Il libro della settimana: In alto a destra. La replica di Giuliano Compagno, e la "controreplica" di Carlo Gambescia...
Pubblichiamo,
grazie alla gentile autorizzazione, la replica del dottor Giuliano Compagno
alle recensioni ricevute. L'articolo è apparso sul “Secolo d’Italia”.
Il dottor Compagno
risponde in modo garbato ed elegante, anche alle nostre critiche (http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.it/2010/08/il-libro-della-settimana.html ). E di questo lo
ringraziamo.
.
Carlo Gambescia
Sarà pure tipicamente italiano stizzirsi per una critica meno compiacente del
solito ma la penso piuttosto come Pauline Kael, per la quale i critici erano
“le uniche fonti d’informazione indipendenti”. D’altronde era prevedibile che In
alto a destra non avrebbe suscitato il plauso unanime degli intellettuali e dei
giornalisti. Auspicio addirittura paradossale, se applicato alla politica
spicciola. Da “sinistra” il silenzio sarebbe stato, al massimo, rotto da
qualche repentino cambio di argomento; da “destra” il rumore sarebbe stato
molto riconoscibile, quello un po’ anacronistico degli ex rivoluzionari o
quello attualissimo dei berlusconiani “alla giapponese”. Ciascuno avrebbe
tirato acqua al mulino delle proprie convinzioni profonde o contingenti.
Ciascuno avrebbe attinto al pozzo della propria storia e delle proprie utopie.
Anche questa è una forma di buona fede, anche questo, in fondo (a “destra” come
a “sinistra”) è dialogare, specie quando lo stile e la raffinatezza, conditi da
polemiche e da motti di spirito (perché no?), contribuiscono a stimolare una
successiva riflessione ragionata. Discorso a parte meriterà il bellissimo
articolo di Pietrangelo Buttafuoco
apparso su “Libero” del 12 agosto scorso, poiché tra le sue righe si agitano il
cuore e l’intelligenza, talvolta litigando tra loro… Per il resto appare
interessante la circostanza che, dal complesso degli appunti a margine, possa
trarsi una prospettiva critica assai completa, in cui coabitano la tradizione e
l’attualità, l’eresia e il moderatismo, ovvero tutto quel che alberga, quasi di
riflesso, in ogni buon libro collettaneo. Prendiamo a esempio la nota di Fabrizio Esposito su “Il
Riformista” a proposito delle presunte contraddizioni tra certe immagini
“gaudenti” e la supposta profondità di un volume come il nostro. Che cosa
interessa davvero in questo accenno – affatto violento o aggressivo, va detto -
se non il problema della coincidenza tra la sfera pubblica e quella privata di
chi rappresenta le istituzioni? Ora, se per anni non abbiamo fatto altro che
apprezzare la sobrietà sincera di Veronica Lario nel suo ruolo di First Lady,
nulla ci impedisce oggi di qualificare col termine di “inappuntabile”
l’assoluta riservatezza sin qui tenuta da Elisabetta Tulliani nella sua posizione
di compagna del Presidente della Camera dei Deputati. Esposito non milita tra
l’altro in quella squadra di volgarissimi sessisti che si compiace di esporre
foto osé di donne “pubbliche” non appena esse diventino scomode (le Signore
Lario e Mussolini ne pagarono a loro tempo la fatwa), né certamente
l’apparizione in un programma di intrattenimento lo istiga minimamente a un
giudizio morale. Resta tuttavia la sensazione di un generale disordine, in cui
pubblicità e privatezza finiscono per essere dolosamente mescolate, come se
tutto equivalesse al contrario di tutto e come se ciascuno di noi, senza
eccezioni, fossimo gli “utilizzatori finali” della medesima mondanità,
degradata e mercificata. Non è così. La dialettica politica italiana è ormai
preda di una duplice deriva, la cui matrice è la stessa (la manipolazione) ma i
cui effetti sono opposti: da un lato si assiste all’uso ossessivo di paragoni
improponibili, per cui comportamenti e attitudini assai differenti vengono
capziosamente assimilati tra loro; dall’altro si cerca di rappresentare una
realtà concreta del tutto invertita rispetto allo stato dei fatti. Fenomeno,
quest’ultimo, rintracciabile nell’affettuoso commento di Antonio Angeli su “Il Tempo”,
secondo cui gli autori di In alto a destra apparterrebbero alla specie degli
idealisti sognatori, mentre la politica sarebbe “sacrificio, mediazione,
condivisione e capacità di inghiottire rospi e anche belli grossi. Come fa
Berlusconi.” Io sono certo che Angeli creda fermamente in quel che scrive, tant’è
che ancora definisce il Premier “presidente operaio”. Egli è convinto che il
“presidente operaio” voglia un’Italia “giusta, efficiente e moderna” e che
probabilmente una congiura fenomenica, ordita da comunisti, da magistrati e da
finiani gli abbia impedito di realizzare un programma di governo perseguito con
serietà e con ostinazione. È la nota retorica del “fare”. La stessa usata da
qualsiasi leghista che si rispetti. È la solita cotoletta alla milanese del
“lavoro guadagno spendo pretendo”. Sono anni che la assaggiamo ma non c’è nulla
da fare: non ci sfama.
Certo, in taluni casi potremmo porre la questione del pulpito, chiederci da
dove provengano certe invettive. Varrebbe la pena? Sarebbe mai stato
immaginabile, dal giornale on-line della Fondazione Magna Carta di Gaetano
Quagliariello, un articolo di colore diverso da quello dipinto da Luca Negri? Ricco di sapide ironie
come la seguente: “La quarta di copertina ci informa del fatto che tutti gli
‘autori sono teste libere e pensanti, che non prendono ordini da nessuno, che
non sono pagati da chicchessia’ (dunque la notizia è che la fondazione Fare
Futuro e l’ex quotidiano del Msi non pagano i collaboratori?).” A parte il gran
divertimento che provoca in chi la legge, l’esilarante battuta non è forse il segno
di un witz perfettamente freudiano? Di un sogno a occhi aperti che rimuove la
coscienza vigile di chi scrive? Ma è quando l’autore impazza con citazioni di
cui non è all’altezza che il gioco si fa durissimo! Diamine! Rilancia con Marco
Tarchi e con il suo supposto stupore di trovare “i suoi antichi sodali nei
pressi di chi in passato epurò le loro idee” (che ancor oggi farebbero comodo
al Negri quanto il pensiero di Storace…) e opina che a dubitare delle categorie
destra-sinistra si finisce per assomigliare al Bifo di Radio Alice. E lo cita
persino!... “I processi di deterritorializzazione appaiono irreversibili e il
multiculturalismo un fatto compiuto.”, senza sapere che in realtà non va
citando Bifo ma Gilles Deleuze, di cui probabilmente ha orecchiato un paio di
concetti sul web. Ora, esiste un problema di livelli e ne prendiamo atto. Non
si può percorrere una vita a ritroso e prendere i libri in mano ma non è colpa
nostra se la sintesi di una critica ad altissimi valori biliari si riduce al
cosa dicevano, un tempo, questo e quello. Anzi a questo proposito, qualora le
informazioni gli servissero per una futura, fondamentale monografia, vorrei
personalmente informarlo che nel 1974 vendevo “Anno Zero” fuori delle scuole ma
che poi, tra il 1983 e il 1987, sono stato un dirigente di Amnesty
International, con ciò tenendo a cuore anche il destino del Professor Paolo
Signorelli (a cui volevo un bene dell’anima e di cui ancora piango la Sua morte), detenuto in attesa
di giudizio per dieci anni e che persino, non ricordo in quale anno, devo aver
votato radicale… Ma che con tutto ciò proprio non m’è riuscita di entusiasmarmi
per Silvio Berlusconi, né come statista né come brianzan-lover né come
barzellettiere. Lo ammetto, caro Negri, nemmeno io sono stato tutto d’un pezzo,
ma cosa vuole, dallo scioglimento di MPON a oggi sono trascorsi appena
trentasette (37) anni… Però su Marcello
Veneziani posso dire che l’ho ascoltato spesso, che è un uomo
colto e ci si può discutere bene. Quanto al “relativismo postmoderno” che ci
attribuisce, a parte perdonarle il frusto ossimoro, non posso che ringraziarla
del complimento, giacché la postmodernità è pur sempre una categoria seria e il
volumetto di Jean-François Lyotard è tuttora acquistabile in libreria. Ebbene,
sfogliandolo scoprirà che il problema non attiene affatto agli “innesti
culturali” ma al tacersi del grande racconto ottocentesco, o allo sviluppo
della scienza e della tecnologia che andrebbero a riflettersi, come sistemi
agenti, sulla creatività e sulle arti contemporanee.
Anche Carlo Gambescia,
nel suo blog metapolitico (per Il Foglio Letterario edizioni ha pubblicato il
saggio Metapolitica. L’altro sguardo sul
potere), non ci risparmia del sarcasmo un po’ facile, che però
imputiamo alla sua sincera vocazione di studioso: l’umorismo potrebbe non
essere il suo campo specifico. Ma il suo attacco viene da un versante opposto:
lui ci vede rasoterra, da politica reale, un po’ casiniani se non addirittura
dorotei… Croppi come Mariano Rumor! Lanna e Rossi come Gava e Scotti! Ma che
abbiamo fatto per meritare tutto questo?!? Si celia eh? Invece non si scherza
nel diagnosticarci un movente freudiano, quello di “superare antichi complessi
d’inferiorità, cercando di accreditarsi a sinistra come destra ‘buonista’ e
‘libertaria’…” Non si comprende appieno se il complesso sia politico o
culturale ma in entrambi i casi dovremmo metterci d’accordo sul grado di
decomposizione delle solite categorie. E magari porci il seguente quesito: se
un cittadino propone soluzioni a problemi attinenti l’immigrazione, l’ambiente,
l’economia globale, la bioetica, la morale pubblica, i diritti e i doveri che
siano diversi dai respingimenti, dal nucleare, dalle furbizie casearie, dal
linciaggio del Signor Englaro, dall’azione delle cricche, dallo sfruttamento
della prostituzione e dal fregarsene del senso civico, costui sarebbe di destra
o di sinistra? O più semplicemente un italiano ragionevole che i muri e le
palizzate le ha già superate in scioltezza?
Giuliano Compagno
***
Che dire di una replica così garbata?
Che chi scrive si sente come il “Grande Inquisitore”… Il cuore ferito brucia,
ma le idee non vacillano.
Due cose.
Sul doroteismo, continuiamo ad essere
assai meno fiduciosi del dottor Compagno. I tatticismi del Fli, anche in questi
giorni, sono sfibranti e sanno di déjà vu
democristiano.
Quanto ai “problemi riguardanti
l’immigrazione, l’ambiente, l’economia globale, la bioetica, la morale
pubblica, i diritti e i doveri” anche qui continuiamo a credere che esistano
risposte di destra e di sinistra. Certo, sulla morale pubblica non ci si può
dividere. Anzi, non ci si deve... Ma si tratta di valori etici: pre-politici.
Dopo di che si deve tornare a fare politica. E come? Dividendosi. Anche perché
su tutto il resto - e così auspicano gli elettori (stando almeno alla Ricerca
Itanes 2007) - non possono non esserci politiche di destra e di sinistra:
dall’immigrazione alla bioetica, dall’economia all’ambiente. Pensare la
politica diversamente sarebbe impolitico: la politica è decisione, e decidere
significa giudicare, e giudicare vuol dire gerarchizzare, e quindi dividere. In
definitiva, l'unità è sempre temporanea e contro qualcuno. Vogliamo non
chiamarle Destra e Sinistra? E sia. Ma ricordiamo che psicologicamente e
sociologicamente esisteranno sempre uomini affezionati allo status quo, allo status quo ante
e, diciamo così, alla posteritas...
Perciò è vero, delle due l’una: o
si finge, per agguantare il potere in chiave dorotea, o si avverte un complesso
d’inferiorità verso una sinistra che dopo aver ripudiato il marxismo ha sposato
in tutta fretta la causa dell' umanità. Altro giro, altro mito.
Naturalmente, qualche singolo
intellettuale (la classica eccezione...), come il dottor Compagno, è in
perfetta buona fede. Ma, di sicuro, non lo è Gianfranco Fini.
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Carlo Gambescia
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