giovedì 5 giugno 2014

Il libro della settimana:  Stefano Angelucci Marino, Fascistelli, Il Cerchio Editore, pp. 86 Euro 10,00. 


http://www.ilcerchio.it/fascistelli-romanzo.html


                           
Appena letta  la recensione  di  Roberto Alfatti Appetiti a Fascistelli, opera  prima  di Stefano Angelucci Marino, attore, regista organizzatore teatrale, il pensiero è andato subito alla Guerra degli Antò  di Silvia Ballestra,   uscito nel 1992,  romanzo che ruota   intorno alle vicende di quatto punk abruzzesi, giovanissimi e sognatori, che in quel di Montesilvano ingaggiano la loro personale   battaglia, fatta di denunzie, scherzi goliardici, fughe (e ritorni)  contro  il grigiore di una provincia vischiosa e cementificata.  Il tutto -  dal punto di vista stilistico e narrativo -  mescolando con juicio  italiano e abruzzese, slang e riti giovanili  primi anni Novanta del secolo scorso.
Ecco, Fascistelli in qualche misura, condivide con la  Guerra degli Antò  la classica  tematica della rivolta  generazionale  trasposta  in provincia, quindi con modalità, tic, carature proprie di un sottobosco underground che fa pensare  alle famose Guerre Pacioccone di Attalo (ma questa è un'altra storia).  Il che tuttavia,  resta vero  fino a un certo punto. Perché  il romanzo  scritto da  Angelucci   Marino, a differenza  di quello della Ballestra, per un verso guarda al variopinto mondo politico del radicalismo politico di destra con il disincanto di un' esperienza giovanile e parentetica, ormai alle spalle  (quindi niente "torcicollo"…), per l’altro  nelle ultime pagine il tessuto narrativo sterza decisamente verso il tragico. Non diciamo come...  Un evento spingerà  il  giovane protagonista, Vittorio Brasile, " lu fascistello" come lo chiamano i peasani,  che all'inizio sognava  di emulare, mescolando insieme fantasia e realtà, le gesta di  Mister No, Capitan Harlock , Robert Brasillach,   a farla  finita con la politica, per dedicarsi -  intanto -  alla carnosa Susanna, sua coetanea e compagna di pullman, ogni santo  giorno, tra Civitella e Chieti…  Casa e Liceo, Liceo e Casa…     
Ovviamente, le chiavi di lettura possono essere  molteplici: si può andare  dal viaggio  intorno a una serie di pittoreschi personaggi, che popolano (si fa per dire) la sezione missina di Civitella, per passare a quello della inevitabile disillusione politica, del  protagonista sedicenne verso un finto universo di  duri e puri,  che in pochi giorni -  siamo nel cruciale 1993 -  transumerà  dal  libro e moschetto  al democristiano perfetto. Oppure si potrebbe tentare di  mettere a fuoco, usando  la defeliciana  distinzione tra fascismo regime e fascismo movimento,  la dialettica tra fascismo reale e fascismo immaginario che  sembra innervare, animandolo,  tutto il romanzo.  L'unica chiave che sconsigliamo  è quella del nostalgico "come eravamo", o peggio dell' incapacitante  "come potevamo essere"...  Che, tra l'altro, il libro non suggerisce... Anzi. 
C’è infine  un’ altra possibilità di lettura:  quella del piccolo mondo antico, che, nel bene e nel male,  si nutre come ogni microcosmo di  persone autentiche.  Si legga l’intenso e nitido ritratto della madre del protagonista: Donna Maria,  degno di un  micro Manzoni appenninico, un Maggiore, se abbiamo capito bene, apprezzato da Vittorio-Stefano.

A casa una sera Donna Maria mi dice che è urgente, mi deve parlare. Dimmi. Prende coraggio la vecchia e mi rimprovera, in paese lo sanno tutti che l’unico fascistello contrario a fare la lista con i democristiani sono io, lo sanno tutti. E sbagli figlio mio, perché Camillo e quille è brava gente e se proprio devi fare sta maledetta politica falla nghi quille buoni che la sanno fare. In paese lo sanno tutti. Sbagli figlio mio,sbagli. Eccola qua, con quel suo sguardo ignorante e ingenuo a preoccuparsi per Vittorio suo. Le rispondo con dolcezza che la politica non è come pensa lei, mi giro e torno in camera mia. Donna Maria scoppia a piangere e va in camera sua. “Cambierà. Arriverà Dio uno di questi giorni e cambierà”, così ancora una volta singhiozzando implorava il Cristo del crocifisso appeso nella stanza. 
Mia madre da giovane era andata  a scuola dalle suore. E dopo voleva farsi monaca pure lei. Però mia nonna, e con lei tutta la famiglia, non sentiva ragioni. Meglio,molto meglio sposarsi. Paga e lavora lu marito e tutta la famiglia risparmia, sparagne
e cumbarisce. Questo andavano ripetendo a mia madre fino a quando non l’hanno convinta. Lei pregava per tutte le anime, eppure l’anima di Vittorio suo proprio non la capiva. No, non la capiva.

Un piccolo mondo antico fatto anche di squarci, che fanno la differenza.  Perché  la Civitella  - “piccolo paese della montagna d’Abruzzo incastrato nella roccia” - evocata  da  Angelucci Marino, sebbene  deturpata dal solito viadotto democristiano made Remo Gaspari (personaggio  cui sono dedicate pagine indimenticabili), non assomiglia assolutamente  alla Montesilvano  male urbanizzata e presuntuosamente vacanziera descritta dalla Ballestri. Per contro, “Fascistelli”  è tutto un  riferirsi a scalinatelle, viuzze, scorciatoie, finestre socchiuse, odori e sapori domestici, piogge, ombrelli, aperti, pozzanghere su cui saltellare facendo attenzione, piazzette silenziose che si aprono all’improvviso,  minuscole ville comunali da intitolare ai baci rubati,  magari sotto l'ala protettrice -  immaginiamo -  di una vista che toglie il fiato: l’ Abruzzo di montagna è fatto così… Ti rapisce l'anima  a colpi di  lame celesti e luminose. Proprio come Fascistelli: romanzo fulgido, dove l’autore riesce a far parlare persino le pietre.  Pietre d’Abruzzo. 
Carlo Gambescia


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