mercoledì 24 aprile 2013


 

Albert  Einstein e il problema del  male
di Carlo Pompei




Giorni fa, su questo blog, l’amico Carlo Gambescia ha pubblicato un pezzo  dove  si poneva un problema, quello del male,  dalla soluzione probabilmente impossibile (*). Possiamo comunque provare a ragionarci su.
In un aneddoto  attribuito ad Albert Einstein si racconta che il celebre fisico, appassionato già in età giovanile di materia e antimateria, si interrogasse sulla teoria degli opposti (**). Sintetizziamo al massimo: l’oscurità non è, ma esiste soltanto in assenza di luce e il freddo non è, ma esiste soltanto in assenza di calore. Con questi presupposti egli ipotizza che il male non è, ma possa esistere soltanto in assenza di bene, dove per bene si intende soltanto amore per il prossimo, per gli atei, ma anche fede in un Dio buono per i religiosi.
È una risposta che può piacere o meno, ma è l’unica che avvicina le “fazioni” e soddisfa criteri diametralmente opposti: è inoppugnabile e attribuisce unicamente agli uomini la responsabilità della malvagità terrena. Inoltre risolve - almeno sul piano teorico - il problema della contrapposizione: dove c’è bene non c’è male, che, però, apparirà immediatamente allo sparire del primo.  Si potrebbe obiettare che uno stormo di falchi sia decisamente più pericoloso di uno stormo di pari numero di colombe, ma il punto è proprio qui: trasformare i falchi in colombe. Come?
Per gli animali non è possibile, ovviamente, ma con una educazione appropriata dei bambini sarebbe una trasformazione possibile, almeno per il genere umano, che ad oggi si conferma il più pericoloso per il pianeta.
Infatti nella realtà le cose sono ben diverse: i rapporti umani diventano ogni giorno più freddi e distanti. Al proposito, sempre ad Einstein viene attribuita questa frase: “Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato da una generazione di idioti”. Questo giorno è arrivato: fatte salve alcune rare occasioni, siamo soli anche quando siamo in tanti.
Parafrasando, potremmo affermare che la solitudine non è, ma esiste soltanto in mancanza di compagnia. Ci comportiamo con gli amici come se avessimo vicino perfetti sconosciuti; anzi, a volte parliamo più con gli sconosciuti che con chi frequentiamo da anni. I social network ne sono la prova: stupide condivisioni, interessati apprezzamenti e molti litigi, ma è tutto virtuale e, soprattutto, remoto (per fortuna per i litigi). Questo è uno dei motivi per i quali la società (?!?) moderna è cosí facilmente manipolabile da potentati pseudopolitici ed è così sguarnita e indifesa preda del male: sembriamo tutti vicini, ma siamo lontanissimi. Se qualcuno ne parlasse, magari durante una cena, non sarebbe ascoltato e sarebbe apostrofato come rompiballe o addirittura come cervellotico orwelliano. Occorre invece parlare con chi è ora accanto a noi in carne, ossa e sangue, ci sentiremo tutti subito meglio, noi e chi, finalmente, ci circonda: una vita realmente condivisa è il primo antidoto contro il male, poiché l’assenza stessa è maligna.
Carlo Pompei





Carlo Pompei, classe 1966, “Romano de Roma”. Appena nato, non sapendo ancora né leggere, né scrivere, cominciò improvvisamente a disegnare. Oggi, si divide tra grafica, impaginazione, scrittura, illustrazione, informatica, insegnamento ed… ebanisteria “entry level”.

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