venerdì 13 giugno 2014

Il dossier di “Nuova Storia  Contemporanea” sul  leader comunista.
Chi era Togliatti?


Chiamale se vuoi illusioni, ma  i  cinquant’anni dalla morte di Togliatti ( il 21 agosto  1964),  potrebbero essere l' occasione, sul piano celebrativo, per  rilanciare  - ovviamente,  non pensiamo a Renzi, già “vaccinato” -   la figura del “Migliore”. E  proprio   ad uso e  consumo di una variegata area politica minoritaria, composta di  alcuni "piddini" sempre scontenti,  vecchi stalinisti, neo e post comunisti, ecologisti più rossi che verdi, anticapitalisti e antimericani ( magari con  propaggini nostalgiche -  mai dire mai -  nello stralunato  radicalismo di destra).
Per prepararsi  bene  ai possibili fuochi di artificio mediatici, fuochi stanchi ma pur sempre fuochi, consigliamo vivamente  la   lettura  dell’ultimo fascicolo di “Nuova Storia Contemporanea” (Anno  XVIII, n. 2, marzo-aprile 2014, pp. 168, Euro  12,00),  dedicato completamente  a Togliatti.
Scrive lo storico Francesco Perfetti, direttore della rivista: «  A distanza di mezzo secolo  dalla scomparsa di Togliatti  è opportuno  riconsiderarne la figura e l’attività , pur senza nulla togliere  alla sua abilità di uomo politico  spregiudicato e intelligente ma anche profondamente cinico, per metterne in luce quegli elementi troppo spesso celati dalla visione agiografica  della sua personalità, a cominciare dalla  sua fiducia nello stalinismo, e per sfatare la leggenda di una rappresentazione unitaria  della storia del Pci , come di un partito la cui vocazione sarebbe stata essenzialmente “nazionale”: una leggenda  questa, costruita sulla negazione della verità e portata avanti proprio da Togliatti  con l’uso strumentale  degli scritti di Antonio Gramsci, da lui stesso pubblicati in maniera destrutturata e mutilata  per renderli  funzionali ai suoi progetti politici e per avallare l’idea, nascondendo i contrasti  con l’autore dei Quaderni dal carcere, della continuità Gramsci-Togliatti» (p. 8).
Veniamo ai singoli interventi.
Massimo Caprara,  che conobbe Togliatti molto da vicino,  ne offre un ritratto, degno dei personaggi storici del Principe di  Machiavelli, senza perciò  rifiutargli l’onore delle armi. Sulfurea, tuttavia,  quasi in senso letterale, la sua chiusa: « In una biografia  fra le più recenti Togliatti viene definito “uomo di frontiera “ avendo trasformato  milioni di “ribelli” in “cittadini” e avendo ipotizzato una forma  avanzata di regime parlamentare. Prendo in considerazione  questa definizione ribadendo  che lunghe e sostanziali furono  le sue incursioni nei territori  della disumanità. Credo che a Togliatti  non si possa togliere il posto in un qualche girone dell’ Inferno dantesco, dove peraltro non possono trovarsi gli inetti e gli insipidi»
Piero Ostellino si sofferma sul rapporto con lo stalinismo, riconducendo l’atteggiamento togliattiano di acquiescenza a una sorta di patto hobbesiano, dove in cambio dell’ obbedienza Togliatti, riceveva  da Stalin protezione.  Puri e semplici vincoli di una  politica naturale della sopravvivenza. Altro che grandi ideali.
Luciano Pellicani, con la perspicacia  che gli è propria  smonta l'idea del «partito nuovo di Togliatti », partito  leninista e di massa al tempo stesso, e perciò incapace, anche se attento alle riforme sociali, di  convertirsi in socialdemocratico, dal momento che le riforme non potevano essere considerate  un fine, ma soltanto  un  mezzo per  agguantare il potere e imporre la mitica  dittatura del proletariato.
Antonio Ciarrapico mostra invece, quanto  fosse arcaica e illiberale  l’idea togliattiana  di democrazia,  dal leader  accettata strumentalmente in attesa di introdurre la democrazia sostanziale di marca sovietica: una specie di Eldorado da  opporre alla democrazia rappresentativa, borghese e decadente dell’Occidente. 
Alberto Indelicato,  oltre a ricostruire, la doppiezza, sempre  pro-Unione Sovietica del leader del Pci, ne evidenzia  il «forsennato antiamericanismo», che in alcuni  momenti  -  certo, con gli occhi di oggi -  sfiora addirittura il tragicomico, come nel caso  del presunto  diritto, difeso da Togliatti,  dell’esercito sovietico «di inseguire» in territorio italiano l’aggressore americano.
Sul 1956 si sofferma  Giuseppe Bedeschi, con pagine di grande intensità critica, e crediamo -  almeno a nostro impressionistico giudizio - di sincera partecipazione  (non comprensione o giustificazione, ovviamente)  verso  un Togliatti, malinconicamente  tetragono a qualsiasi critica non solo dello stalinismo ma della stessa  società sovietica.  Una tragedia culturale che  ha impedito la nascita di una sinistra riformista.
Luigi Nieddu si occupa del nodo Togliatti-Gramsci: uomini caratterialmente e culturalmente  diversi  e simili solo nell’intransigenza ideologica. Quindi un matrimonio di convenienza, culminato nella separazione in casa (si fa per dire…), quando Gramsci incomincia a  prendere  le distanze dal modello stalinista. Di qui, la freddezza di Togliatti e l’uso disinvolto, copia-e-incolla,  del lascito gramsciano.
Sergio Bertelli, indaga “gli amori impossibili” di Togliatti,  provando come per il Migliore, le donne,  anche se con qualche fugace  momento di abbandono sentimentale,  fossero subordinate alla causa comunista, nonché alla sua salvezza personale dai lunghi artigli di Stalin. Una vita sentimentale, insomma,  che somiglia a un deserto, con qui e là  qualche piccolo  e grazioso  fiore di cactus.
Pietro Neglie affronta l’ossessione togliattiana per la cultura, quale  strumento  di  coesione, legittimazione, ed egemonia politica e ideologica.  Diciamo che se Gramsci  guardava alla formazione dell’uomo nuovo, Togliatti si accontentava del militante alfabetizzato allo stalinismo, disciplinato e per nulla interessato agli arcana di partito.
Natalia  Terekhova,  illustra lo scarso interesse della cultura storica  russa, con qualche  prevedibile puntata nell’agiografia della storiografia sovietica, nel riguardi di Togliatti. Lapidarie le sue conclusioni: « Secondo un sondaggio svolto  tra gli storici italianisti  l’attività politica durante l’ultimo ventennio della sua vita  non interessa più a nessuno e se una città russa  non portasse ancora oggi  il nome di Palmiro Togliatti, il leader storico dei comunisti italiani, uno dei massimi esponenti del movimento operaio  internazionale, un grande amico di questo Paese, potrebbe essere considerato davvero dimenticato » (p. 132).
Il fascicolo si  chiude con un’autentica chicca: la pubblicazione  del    rapporto inedito di Andrea Caffi (1887-1955), sulle  Vittime del terrore bolscevico(1918-1923), Il documento riprodotto in appendice è preceduto  da un denso saggio di Agnese Accattoli in cui  è ben  tratteggiata  l’intrigante  figura di un socialista libertario, molto più realista e smaliziato di un John Reed,  alla prese con primi micidiali colpi di maglio del comunismo sovietico.
Insomma, un bel  fascicolo, da non perdere.  Tra l'altro corredato, sul piano illustrativo, da gustosissime vignette d'epoca. Quindi un'occasione anche per sorridere. E, cosa più importante,  per non dimenticare che cosa è stato il comunismo, anche quello italiano, brand Togliatti.


  Carlo Gambescia                                   

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