Pubblichiamo con piacere
il post di Domenico Coluccio. Che, dal punto di vista
logico-argomentativo - ossia del coerente sviluppo delle
premesse enunciate - non fa una piega. Inoltre, il lettore, per così dire lato destro (molto in fondo...), non potrà non apprezzare echi evoliani e di altri
autori non conformisti, molto amati sempre in quelle contrade.
Di particolare interesse, la difesa a spada tratta delle élite politiche: un'autentica perorazione, forse a tinte troppo fosche, che tuttavia, chiunque ami Pareto e Mosca, teorici di un liberalismo aristocratico, non potrà non apprezzare.
Di particolare interesse, la difesa a spada tratta delle élite politiche: un'autentica perorazione, forse a tinte troppo fosche, che tuttavia, chiunque ami Pareto e Mosca, teorici di un liberalismo aristocratico, non potrà non apprezzare.
Insomma, Coluccio mette a disposizione un ricco materiale di lavoro
intorno a una certa idea di destra: tradizionalista ma non tradizionale (o costituzionale), conservatrice senza essere rivoluzionaria alla tedesca "tra le due guerre", antidemocratica,
aristocratica e nemica del liberismo economico. In qualche misura la
citazione iniziale di Sergio Romano è una specie di leva per sollevare (e
rovesciare) il mondo moderno. Anche contro lo stesso Sergio Romano,
liberale classico. Per andare dove?
Magari, in merito, chiederemo a Coluccio un altro
articolo. Buona lettura (C.G.)
La destra e la selezione dei migliori
di Domenico Coluccio (*)
Affronterò
il tema del compito prioritario della destra politica partendo da una lunga
citazione tratta dalla prefazione di Sergio Romano al Manifesto dei
conservatori di Giuseppe Prezzolini:
«Al centro di ogni mutevole strategia conservatrice vi è la
ferma convinzione – talvolta ipocritamente taciuta o non chiaramente formulata
– che gli uomini non nascono uguali e diventano, con il passare del tempo,
ancora più disuguali di quanto non lo fossero al momento della nascita. In
altri tempi il conservatore riteneva che il modo migliore per affermare
concretamente il principio della disuguaglianza fosse quello di affidare le
funzioni del potere, per quanto possibile, a un ristretto ceto sociale. Oggi,
in condizioni alquanto diverse, il conservatore cerca di raggiungere lo stesso
obiettivo con altri mezzi: la scelta dei migliori e la selezione naturale. Ma
la preoccupazione è sempre la stessa: tradurre nella realtà il principio che
gli uomini non sono uguali, che le loro opinioni non hanno lo stesso peso e che
la responsabilità non può essere distribuita a pioggia sul corpo sociale. Il
conservatore non ama la democrazia ugualitaria perché essa tende sempre a
cancellare il confine tra l’intelligenza e l’ignoranza, tra l’esperienza e
l’improntitudine, tra la competenza professionale e il dilettantismo, tra la
serietà e la demagogia. Il conservatore è ostile allo Stato sociale quando esso
tende a neutralizzare quei severi meccanismi di selezione da cui dipende in
ultima analisi la scelta dei migliori e il riconoscimento del merito.»
L’ambasciatore
Romano, usando parole insolitamente esplicite, pone la questione della
selezione dei migliori in termini che non sono né liberali (non contempla la
competizione regolata dal principio delle pari opportunità), né democratici
(non prevede la legittimazione dal basso dei governanti).
L’ostilità
del conservatore, però, dovrebbe essere rivolta allo Stato tout court,
in forza dell’equivalenza tra lo Stato moderno e la divinità dei tre monoteismi
abramitici, che crea gli uomini ineguali ma pretende che si considerino eguali
tra loro, li crea nemici (si pensi a Caino ed Abele, ad Esaù e Giacobbe) ma
pretende che si considerino fratelli, ed intende la giustizia come elevazione
degli ultimi e repressione dei potenti, realizzando così un’eguaglianza
artificiale che altera la gerarchia naturale dei talenti.
Lo
Stato moderno, prodotto della tecnica che razionalizza l’esistenza al fine di
renderla sicura, prevedibile e calcolabile, ha tradotto in realtà l’ossessione
per l’eguaglianza dei tre monoteismi abramitici calando, per mezzo della forza
coercitiva della legge e del suo braccio operativo, gli apparati burocratici,
una gabbia livellante ed opprimente su un sostrato biologico, intellettivo,
caratteriale e destinico ineguale, allo scopo di includere gli uomini,
considerati artificialmente eguali tra loro, in uno spazio politico razionale e
paritario, libero da violenza e da dominio arbitrario, nel quale ciascuno
persegue i propri interessi economici al fine di conseguire la felicità
consistente nel procurarsi, agendo nel mercato, la combinazione di beni e
servizi che meglio ne soddisfa i bisogni.
Il
liberalismo rompe i rapporti di subordinazione, emancipa, ed il potere
politico, che sempre ed ovunque è stato considerato necessario, diviene
improvvisamente malvagio, tanto da tripartirlo in esecutivo, legislativo e
giudiziario, attuando il governo delle leggi (la ratio, prevedibile e
calcolabile), in luogo del governo degli uomini (la voluntas,
considerata arbitraria ed irrazionale), in quanto il modello antropologico
sottostante, in assenza della gabbia livellante dello Stato, vi sarebbe
sottomesso.
Il
liberalismo ha anche invertito il modo in cui si prendono le decisioni
vincolanti per la società: mentre in precedenza era scontato che fosse la
minoranza dei migliori, dei sapienti, dei competenti, a decidere per tutti, con
l’epoca liberale è stato introdotto il principio di maggioranza, per
cui, in un’assemblea rappresentativa, sono coloro che conoscono soltanto la
propria convenienza, ma non hanno una visione di insieme, a stabilire la norma
valida per tutti, predomina dunque la mera forza del numero, una quantità, in
tal modo si è separata la melior pars, la minoranza qualificata, dalla maior
pars, la maggioranza degli incompetenti, i quali ora decidono il destino
dei popoli.
Non
essendovi più trasmissione ereditaria del potere, il criterio maggioritario è
stato esteso anche al modo in cui vengono scelti i vertici politici della società,
con l’elezione di rappresentanti e governanti a maggioranza dei suffragi, dopo
aver attribuito ai cittadini un voto capitario che ne equipara le opinioni al
fine di contarle, rendendo così impossibile che l’élite degli eletti
coincida con l’élite di fatto costituita dall’esigua minoranza di uomini
che sono realmente i migliori per qualità e competenza.
Il
vanto della moderna società degli eguali è la mobilità sociale, ciascuno
ha il posto che gli compete in funzione delle valutazioni effettuate dal sistema
di istruzione di massa, che però assegna agli studenti un valore burocratico in
base all’apprendimento pedestre e mnemonico dell’insieme delle nozioni inutili
da conoscere, avvantaggiando quelli meno dotati con l’uniformità della
didattica, favorendoli con gli espedienti burocratici del voto massimo, che
equipara l’ottuso volenteroso al genio, e (in Italia) del valore legale del
titolo di studio, che consente di ascendere burocraticamente la scala sociale
tramite lo Stato, datore di lavoro di ultima istanza obbligato ad accettare i
titoli che esso stesso emette.
Da
ultimo, come criterio di selezione dei migliori, c’è il mercato, che, nel
fissare il valore quantitativo di un uomo, esprime le preferenze oggettive
della collettività alle quali chiunque deve assoggettarsi come ad un decreto
divino, il cui giudizio è strutturalmente avverso alla qualità, un calciatore
varrà sempre più di un genio che, indigente in vita, se sarà fortunato avrà
gloria postuma, oltre ad essere miope, essendo incapace di segnalare problemi e
necessità a lunga scadenza, compito che spetterebbe alla politica, che, però,
vincolata dalle scadenze elettorali, non può assumere prospettive lungimiranti.
Lo
sforzo di eliminare l’irrazionalità della decisione politica ha condotto dunque
alla supremazia del mercato, che, come luogo di scambio di merci e servizi, è
sempre esistito, ma mai, prima dell’epoca moderna, era assurto al rango di
regolatore dell’esistenza degli uomini e delle nazioni, in virtù della
preferenza liberale per il governo delle leggi, estese, nel liberismo, a quelle
economiche, che hanno soppiantato la politica, dopo aver eliminato, con il
materialismo, il fondamento spirituale della vita.
I
tre sistemi legittimi di selezione degli uomini, come si è visto, falliscono lo
scopo di individuare i migliori, e questo significa che un’élite in
senso etimologico può formarsi soltanto al di fuori dello Stato moderno e del
mercato, selezionando gli elementi sulla base di criteri extraeconomici,
tenendone in considerazioni il livello di intelligenza e le qualità
caratteriali, ponendo attenzione alla formazione di sé, e deve avere
l’obiettivo prioritario di macellare il Leviatano, nemico costituzionale della
qualità.
Questa
dev’essere la missione della destra politica, che, riconoscendo la naturale
ineguaglianza degli uomini, ritiene che si debbano attribuire le funzioni del
potere alla minoranza qualificata, senza dover passare attraverso la
legittimazione dal basso, in quanto soltanto i migliori sanno riconoscere i
propri simili e selezionarli in funzione del compito che spetta ad essi, dando
così a ciascuno il suo.
Domenico Coluccio
(*)
Nato nella Repubblica Italiana, uno Stato costituzionalmente avverso al merito
che mi ha rubato la vita, nel 2003 ho attuato il passaggio al bosco rifugiandomi
nella foresta del Ribelle, che per me ha assunto la forma di una biblioteca. Da
allora vivo per ribaltare il paradigma corrente.
Bel post evoliano. Saluti Stelvio
RispondiEliminaComplimenti e saluti, Daniele
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