La scomparsa del regista
Due parole su Mario Monicelli
Mario Monicelli era ruvido di modi, chiuso e supponente. A differenza di quanto
ora si dice, il regista non amava il popolo, e se lo amava lo amava dall’alto,
molto dall’alto… Come del resto illustra la sua filmografia, da cui il popolo,
in particolare italiano, esce a pezzi: avido, arruffone, vigliacco, antieroico
per eccellenza, una plebe che muore sempre battendo i denti.
Piaceva alla sinistra? Non da subito. I suoi film ancora negli anni Settanta
erano recensiti quasi sempre negativamente. Dopo di che, i vari Veltroni -
contrordine compagni - lo sdoganarono. Celebrando proprio quel che del regista
non era mai piaciuto ai comunisti: il monadico e dissacrante individualismo.
Ora che non c’è più, si incensa il “compagno” Monicelli addirittura come
“rivoluzionario": un regista ultraborghese che sul set era più duro di un
ufficiale coloniale britannico, soprattutto con i giovani. Ma si sa, a una
sinistra onnivora tutto è permesso.
Da manuale, anche
nell’abbigliamento gauchiste,
la compagnia di giro esibitasi in via dei Serpenti e dintorni. Perfino nelle
modalità della morte, frutto di una devastante disperazione da ateo non devoto,
i post-compagni hanno voluto scorgere una scelta di libertà. Un esempio quindi.
Certo, soprattutto per gli adolescenti a rischio...
Per quale ragione i suoi film piacevano tanto agli italiani? Probabilmente,
perché facevano ridere. Ma come si ride - ecco il punto - quando ci si guarda
attraverso uno specchio deformato. Tutto qui.
Carlo Gambescia
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