sabato 30 novembre 2019

Morire per Hong Kong?

I diritti umani possono essere inquadrati da due punti di vista. Per alcuni sono una risorsa politica,  da usare come una specie di arma nei conflitti politici,   per altri sono una preziosa risorsa etica da sottrarre al conflitti  politici, escluso però il conflitto  che inevitabilmente può nascere con coloro che la pensino diversamente.
Hitler si rivolse brutalmente a Est  per difendere, così asseriva,  i diritti  delle minoranze tedesche. L’Unione Sovietica, quasi fino agli ultimi giorni, minacciò di invadere  i Paesi   baltici per difendere la libertà delle minoranze russe.  Di recente, il post-comunista Putin, a proposito della Crimea,  ha applicato lo stesso principio. Ma l’intera storia umana è un succedersi di giustificazioni, dal ripristino romano delle libertà greche  nelle  quattro  guerre macedoniche a quello americano delle libertà occidentali nell’ultimo conflitto mondiale. 
Cosa vogliamo dire?  Che i diritti umani, in particolare quelli di libertà, sono, piaccia o meno,  una risorsa politica.  E ritenerli tali, implica la consapevolezza  di  difenderli a ogni costo, anche con le armi.  Qui però va precisato,  che quanto più li  si “eticizza”, tanto più si moltiplicano i rischi di conflitto, o comunque di avviare una  spirale conflittualistica  dalle conseguenze non sempre prevedibili.

Per fare un esempio oggi sulle prime pagine,  i parlamentari italiani di tutte le tendenze, che ieri  hanno sfidato la Cina, ospitando in videoconferenza Joshua Wong, leader del movimento di protesta, sarebbero disposti a morire per Hong Kong? Come un tempo, alla fin fine, lo furono britannici e francesi per Danzica? 
Sappiamo benissimo che tra una videoconferenza e una guerra c’è una  distanza  politica  enorme. Esiste il gioco diplomatico, della minaccia e dello scambio.  E la decisione della guerra, benché sempre aleggiante in ogni conflitto politico (parliamo in generale),  giunge, sebbene non sempre, alla fine di un percorso discorsivo. Perciò,  nel caso,  saremmo   solo all’inizio della spirale cui accennavamo. Niente, in sé, di pericoloso, almeno nell’immediato. Soprattutto quando si guarda all’impreparazione militare dell’Italia e al clima di ripiegamento morale, in tutti i sensi,  che vizia il nostro  discorso pubblico.   
Resta però, comunque stiano le cose,  l’ imprevedibilità  prospettica  dettata dalle pressioni che la Cina sta subendo in questo momento sul piano geopolitico generale, pressioni crescenti che tuttavia per il momento non implicano brusche virate.  Perciò, a proposito dell’Italia,  un realismo politico, a quo, che guardi all’immediatezza, non avrebbe visto  nulla di male  in una videoconferenza. Per contro,  un realismo politico, ad quem, attento a sviluppi e prospettive, avrebbe accuratamente evitato.  Giudichi il lettore.

Lasciamo fuori  dalla nostra analisi, che si muove all’interno di una prospettiva comunque realista, le prese di posizione donchisciottesche, pacifiste, basate su una visione terapeutica  della politica. Fondate,per farla breve, su una premessa errata, di  natura  irrealistica:  perché  non per tutti la pace è un bene da difendere, sempre e comunque,con le sole "armi" della parola, della buona volontà e del libero convincimento. 
Del resto, può piacere o meno,  ma la storia prova che è così. Almeno fino ai nostri giorni. Quindi una guerra, stando al passato, può  essere al momento  poco probabile, ma rimane sempre possibile.     
Resta però in piedi  la questione dei diritti umani, che sono il nobile  cavallo di battaglia, non solo dell’Italia, ma dell’intero  Occidente,  dalle salde radici illuministe e liberali.  Diritti umani   che nella guerra calda contro il nazismo  e  in quella fredda contro il comunismo hanno fatto  idealmente la differenza.
Esistono allora giustificazioni più buone di altre?   Da un punto di vista generale no, diciamo della fredda analisi sociologica.  Invece da quello storico  esistono differenti tradizioni politiche che il tribunale temporaneo della storia, di volta in volta,  ha condannato o assolto.  E, sotto questa visuale, la tradizione occidentale  la libertà l'ha difesa sul serio. E con le armi. Insomma, sul campo, vincendo. Sicché, in ultima istanza,  il problema è sempre lo stesso, come contro Hitler, l’ Italia e l' Occidente sono  disposti a morire per Hong Kong?  

Carlo Gambescia