6 giugno 1944
Settant’anni dallo sbarco in Normandia
Con
questi chiari di luna (economici) la
celebrazione dei settant’anni
trascorsi dal D-Day non è sicuramente l’evento di punta sui giornali di
oggi. E invece riteniamo giusto parlarne.
Del
resto l’estrema destra fascista ha sempre visto nello sbarco in Normandia
l’inizio dell’egemonia americana sull’Europa, punto di vista condiviso,
talvolta con decisione, anche dai comunisti.
Per contro conservatori (meno i nazionalisti), liberali, cattolici (a
parte quelli di sinistra e di destra, diffidenti verso la cultura Usa) non
hanno mai nascosto la loro
riconoscenza nei riguardi dei
“Liberatori”.
In
effetti, se gli americani non fossero intervenuti, un’Europa sotto la croce uncinata nella migliore
delle ipotesi sarebbe diventata la fotocopia dell’Italia e della Germania
in formato anni Trenta, nella peggiore una gigantesca caserma al
servizio di una poderosa macchina da
guerra.
Di
sicuro, lo stato di mobilitazione
permanente contro gli Usa unico ostacolo al dominio mondiale, avrebbe accentuato la natura
totalitaria dei regimi nazisti e fascisti. Al di là
della questione dei valori sui quali sono solite dividersi le parti in conflitto, le guerre, soprattutto se moderne e in larga
scala, provocano, per ragioni organizzative, gigantesche concentrazioni di
potere, perché esigono unità di comando e grandiosi slanci produttivi, favorendo, di riflesso,
la burocratizzazione della stessa economia di mercato. Sono
fenomeni sociologici capaci di sconvolgere, rendendole meno libere, persino le
democrazie, figurarsi le dittature.
Insomma,
senza quello sbarco, o comunque senza l' intervento americano, tutto il
mondo, sarebbe stato, di fatto, meno
libero (naturalmente, parliamo di libertà umana, quindi sempre in senso relativo), e ne avrebbero risentito anche gli Stati Uniti, cosa che in parte avvenne, nonostante la vittoria, proprio con la "Guerra Fredda", altra riprova della validità dell'approccio qui suggerito.
Si tratta di un dato sociologicamente innegabile. La guerra, piaccia o meno, riduce la libertà degli uomini. Ovviamente, ognuno di noi può avere le sue idee sulla validità dei valori dei vincitori e degli sconfitti, ma un fatto - ripetiamo - è indiscutibile: chiunque ideologicamente si faccia portatore del valore salvifico e miracoloso della guerra in quanto tale, o non capisce nulla di sociologia o spudoratamente dichiara il falso.
Si tratta di un dato sociologicamente innegabile. La guerra, piaccia o meno, riduce la libertà degli uomini. Ovviamente, ognuno di noi può avere le sue idee sulla validità dei valori dei vincitori e degli sconfitti, ma un fatto - ripetiamo - è indiscutibile: chiunque ideologicamente si faccia portatore del valore salvifico e miracoloso della guerra in quanto tale, o non capisce nulla di sociologia o spudoratamente dichiara il falso.
Carlo
Gambescia
Sono d'accordo su tutto, caro Carlo, tranne che su una parola: la "riconoscenza" che dovremmo agli Alleati. La gratitudine è un sentimento che apprezzo tanto e che cerco di coltivare nei rapporti personali.
RispondiEliminaSul piano politico, a me pare che a) tra la padella americana o sovietica e la brace tedesca e nazista, certo meglio la padella b) ma siccome gli Alleati non hanno vinto per farci un piacere, e ne hanno ricavato, com'era logico, cospicui vantaggi, la riconoscenza nei loro confronti sia fuori luogo. Insomma, direi che noi abbiamo già dato, e loro hanno già avuto. Sarebbe ora che ce scurdassimo, noi paisa'...o no?
La riconoscenza è riferita ai gruppi indicati. Sul piano personale, mi unisco anch'io ai conservatori, liberali e cattolici standard. Su quello politico sono assolutamente d'accordo con te: in politica la riconoscenza è un lusso. Sai che diceva Kissinger, cito a memoria, "le alleanza si reggono sugli interessi comuni, se poi c'è comunanza di valori, tanto meglio, altrimenti è lo stesso"... Se gentilmente vuoi postare anche su Fb, così copio e incollo la mia risposta...
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