Il libro della settimana: Agnese Silvestri, Il caso Dreyfus e la nascita dell’intellettuale moderno, Franco Angeli, Milano 2012, pp. 414, Euro 37,00.
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Talvolta i recensori parlano di libri intriganti. E spesso a sproposito. Ma cosa intendono dire? Che si tratta di volumi capaci di interessare incuriosire, allettare. Testi, insomma, che meritano di essere letti per i numerosi e vivaci piani di analisi che possono offrire. E soprattutto per la capacità dell’autore di veleggiare abilmente tra livelli analitici differenti, pur restando solidamente all’interno della rotta argomentativa pianificata. Saggi o studi che avvincono come romanzi e convincono come buoni libri di storia
Un ottimo esempio in materia, quasi da manuale, è rappresentato da Il caso Dreyfus e la nascita dell’intellettuale moderno (Franco Angeli), scritto con verve letteraria e sana acribia accademica da Agnese Silvestri, ricercatrice di Letteratura francese presso l’Università di Salerno.
Quattro i piani di lettura.
Il primo è documentario. Crediamo che la ricchezza delle fonti riunite e messe a disposizione (documenti privati e pubblici, atti processuali, articoli e libri su e di) non abbia altri riscontri, almeno nel panorama editoriale italiano. Il lettore può farsi un’idea, e di prima mano, sul rigido meccanismo militare, giudiziario e sociologico che tra il 1894 e il 1906 fagocitò il capitano Albert Dreyfus, accusato ingiustamente di intelligenza con il nemico tedesco, solo perché ebreo, borghese e benestante.
Il secondo è di tipo storico. Il libro mantiene la promessa racchiusa nel titolo, dal momento che spiega, andando dritto al nocciolo della questione, come la figura del moderno intellettuale, quale difensore dei valori di giustizia e verità, si sviluppi in contrasto con la pura e semplice difesa della ragion di stato. Aiutato in questo da un fatto storico specifico: la Francia di fine Ottocento andava modernizzandosi sul piano della comunicazione sociale. Di qui, sul nome di Dreyfus, si scatenò, come si direbbe oggi, la prima e grande battaglia mediatica a colpi di editoriali, dossier, petizioni, processi per diffamazione, manifestazioni e tumulti. Ovviamente, nella scia di una fervida e dirompente tradizione repubblicana, rivoluzionaria e dei diritti dell’uomo che affondava le radici nel 1789. Un mix esplosivo molto francese e giustamente lesivo di qualsiasi tentativo di tornare al passato pre-rivoluzionario.
Il terzo è metodologico-stilistico. I vari testi, presentati in sapiente successione cronologica e puntualmente commentati sono analizzati anche dal punto di vista della forma. Agnese Silvestri, offrendo preziosi spunti, al talvolta imbambolato lettore di oggi ( per i troppi messaggi ricevuti…), ricorda quanto, come e dove nell'infuocato dibattito dell' epoca si facesse uso del linguaggio figurato (in particolare traslati e forme retoriche). Il discorso dei dreyfusardi e degli anti-dreyfusardi viene così decostruito sotto l'aspetto della cifra e della resa linguistica. E anche su questo terreno, i difensori di Dreyfus, alla fine, sembrano avere la meglio. Riscossa che inizia con il famoso e anaforico “J’Accuse” di Zola.
Il quarto piano è di natura etica. L’ imponente apparato documentario rivela in tutta la sua crudezza quanto già fosse diffuso l’antisemitismo: un vera e propria cloaca ideologica, di una ferocia che lascia senza parole, dove affioravano quei pericolosi e maleodoranti sedimenti di matrice pseudo-religiosa, razzista e scientista che in seguito avrebbero condotto alle segregazioni e deportazioni della Francia fascistizzante di Vichy. Insomma, il libro della Silvestri racchiude anche un’importante riflessione sul male assoluto dell’antisemitismo. Il che, per l’appunto, lo valorizza sul piano etico.
Qualche critica? Ne facciano solo una, lieve. Forse si poteva dare più spazio al dibattito interno alla sinistra socialista francese. Evidenziando meglio le contraddizioni e diversità tra l’anima umanitarista e classista. Nel libro si parla molto, e con ragione, del dreyfusardo Jaurès ma poco dei suoi avversari interni. Ripetiamo: si tratta di peccato veniale. Il libro è solido, ben scritto e soprattutto riesce a parlare al mondo e non solo a una piccola cerchia di studiosi. Insomma, Agnese Silvestri si confronta, e bene, con un problema fondamentale: quello del rapporto tra intellettuali, verità e ragion politica. Questione, nella sua essenza, non solo moderna, come insegna il destino di Socrate. E che probabilmente non è risolvibile. Neppure con l'assoluta democratizzazione della conoscenza, ammesso che sia possibile. Ma questa è un'altra storia.
Carlo Gambescia
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