mercoledì 17 aprile 2013


Il male: 
una riflessione sociologica

Riflettevamo ieri  su questo passo dell’ ABC della fede (ESD), un opuscolo scritto dal Cardinale Giacomo Biffi, gentilmente donatoci dal nostro parroco in visita alle famiglie per la tradizionale benedizione pasquale.

«È stato detto che dopo gli orrori di Auschwitz non è più possibile credere in Dio, il contrario è vero: dopo Auschwitz non è più possibile non credere in Dio, diversamente tutto nell’esistenza umana e nella storia sarebbe tragicamente inutile e quasi beffardo.
La presenza del male è un dato di fatto indipendentemente dalle nostre scelte ideologiche. Ma per chi non crede è un assurdo assolutamente irrimediabile; per chi crede diventa un “mistero”, cioè una realtà che, essendo più alta di noi, proprio per questo ci può salvare dalle nostre contraddizioni » (p. 12).


Come studiosi di sociologia riteniamo che il male giunga da lontano: esisteva prima di Auschwitz e continua (e continuerà) a esistere dopo.  Il male e il bene sono   effetto di quella  socievolezza-insocievolezza (per dirla con Kant) che costituisce la natura umana. Le istituzioni sociali e culturali  possono mitigare o accentuare gli aspetti positivi o negativi racchiusi nella “costituzione umana”, ma non  sopprimerli.
Come cattolici, pensiamo che l’uomo possa scegliere il bene e orientare la propria vita verso criteri di verità ultraterreni e quindi salvarsi, come osserva il Cardinale Biffi, dalle “contraddizioni”. Ma la salvezza resta un fatto personale e individuale (perché non tutti possono o vogliono scegliere il bene). Inoltre, come provano  storia e sociologia, non è facile prevedere gli esiti delle azioni sociali, anche se intenzionalmente motivate, cosicché dal bene può nascere il male e viceversa.
Pertanto, il male non è assolutamente “un assurdo” sociologico. Ma non è neppure un “mistero”, sempre dal punto di vista della natura sociale-insociale dell’uomo. Insomma, il male può essere definito assurdo non solo dal non credente, come sostiene il Cardinal Biffi, ma anche dal cattivo sociologo…
Si dirà  che in questo modo poniamo la “natura sociale” al posto della “natura divina” delle cose. E che quindi rischiamo l’accusa di panteismo sociologico.
Giustissimo. Diciamo però che la nostra è un’analisi di “primo livello”, o se si preferisce, terra terra. Non escludiamo, insomma, che la spiegazione tutta terrena  del male,  qui offerta,  possa essere agganciata  a una sociologia del Soprannaturale o della Salvezza.  Ma come? Probabilmente partendo dal concetto di non assurdità del male. Sotto tale aspetto,  l’imperfettismo sociale (la socievole-insocievolezza), teorizzato da pensatori cristiani e non (da Rosmini a Pareto), può essere una buona base cognitiva di partenza.

E qui, per oggi, ci fermiamo.

Carlo Gambescia

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