mercoledì 6 novembre 2019

Ilva, la parola a Ernesto Rossi


Ieri, pensando all'Ilva, mi sono riletto la biografia di Ernesto Rossi  scritta da  Giuseppe Fiori (Einaudi, 1997). Rossi trascorse nove anni  nelle carceri fasciste, e  altri  quattro  al confino nell’isola di  Ventotene.  
Parlo  di  un intellettuale liberale di indubbio valore, uomo integerrimo, economista e giornalista,  lettore appassionato di   Pareto, Einaudi e degli economisti britannici fautori  di un liberalismo sociale,  discepolo di  Salvemini   erede del suo  concretismo, amico dei Rosselli, membro di Giustizia e Libertà e del Partito d'Azione (ma di quest'ultimo controvoglia), presidente dell'Arar  e brillante estensore di un' onestissima  e sagace microeconomia liberale allo smaltimento dei residuati bellici americani.  Infine, collaboratore di punta del “Mondo”.  
Si può  riassumere e ricondurre  il suo pensiero, che fu quello di un liberale di sinistra,  all' endiadi  eguaglianza e libertà. 
Nemico del comunismo come del fascismo, di cui temeva il pensiero unico,  Rossi  si spese con la forza della ragione  per un liberalismo sociale, attento  a porre  le persone su un  piede di parità, non solo formale,  per  poter così  scegliere liberamente la propria strada.
Convinto federalista europeo, stese con Altiero  Spinelli, compagno di confino, il famoso Manifesto di Ventotene. Rossi  fu nemico di ogni forma di nazionalismo  e   protezionismo:  ideologie  che a suo avviso favorivano monopolisti interni e fabbricanti di cannoni, causando  miseria e guerre .

Diciamo che Rossi, tra l’altro fiero avversario di ogni forma di monopolio religioso,  battagliò  in nome di un liberalismo  progressista.  A differenza di Pareto, pensatore che comunque amava, Rossi  guardava con simpatia al suo prossimo. Credeva nella possibilità di un mondo migliore ma anche nella forza del  merito.  Morì di cancro  nel  febbraio del 1967 a sessantanove anni.
Oggi  da che parte starebbe  sull’Ilva di Taranto?   Difficile dire.  Pur essendo la sua posizione politica vicina all' azionismo (più per caso che per convinzione), Rossi non era un costruttivista puro: non  credeva  nel  mito  dell’uomo nuovo, e in subordine dell’italiano nuovo.  Però credeva nella forza della perfettibilità ragionata e ragionevole. Che sul piano economico, significava e significa  lotta a ogni forma di monopolio, pubblico o privato, nonché  battaglia  senza quartiere per una tassazione fortemente progressiva.  Insomma,  una specie di anti-Malagodi.  Ma come Malagodi, e tutti i liberali di destra o sinistra, Rossi, era  senza esitazioni  dalla parte della modernità.  E -  attenzione -  fermamente contrario a  ogni forma di assistenzialismo e spreco di denaro  pubblico.   
E qui -  per tornare all’Ilva  -   sembra che  il Partito democratico  voglia continuare a buttare soldi su Taranto, mentre i Cinque Stelle  sognano addirittura  un ritorno al mondo pre-moderno.  La destra, detto  per inciso, risulta addirittura  più assistenzialista della sinistra.
Il quadro complessivo della situazione, dunque,   non piacerebbe  a Rossi.   Che però -  così crediamo  - non avrebbe visto di buon occhio neppure la proposta del gruppo franco-indiano, inclusiva dello scudo penale. Forse egli  avrebbe guardato  con favore a una cordata europea. Ferma restando la sua antipatia per  i monopoli, pubblici e privati.  Di sicuro  Rossi non credeva  nell’arcadia della deindustrializzazione. E neppure nella cassa integrazione a vita.  Sicché   avrebbe prima  approfondito,  con una delle sue grandi inchieste,  la questione dei pericoli per la salute e per l’ambiente, senza  però farsi coinvolgere emotivamente.   Per poter  porre  in seguito le basi di un discorso pubblico liberale, neutralmente affettivo.  Insomma, l'esatto contrario del  brutto film  che stanno proiettando. Altro non  mi sento di ipotizzare... 

Ernesto Rossi, non amava i sindacati,  non amava i burocrati (bianchi, rossi,  neri),  non amava  i padroni del vapore,  non amava  i preti. E per questo morì solo, lontano dalla chiesa democristiana e comunista. E dalla Chiesa in carne ossa.
Morì da filosofo.  Senza dio, né padroni.  Attenzione però:  Rossi  non si considerava un  anarchico. Insomma,  un libertario all’ultimo stadio. Perché gli anarchici, come usava dire, sono liberali privi di una prospettiva storica.
Evidentemente,  egli sapeva,  da buon lettore di  Pareto,  che la storia poi si vendica.  Non dello spirito  di  giustizia e  libertà. Ma di certi eccessi che oggi chiameremmo populisti.  Insomma, la storia non perdona i vuoti morali: la dimenticanza o assenza  di  quel famoso puntello che si  chiama senso di responsabilità. Che  permise a Rossi  di  entrare  a testa alta nelle prigioni  fasciste.                       

Carlo Gambescia