lunedì 4 novembre 2019

Il caso Segre e le radici dell’odio

Che una senatrice a vita della Repubblica, Liliana Segre,  sia oggetto di insulti e minacce per le sue "origini" ebraiche, è un fatto grave  E che, sulla condanna degli  insulti e delle minacce, le forze politiche in Parlamento  si dividano, è cosa ancora  più grave.
In particolare, il concetto da criticare e respingere è quello di strumentalizzazione politica, sollevato dalla destra contro la sinistra.   
In realtà, esistono valori comuni, come quello del rispetto della diversità (di qualsiasi genere)  che dovrebbero essere condivisi da tutti i partiti politici. Di destra e sinistra.   
Ma come giungere alla condivisione?  A colpi di leggi e decreti?    O attraverso la   trasformazione del comune sentire? Dunque dal basso?  Dove e come nascono le  nuove forme di  convincimento e pratica sociale ? Dai processi di socializzazione, che però hanno tempistiche lunghe e non sempre indolori.  
In Italia, le vergognose leggi  razziali, alle quali quasi nessun italiano  si ribellò,   risalgono a circa ottant’anni fa. Quanto è  cambiata  da allora la mentalità?  Oggi,  gli italiani,  verso  gli ebrei e  gli  altri diversi, sono tolleranti? Nutrono sentimenti di amicizia e simpatia?
Sondaggi d’opinione e risultati politici  ci dicono che  l’antisemitismo e il razzismo sono ancora  molto  diffusi. Quasi un italiano su due nutre tali sentimenti. Pertanto le radici dell’odio verso la diversità, nonostante  più di sette decenni di liberal-democrazia, sviluppo economico e scolarizzazione,  restano profonde.

Il che riflette due cose:  per un verso la difficoltà, oggettiva,  di contrastare l’intolleranza, semplificando, “con la scuola”,  per l’altro l’incapacità politica, soggettiva, di giungere alla condivisione di un punto di vista comune sulla grande questione  dell’accettazione della diversità. Insomma, i primi a dare l’esempio dovevano e devono  essere i partiti politici.   
Ora,  la sinistra nelle sue varie sfumature e pur  mostrando giganteschi limiti, si è sempre fatta garante della diversità.  Diciamo che era ed è sulla strada giusta.  Certo, la sinistra  non ha mai  incluso in questa zona franca  repubblicana, e in fondo  giustamente,  la destra negatrice,  per principio, della diversità.
La destra per contro, in particolare quella estrema, pur con qualche eccezione, ha continuato a coltivare i suoi pregiudizi,  ora però  tornati prepotentemente alla ribalta con la vittoria delle destre populiste e neofasciste, negatrici della diversità.  Insomma, la destra  ha continuato  a percorrere la vecchia strada, quella sbagliata. 
Di qui, le crescenti  preoccupazioni della sinistra,  e il suo  tentativo di accorciare i processi di socializzazione, introducendo misure per contrastare  il fenomeno. Ovviamente, avversate da populisti e neofascisti.   Sicché,  destra e sinistra, si accusano reciprocamente di strumentalizzazione. Di forzare insomma, per profittarne politicamente a scopo elettorale,  la volontà degli italiani.   

In realtà,   l’Italia resta  profondamente divisa su un punto che imporrebbe invece  una solida  visione, comune e collettiva,  imperniata sul rispetto della diversità. Rispetto che non è di destra né di sinistra.  Invece, dopo ottant’anni le radici dell’odio sono ancora profonde.
Però, ecco il punto:  nel  “giochino”, per così dire,  del  “di qua o di là”, è  la sinistra, pur con tutti i suoi errori politici, a stare dalla parte della diversità.  E quindi della ragione politica.
E di questo, piacciano o meno i “compagni” di strada,  ogni vero liberale  non può non tenere conto.


Carlo Gambescia