A molti lettori non sarà sfuggito
l'articolo di Marcello Foa sulla possibilità che alla caduta di Berlusconi
possa far seguito un "governo tecnico" (http://blog.ilgiornale.it/foa/2010/12/01/la-crisi-finanziaria-ci-regalera-il-governo-tecnico/
). Scrive Foa: "Il governo tecnico provvisorio, di tre mesi in tre mesi
diventerà definitivo. Fino alla fine della Legislatura. Il tempo necessario per
logorare il Cav ed estrometterlo definitivamente". Ovviamente, Foa parla
come Cicerone pro domo sua...
Di riflesso, qualche lettore -
sospettoso o disposto a vendere l'anima al diavolo pur di liberarsi del
Cavaliere - potrebbe scorgere nel "governo tecnico" il male minore.
Perciò, a scopo dissuasivo, pubblichiamo in argomento l'arguto post dell'amico
Teodoro Klitsche de la Grange .
Buona lettura. (C.G.)
.***
Governo tecnico? Ma
mi faccia il piacere
di Teodoro Klitsche
de la Grange
Tra le ipotesi che si fanno in quello che
appare ormai uno scorcio di legislatura, per il dopo voto di fiducia, due
prevalgono: da parte degli oppositori di Berlusconi che sia necessario un
governo “tecnico”; dall’altra parte l’immediato ricorso alle urne.
E la motivazione – e principale occupazione del governo “tecnico”-, a dire di
coloro che lo caldeggiano - sarebbe di rifare la legge elettorale, perché
quella che c’è è sbagliata (e siamo d’accordo); ma come bisogna cambiarla,
penso di non essere d’accordo - perché le intenzioni delle opposizioni sono,
verosimilmente, di togliere (o ridurre) il premio di maggioranza.
Ma c’è un fatto, che mi risulti, nessuno ha notato: se la ragione di un governo
“tecnico” è riformare la legge elettorale, significa che questa è una questione
(una legge) “tecnica” e non politica. Ma è vero che è tecnica?
Ad essere esatti il costituente ha – opportunamente – sottratto, con l’art. 72 della
Costituzione alcune categorie di leggi (tra cui quelle elettorali) alla
procedura “semplificata” di esame ed approvazione in commissione, riservandola
a quella normale da parte del “plenum” delle Camere. Ma perché le leggi
elettorali (e in modo simile le altre enumerate dal IV comma dell’art. 72) non
possono essere approvate in commissione? A chiarirlo soccorre – tra l’altro –
una forma di “tradizione orale”. Mi raccontava quasi quarant’anni fa l’on. Aldo
Bozzi che quando egli era giovane (e attivissimo) deputato alla Costituente, il
vecchio Orlando gli ripeteva che, in uno Stato rappresentivo-parlamentare la
vera Costituzione è la legge elettorale: perché questa regola la selezione e
l’accesso al massimo organo, il Parlamento, il che significa regolare accesso e
selezione al potere “supremo”. Ovvero ha la stessa funzione della legge salica
(o delle altre leggi di successione) nelle monarchie: garantire la continuità
del potere e la certezza dell’avvicendamento allo stesso. Dato che a fare
un’unità politica costituita – come scriveva, tra i tanti, Hegel – non sono
l’unità “di pesi e misure” e neanche delle leggi, ma il potere supremo di
comando, regolare la successione a questo significa garantire l’esistenza (e il
perdurare) dell’unità politica.
Può essere definita “tecnica” questa esigenza primaria e imprescindibile per
l’ordine comunitario?
A voler poi precisare il senso di “tecnico” in un contesto politico, significa
che il potere – quello del governo – dev’essere esercitato da “tecnici” sui
non-tecnici, giacché ogni potere, come scriveva Hobbes, è di un uomo su un
uomo.
Ma proprio perché è di potere su uomini di cui stiamo discutendo, è chiaro che,
tale aspetto è decisivo: non si tratta genericamente di una “tecnica” nel suo
significato usuale: quello di regole per dirigere un’attività efficace e in
particolare, nell’età moderna, le macchine
all’uopo realizzate. Piuttosto appare evidente l’intento di associare un
qualcosa di accattivante (il “bravo tecnico”) ad una proposta politica, volta al fine di realizzare
un obiettivo politico (una repubblica parlamentare-consociativa) e d’impedire
la realizzazione dell’opposto (un regime, in qualche misura,
presidenziale-plebiscitario). Cioè un qualcosa d’essenzialmente e squisitamente
politico (v. sopra).
Quanto poi a coloro che credono che i “tecnici” siano quanto di migliore offre
il mercato ricordiamo il penetrante giudizio di Benedetto Croce il quale a
proposito di politica e governi (tecnici o meno) scriveva: “Entrerebbero in
quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia e
via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle
intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e
l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia per altro la
politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono,
essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice
tecnica.
Quale sorta di politica farebbe codesta raccolta di onesti uomini tecnici, per
fortuna non ci è dato sperimentare, perché non mai la storia ha attuato
quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo”.
Alla politica non c’è, insegna don Benedetto, rimedio: farlo credere è
ingannare, pensarlo è farsi ingannare.
.
Teodoro Klitsche de la Grange
Avvocato, giurista, direttore del
trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).
Nessun commento:
Posta un commento