare di Bari
Altro giro, altra banca…

L’allegra finanza della  Banca Popolare di Bari, come di altre banche salvate dalla politica,  dall’ Etruria  alla Carige, passando per  Mps e banche venete,  tutte con bilanci da far paura,  rimanda a una questione generale. Quale?  Quella del rapporto tra politica ed economia. O se si preferisce  tra ricerca del consenso e  leggi di mercato. 
In Italia, in linea pratica, la questione si è sempre risolta con salvataggi, quindi ricorrendo a interventi politici per evitare, come  si dice, crolli  a catena. E soprattutto - ecco la verità - cadute  politiche per  i governanti, da Conte a Mussolini.
Ancora oggi, si celebra indecorosamente la politica fascista del credito che iniettò  negli anni Trenta nel circuito bancario italiano, nonostante il  basso livello salariale cui erano costretti gli italiani, fior di denari, per evitare fallimenti bancari  di massa. 
In genere, si celebra pure, sempre indecorosamente,  il criterio della divisione tra credito industriale e credito al consumo (semplifichiamo), come grande  rimedio per proteggere  i consumatori.  In realtà, se una banca ignora le leggi di mercato,  svendendo titoli e crediti, prima o poi fallisce, a prescindere dalle trovate istituzionali.
Il denaro ha un prezzo che deve essere stabilito dalle leggi della domanda e dell’offerta e non dallo stato, che invece quasi sempre risponde alle leggi del consenso elettorale e clientelare. La moneta cattiva scaccia quella buona. Passi per il politico, ma  un banchiere dovrebbe saperlo.

Pertanto,  sia chiaro, si interviene, come nel caso della Banca Popolare di Bari, in barba alle leggi di mercato,  facendo pagare i conti finali  a tutti i cittadini.  Perché, come altre volte,  si contribuisce a tenere in piedi realtà che economicamente non meritano di vivere.
Il lettore penserà, ma allora i poveri risparmiatori che hanno investito nella Popolare? Peggio per loro. Potevano informarsi meglio: la brama di profitti a buon mercato  fa sottovalutare i normali rischi di mercato. Si chiama anche imprevidenza, dal momento che si dovrebbe capire, e dunque prevedere,  che i rischi  crescono in parallelo alla redditività dell’investimento.  Nessun pasto è gratis. O è gratis solo per i fessi che si credono furbi.
Se poi il banchiere imbroglia c’è il codice penale. Certo, i tribunali sono quel che sono… Perciò l’alea giudiziaria italiana  dovrebbe  far  parte del rischio di investimento. Tradotto: "Sì, l'affare sembra buono, però poi se qualcosa dovesse andare storto, i tempi della giustizia sono lunghi e costosi".  E invece,  non ci  si pensa. Come dire?  “Basta ca ce sta ‘o sole,  basta ca ce sta ‘o  mare…”.
Come si vede, sono sufficienti pochi ma buoni principi.  Invece, anche questa volta  lo stato interverrà per salvare banchieri allegri  e risparmiatori imprevidenti. Si parla addirittura di una Banca del Sud e  di nazionalizzazioni : una festa  per corrotti, corruttori e comuni imbecilli.   
Qualcuno si chiederà  perché  eventualmente non si possano salvare  solo  i risparmiatori, punendo i banchieri.  Non si può,  per il semplice fatto, che in un quadro dove la politica demagogicamente detta le regole dell’economia, i politici hanno bisogno della gratitudine degli uni come degli altri:  di soldi e voti, insomma. Compri due paghi uno, tanto il resto lo pagano i cittadini previdenti.
La politica dovrebbe fare un passo indietro. Purtroppo non può più, perché, soprattutto in Italia, lo stato è inevitabilmente embricato nell’economia.  Sicché  non si può punire una banca senza poi non dover  punire tutte le altre. Di conseguenza si preferisce assolverle tutte e fare bella figura asserendo che lo si fa per i risparmiatori. Il che è vero, ma solo in parte. 
E così via, altro giro, altra banca… “Basta ca ce sta ‘o sole,  basta ca ce sta ‘o  mare…”.


Carlo Gambescia               

       

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