mercoledì 27 novembre 2019

Geiger e Ghezzi  
Diritto, società e sociologia

Le società sono fenomeni organizzativi. Di conseguenza il diritto come regolazione  dei rapporti sociali  vi  svolge  un ruolo fondamentale.  Verità  lapalissiana.  Però  fino a un certo punto.
Si pensi a leggi e codici, spesso contrastanti. Ma anche all’idea di diritti naturali, trascendenti la realtà, e perciò  fonte di conflitto perché giudicati superiori al diritto positivo racchiuso nelle pandette.  E che dire  del giudizio civile e penale spesso fonte di sentenze discordanti?  E del rapporto tra cultura generazionale e formazione dei giudici?  Del concetto di equità in relazione allo sviluppo storico-sociale?  E del ruolo di altri operatori, non meno importanti sotto l'aspetto del conflitto tra pratica e scienza, come avvocati  e  professori di diritto?
Sono istituti, figurazioni, credenze che  rientrano pienamente nell’ambito della sociologia del diritto, quale   studio delle tumultuose relazioni tra società e universo  giuridico.  Materia indubbiamente affascinante  che merita un giusto approfondimento, al di là dei confini disciplinari e accademici.
A questo proposito vorremo segnalare  tre libri che affrontano l'argomento da un punto di vista  alto,  che però se letti con attenzione possono  rappresentare nell'insieme una buona introduzione alla sociologia del diritto.  Non solo, ripetiamo,  come sapere  accademico ma come terreno di “cultura” più generale. Insomma, volumi  che  rispondono a questioni che ogni persona curiosa di comprendere  i rotismi sociali e giuridici  non può trascurare.
Non possiamo non cominciare dall' attesa  e meritoria  edizione italiana  di un classico in argomento: Theodor Julius Geiger, Studi preliminari di sociologia del diritto   a cura di  Morris Lorenzo Ghezzi,  Nicoletta Bersier Ladavac, Michele  Marzulli (Mimesis/Law Without Law,  Milano 2018, pp. 418).  Si tratta di un’opera del 1947  in cui Geiger, scomparso nel 1952 appena sessantenne, compie l’enorme sforzo di tradurre la sociologia del diritto nei  termini della logica simbolica.
Geiger si impegna   in un'opera di  sistematica rimozione  dei valori,  paretianamente nemici di ogni buon uso della sociologia,  fin dall'impiego analitico delle parole.  Di qui  tutto il valore di uno  studio del rapporto tra diritto e società in termini di neutrali esponenti letterali.
Ecco subito un esempio delle metodologia geigeriana, semplice ma chiaro per tutti:  con M si indica  il membro di un aggregato sociale, con s una situazione tipica, con g un comportamento tipico, con t un tabù. E così via fino a comporre vere e proprie formule dalla differente complessità.  Viene addirittura proposta  una rappresentazione formale del  colpo di stato.
A scanso di equivoci euristici va però ribadito che l’attenzione di Geiger è sempre rivolta verso  la   natura  sostanziale di un  diritto libero da qualsiasi declinazione puramente narrativa. Come osserva Michele Marzulli (autore di una preziosa legenda, pp. 109-119), "le formule riportate da Geiger nel testo (...) non sono altro che rappresentazioni formali di passaggi logici atti alla valutazione dell'effettività delle norme, all'interno delle situazioni che le anticipano e producono" (p.119).   
Ad esempio,   nell'analisi di Geiger,  comando e obbedienza, sebbene espressi in formule,  rimandano sempre  a coloro che comandano  e obbediscono effettivamente. Insomma,  esiste un diritto materiale che secondo Geiger  non può mai prescindere  dai  legami di interdipendenza sociale quali inevitabili effetti  di ricaduta  di un mondo socialmente stratificato. Del resto, come si può intuire,  in  Geiger sussiste  un fortissimo  senso sociologico del diritto, senza però alcuna allusione o evoluzione olista. Il che perciò  significa  che Geiger  non  giustifica  (e non può essere usato per giustificare)  le presenti storture populiste del diritto penale. Dal momento che il diritto, sostanziato sociologicamente,  è una cosa, il populismo penale basato sullo stato di natura (hobbesiano o rousseauiano che sia) un'altra.       
In conclusione,  il lettore non deve preoccuparsi  perché  una volta compresi  i  meccanismi  logico-simbolici potrà immergersi in  un’opera che scarnifica il ruolo sociale del diritto. Niente retorica, solo effettività delle cose, nella loro nudità: siamo, per così dire,  al grado zero della sociologia del diritto. Però attenzione:  sempre in un contesto intellettuale garantista,  senza giudizi definitivi (pessimisti o ottimisti) sulla natura umana. Una sospensione se non addirittura  revoca  del giudizio antropologico da cui discende  l' invito geigeriano  a considerare laicamente  la "democrazia senza dogmi", come titola un' importante opera postuma (*).  

La  traduzione dell’opera di Geiger, fortemente voluta da Morris L. Ghezzi,  scomparso nel 2017,  già allievo di Renato Treves, può essere occasione per leggere due suoi lavori ricchi  di echi geigeriani.  Dove però si scorge la  necessità di andare oltre Geiger.  Verso il confronto con un diritto che ormai sembra non essere più tale, addirittura  privo dei soggetti di riferimento.
Si veda innanzitutto Morris L. Ghezzi, Il diritto come estetica. Epistemologia della conoscenza e della volontà. Il nichilismo/nihilismo del dubbio, prefazione di Emanuele Severino, postfazioni di Agostino Carrino e di Paolo Renner  ((Mimesis/Law Without Law, Milano 2016, pp. 146). Esteticità del diritto come dubbio, e consapevolezza del dubbio stesso.  Di qui l’artificialità della lotta per il diritto, che pure deve essere… Poiché non è data società senza  leggi. Il rapporto tra individuo, diritto e società, nel pensiero dell’autore, sembra ricordare  quello di  un corda tesa tra due punti che non si scorgono, eppure sono.
Lungo le stesse linee,  nell'ambito però di un testo "sulla soglia" che talvolta trafigge il cuore come quando si scorrono  le pagine di Simonetta Balboni Ghezzi e  Furio S. Ghezzi,  si sviluppa un altro lavoro di  Ghezzi,  Ciò che resta. La rivoluzione del diritto come estetica, a cura di  Simonetta Balboni Ghezzi e Furio S. Ghezzi, prefazione di Domenico Mazzullo, introduzione di Giulio Giorello ( Mimesis, Milano 2017, pp. 192).  Scrive l’autore:

“Il diritto come estetica, ossia come mera espressione di preferenze individuali e soggettive, non si pone come ideologia, ma come pura descrizione della relatività di qualsiasi valore e della conseguente arbitrarietà dei comportamenti, che ne conseguono. Ossia prende semplicemente  atto di ciò che si verifica sia  in natura sia nell’organizzazione sociale, la quale si limita  solo a occultare la brutalità e le violenze dei comportamenti naturali (…). Il relativismo dei valori e la ferinità della natura mettono seriamente in dubbio ogni dogmatismo comportamentale, pertanto il nichilismo-nihilismo, che ne consegue, non si presenta come una scelta ideologica, ma come constatazione fattuale che, quindi, non può essere demonizzata, se non chiudendo gli occhi di fronte alla realtà e fantasticando intorno a mondi utopici”  (p. 44).


Si potrebbe parlare di estetica del fatti sociali: della bellezza esaltante  (certo, talvolta  tragica)  dello studio delle cose sociali per come sono  e non per come  dovrebbero essere.   Il che richiede un atto di cognizione  della realtà, come forma che persiste, pur ovviamente nella consapevolezza dell'imprevedibilità del comportamento sociale dell' uomo.  E qui  si pensi  al fenomeno della stratificazione: un vero e proprio basso continuo sociologico,  i cui contenuti, o giustificazioni  possono però storicamente e imprevedibilmente mutare.
Sul punto  si avverte   il lascito  del nihilismo geigeriano,   convinto nemico di qualsiasi narrazione consolatoria o declamatoria. Si pensi al nesso, intuito da Geiger  tra diritto e consapevolezza dell'interdipendenza sociale, nesso  scorto quale  fatto naturale,  mai naturalistico.  
Riteniamo però  fosse intenzione di  Ghezzi  andare oltre  lo stesso buon uso della  logica simbolica e del  puro sforzo neutralizzante.  Egli probabilmente  aveva iniziato   un fecondo  cammino cognitivo personale.  Verso dove,  ora,  è impossibile sapere. Purtroppo.
Forse possono  aiutarci l’intrigante  iconografia e i  versi  a corredo del  volume. Anche perché, comunque sia,  la poesia, come il dio del Manzoni,  atterra e suscita, affanna e consola. 

Carlo Gambescia