venerdì 6 giugno 2014

6 giugno 1944
Settant’anni dallo sbarco in Normandia


Con questi chiari di luna (economici)  la celebrazione dei  settant’anni trascorsi  dal D-Day  non è sicuramente l’evento di punta sui giornali di oggi. E invece riteniamo giusto parlarne.
Del resto l’estrema destra fascista ha sempre visto nello sbarco in Normandia l’inizio dell’egemonia americana sull’Europa, punto di vista condiviso, talvolta con decisione, anche dai comunisti.  Per contro conservatori (meno i nazionalisti), liberali, cattolici (a parte quelli  di sinistra e di destra, diffidenti verso la cultura Usa)  non  hanno mai nascosto la loro  riconoscenza  nei riguardi dei “Liberatori”.
In effetti, se gli americani non fossero intervenuti,  un’Europa sotto la croce uncinata nella migliore delle ipotesi sarebbe  diventata  la  fotocopia dell’Italia e della Germania  in formato anni Trenta, nella peggiore una gigantesca caserma al servizio di una  poderosa   macchina da guerra.
Di sicuro,  lo stato di mobilitazione permanente contro gli  Usa  unico ostacolo al dominio  mondiale, avrebbe accentuato la natura totalitaria dei regimi nazisti e fascisti.  Al di là  della questione dei valori sui quali  sono solite dividersi le parti in conflitto,  le guerre, soprattutto se moderne e in larga scala, provocano, per ragioni organizzative, gigantesche concentrazioni di potere, perché esigono unità di comando e grandiosi slanci produttivi,   favorendo,  di riflesso,  la burocratizzazione  della stessa economia di mercato. Sono fenomeni sociologici capaci di sconvolgere, rendendole meno libere, persino le democrazie, figurarsi  le dittature.
Insomma, senza quello sbarco, o comunque senza l' intervento americano,  tutto il mondo,  sarebbe stato, di fatto, meno libero (naturalmente,  parliamo di libertà umana, quindi sempre in senso relativo), e ne avrebbero risentito  anche  gli  Stati Uniti, cosa che in parte avvenne, nonostante la vittoria,  proprio con la "Guerra Fredda", altra riprova della validità dell'approccio qui suggerito.
Si tratta di un dato sociologicamente innegabile. La guerra, piaccia o meno, riduce la libertà degli uomini. Ovviamente,  ognuno di noi può avere le sue idee sulla validità dei  valori dei vincitori e degli sconfitti, ma un  fatto - ripetiamo -  è indiscutibile:  chiunque ideologicamente  si faccia portatore del valore salvifico e miracoloso della  guerra in quanto tale,  o  non capisce nulla di sociologia o spudoratamente  dichiara il falso.


Carlo Gambescia                      

2 commenti:

  1. Sono d'accordo su tutto, caro Carlo, tranne che su una parola: la "riconoscenza" che dovremmo agli Alleati. La gratitudine è un sentimento che apprezzo tanto e che cerco di coltivare nei rapporti personali.
    Sul piano politico, a me pare che a) tra la padella americana o sovietica e la brace tedesca e nazista, certo meglio la padella b) ma siccome gli Alleati non hanno vinto per farci un piacere, e ne hanno ricavato, com'era logico, cospicui vantaggi, la riconoscenza nei loro confronti sia fuori luogo. Insomma, direi che noi abbiamo già dato, e loro hanno già avuto. Sarebbe ora che ce scurdassimo, noi paisa'...o no?

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  2. La riconoscenza è riferita ai gruppi indicati. Sul piano personale, mi unisco anch'io ai conservatori, liberali e cattolici standard. Su quello politico sono assolutamente d'accordo con te: in politica la riconoscenza è un lusso. Sai che diceva Kissinger, cito a memoria, "le alleanza si reggono sugli interessi comuni, se poi c'è comunanza di valori, tanto meglio, altrimenti è lo stesso"... Se gentilmente vuoi postare anche su Fb, così copio e incollo la mia risposta...

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