lunedì 9 giugno 2014

Gay Pride
Ignazio Marino è liberale?



Il sindaco di Roma,  Ignazio Marino, che sfila  al Gay Pride  è  un  liberale?  Il quesito può sembrare  ozioso, perché liberali,  riformisti, post-comunisti, cattolici di sinistra, secondo alcuni, sarebbero tutti membri della stessa famiglia politica progressista.  Ergo,  anche un  "piddino" per caso come Marino... 
In realtà non è così. Perché si è dimenticato che  essere insieme,  liberali e uomini delle istituzioni,  significa  essere  al di sopra delle parti.  Un sindaco, un primo ministro, un capo di stato,  non dovrebbero mai schierarsi. Per semplificare,  né con i gay né con gli antigay…  Ma lasciare che tutti manifestino  pubblicamente  le  idee,  per poi votare, altrettanto liberamente,   per il  partito  più in sintonia  con la causa in cui si crede.
Il liberalismo è  innanzitutto senso della neutralità  delle istituzioni e non identificazione di un credo politico con le  istituzioni. Fenomeno quest'ultimo  detto anche  "occupazione dello stato"…    
Si dirà, la "battaglia per il matrimonio gay"  riguarda i  diritti civili e  l’ eguaglianza dinanzi alla legge. E sia. Ma con un'importante precisazione:  l’idea del diritto “motorizzato” calato dall’alto e "somministrato" a scopo "rettificativo"  non  è liberale, ma repubblicana. E, da sempre,  affascina  i costruttivisti sociali,  ossia coloro che vedono nello stato ( e nelle istituzioni pubbliche)  un dio mortale, molto più potente di quello immortale. Qualcuno li chiama  giacobini... 
Insomma,  per le  battaglie politiche  ci sono i parlamenti. Senza dimenticare il decisivo  ruolo  prepolitico che può essere giocato da altri fattori:  l' evoluzione del costume collettivo; le trasformazioni del senso comune, la flessibilità del  diritto civile. Un sindaco che  rappresenta tutti i cittadini, in quanto istituzione super partes  non deve  comportarsi come  un attivista politico, prevaricando il parlamento e  la spontaneità, spesso ricca di contrasti,  dei processi sociali.  Un buon sindaco liberale,  per dirla con un illustre giurista, Vittorio Emanuele Orlando, oggi quasi dimenticato, dovrebbe praticare la  politica della neutralità,  

«la quale escluda assolutamente qualunque sospetto che sia   politica di protezione  d’una determinata classe sociale: una politica la quale si affermi  praticamente eguale  per tutti i cittadini (…)   che si fa crescendo  forza e prestigio  dell’autorità legale. (…)  La lotta è condizione di vita per gli uomini  come per gli stati: noi a questa lotta dobbiamo opporre una organizzazione  di stato la quale rappresenti  una protezione vigilante contro ogni oppressione ed aggressione, ma limitandosi  essa stessa nell’opprimere e nell’aggredire, un’autorità neutrale nell’acuto conflitto degli  interessi sociali e che da tale neutralità tragga la sua forza» (cit. in  F, Grassi Marini,  Saggio Introduttivo, a V.E.Orlando, Discorsi parlamentari, il Mulino Bologna 2003, pp. 40-41)
  
Questa fu la politica teorizzata da Orlando e  praticata da Giolitti, politica che garantì all’Italia  anni di crescita economica e civile.   Marino invece  cosa vuole fare? Istituire i registri per le unioni  gay, politicizzare il Campidoglio e le istituzioni,  dividere ancora di più i cittadini?  E questa sarebbe  una politica liberale?  No, Ignazio Marino non è un liberale.

Carlo Gambescia

           

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