Il libro della settimana: Paolo Armaroli, Lo strano caso di Fini e il suo doppio nell’Italia che cambia. Tutte le anomalie della XVI legislatura e oltre, Mauro Pagliai Editore 2013, pp. 240.
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Chissà oggi dove sarà Gianfranco Fini? L’anno scorso tagliava nastri e
celebrava il 25 Aprile, oggi, stando al gossip poco benevolo,
potrebbe essere nuovamente all’Ikea a fare piccole spese domestiche in
compagnia della moglie (http://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/1215876/Fini--trombato-alle-urne--si-da-allo-shopping-low-cost--con-la-Tulliani-all-Ikea.html ) .
Riposo del
guerriero? Sì. Ma, probabilmente, a tempo indeterminato. Anche se in
politica, come si consiglia, mai dire mai… Comunque sia, chi
tuttora abbia qualche nostalgia della "battaglia" di Fini contro
Berlusconi, al tempo stesso presidente della Camera
e leader di un neo-gruppo parlamentare, non può non leggere -
soprattutto per guarirne rapidamente – il libro dal respiro
filangeriano, del professor Paolo Armaroli: Lo
strano caso di Fini e il suo doppio nell’Italia che cambia. Tutte le anomalie
della XVI legislatura e oltre (Mauro
Pagliai Editore). Dove, da raffinatissimo studioso di scienza costituzionale e
parlamentare, Armaroli - tra l’altro penna assai vivace
- illumina i risvolti istituzionali di un’operazione politica
tesa a far fuori Berlusconi. Alla quale, Fini si è prestato neppure tanto
elegantemente.
Si dirà, ma il
professor Armaroli parla, se ci si perdona l’espressione, da “trombato”. Nel
senso che, se ricordiamo bene, Fini pose il veto alla sua ricandidatura
nel 2001. Di qui, l’assenza di serenità… Al contrario, siamo
davanti a un libro molto equilibrato, dove addirittura si avverte laica
pietà verso un Gianfranco Fini costretto - certo, non per altrui scelte -
a sdoppiarsi: «irreprensibile dottor Jekyll intra
moenia, inquietante come il signor Hyde fuori dalle mura» della
Camera dei Deputati (p. 11). Un eccesso di pressione nervosa su una
personalità, sicuramente “di ghiaccio", ma non oltre
ogni umana misura. Un equilibrio, già precario, messo
defintivamente a dura prova dal devastante flop elettorale: 0, 46
per cento.… Il che potrebbe spiegare in chiave post-basagliana
i terapeutici tour familiari all’Ikea e la
malinconica scomparsa di Fini dalle cronache politiche.
Dicevamo
dell’equilibrio di Armaroli. Ecco un esempio: « Non c’è solo (…)
l’anomalia costituzionale di una maggioranza e di un governo che vorrebbero
disfarsi del presidente della Camera. No c’è anche la simmetrica anomalia di un
inquilino di Montecitorio, che, dismessi i panni dell’arbitro, fuori del
palazzo fa politica tutto campo, contesta l’indirizzo politico del Pdl e del
governo con espressioni sovente sopra le righe e si ripromette, quando capiterà
l’occasione di liquidare un ministero che senza i voti dei suoi fedelissimi non
detiene più la stratosferica maggioranza parlamentare di una volta. Ora, non è
che l’una anomalia annulla per così dire l’altra. Niente affatto la verità è
che alla prima anomalia si aggiunge la seconda, con il risultato che ogni
regola viene stravolta. Il guaio è che c’è chi pone l’accento sull’una anomalia
e chi invece tende a mettervi un po’ la sordina. Cosa che invece un osservatore
imparziale non dovrebbe mai fare» (p. 23).
Pertanto Fini, non
poteva essere sfiduciato, perché «la sfiducia non è prevista né dalla
Costituzione né dai regolamenti di entrambi i rami del Parlamento» (pp.
178-179). Poteva solo dimettersi. Dal momento che il potere del
presidente della Camera (come quello del Senato) è considerato un potere neutro,
un potere non potere, cosicchè dove non c’è potere, chiosa Armaroli
sulla scia di illustri precedenti dottrinari, non c’è responsabilità e
quindi “sfiduciabilità”. Al massimo, si poteva, sciogliere la Camera dei Deputati,
appellarsi alla sovranità popolare e poi rieleggere un nuovo presidente.
Del resto, come
mostra il professore, che seziona undici-sedute-undici (pp. 43-122), «sia
pure con qualche caduta di stile, il giudizio sulla conduzione dei lavori
parlamentari da parte di Fini è positivo. Non lo diciamo solo noi, si badi. Lo
afferma implicitamente la stessa maggioranza parlamentare, poco incline a fare
sconti a un presidente della Camera passato dal centrodestra all’opposizione.
Difatti la maggioranza non contesta tanto le decisioni della presidenza e,
quanto lo fa, di solito non porta argomenti validi a sostegno della proprie
tesi. Quanto piuttosto imputa alla presidenza di non essere super
partes quando fuori
dalla Camera si comporta né più né meno come uno dei tanti attori politici in
circolazione» (p. 122).
Ma come - ecco il
punto - evitare un altro “caso Fini”? Combattendo la malattia
partitocratica. Ma in che modo? Se abbiamo capito bene, rafforzando la
stabilità dei governi, riducendo il numero dei partiti, senza per questo
indebolire troppo il ruolo del Parlamento. Insomma, una specie di quadratura
del cerchio… Almeno in Italia. Bisogna però tentare. Altrimenti il peggio
potrebbe essere dietro l'angolo.
«Nella Prima
Repubblica - osserva preoccupato Armaroli - istituzioni deboli sono state
compensate da partiti forti. Nella Seconda Repubblica il bipolarismo ha
garantito un minimo di governabilità, a dispetto di istituzioni mai riformate a
dovere. Nella Terza Repubblica, quella dei giorni nostri, ci manca di tutto:
partiti responsabili e istituzioni forti. Ma anche i regimi politici hanno
orrore del vuoto, E allora, per dirla con De Gaulle, il potere non si prende.
No, si raccatta da parte del primo venuto. Weimar docet»
(p. 224) .
Carlo Gambescia
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