giovedì 4 aprile 2013

Il libro della settimana: Agnese Silvestri, Il caso Dreyfus e la nascita dell’intellettuale moderno, Franco Angeli, Milano 2012, pp. 414, Euro 37,00. 


www.francoangeli.it


Talvolta  i recensori parlano di libri intriganti.  E spesso a sproposito. Ma  cosa intendono  dire? Che si tratta di volumi    capaci di  interessare incuriosire, allettare.  Testi,  insomma, che  meritano di essere letti per i  numerosi e vivaci  piani di analisi che possono offrire. E soprattutto per la capacità dell’autore di veleggiare  abilmente tra livelli analitici differenti, pur restando solidamente  all’interno della rotta  argomentativa  pianificata.  Saggi o studi  che avvincono come romanzi e convincono come  buoni  libri di storia
Un ottimo esempio in materia, quasi da manuale, è rappresentato da Il caso Dreyfus e la nascita dell’intellettuale moderno (Franco Angeli), scritto con verve letteraria e sana acribia accademica da Agnese Silvestri, ricercatrice di Letteratura francese presso l’Università di Salerno.
Quattro i piani di lettura.
Il primo è documentario. Crediamo che la ricchezza delle fonti riunite e messe a disposizione  (documenti  privati e pubblici,  atti  processuali,  articoli e libri su e di) non abbia altri  riscontri, almeno nel panorama editoriale italiano.  Il lettore può farsi un’idea, e di prima mano, sul rigido meccanismo  militare, giudiziario e sociologico  che tra il 1894 e il 1906  fagocitò  il capitano Albert  Dreyfus, accusato ingiustamente di intelligenza con il nemico tedesco, solo perché ebreo, borghese e benestante. 
Il secondo è di tipo storico. Il libro mantiene la promessa racchiusa nel titolo, dal momento che spiega, andando dritto al nocciolo della questione, come la figura del moderno intellettuale, quale difensore dei valori di giustizia e verità,  si sviluppi in contrasto con la pura e semplice difesa della ragion di stato. Aiutato in questo da un fatto storico specifico: la Francia di fine Ottocento andava modernizzandosi sul piano della comunicazione sociale. Di qui,   sul nome di Dreyfus, si scatenò, come si direbbe oggi,  la prima e grande battaglia mediatica a colpi di editoriali, dossier, petizioni,  processi per diffamazione, manifestazioni e tumulti.   Ovviamente, nella scia di una fervida e dirompente tradizione repubblicana, rivoluzionaria e dei diritti dell’uomo che affondava le radici nel 1789. Un mix esplosivo molto francese  e  giustamente lesivo di qualsiasi tentativo di tornare al passato pre-rivoluzionario.
Il terzo è  metodologico-stilistico.  I vari testi,  presentati in sapiente successione cronologica e puntualmente commentati  sono analizzati anche dal punto di vista della forma. Agnese Silvestri, offrendo preziosi  spunti, al talvolta imbambolato  lettore di oggi ( per i  troppi messaggi ricevuti…),  ricorda  quanto, come e dove  nell'infuocato dibattito dell' epoca  si   facesse   uso del  linguaggio figurato (in particolare traslati e  forme retoriche).  Il discorso dei dreyfusardi e degli anti-dreyfusardi  viene così  decostruito sotto l'aspetto della cifra e della  resa linguistica.  E anche su questo terreno,  i difensori di Dreyfus,  alla fine, sembrano avere la meglio.  Riscossa che inizia  con il  famoso e anaforico “J’Accuse” di Zola.
Il quarto piano è di  natura  etica. L’ imponente apparato documentario rivela  in tutta la sua crudezza quanto  già  fosse  diffuso  l’antisemitismo: un vera e propria cloaca ideologica,  di una ferocia che lascia senza parole,  dove   affioravano  quei  pericolosi e maleodoranti  sedimenti di matrice pseudo-religiosa, razzista e scientista che  in  seguito avrebbero condotto  alle  segregazioni e deportazioni  della  Francia fascistizzante di Vichy.  Insomma, il libro della Silvestri racchiude anche un’importante riflessione sul male assoluto dell’antisemitismo. Il che, per l’appunto, lo valorizza sul piano etico.
Qualche critica? Ne facciano solo una,  lieve.  Forse si poteva dare più spazio al dibattito interno alla sinistra socialista francese. Evidenziando meglio le contraddizioni e diversità tra l’anima umanitarista e classista. Nel libro si parla molto, e con ragione, del dreyfusardo Jaurès ma poco dei suoi avversari interni.  Ripetiamo:  si tratta di peccato veniale.  Il libro è solido, ben scritto  e soprattutto riesce  a  parlare  al mondo e non solo a una piccola  cerchia  di studiosi.  Insomma, Agnese Silvestri  si confronta, e bene, con un problema fondamentale: quello del rapporto tra intellettuali, verità e ragion politica.   Questione,   nella sua essenza, non solo moderna, come insegna il destino di Socrate.  E che probabilmente non è risolvibile.  Neppure con l'assoluta democratizzazione della conoscenza, ammesso che sia possibile.   Ma questa è un'altra storia.    

Carlo Gambescia

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