I giovani e la politica
Non basterà
essere eletti
Chiacchiere
tante, fatti pochi, I giovani in politica restano fermi al palo. Colpa delle
false speranze create dal giovanilismo post-sessantottino? Oppure di una classe
politica ultrasessantenne che non vuole mollare l’osso agli under trenta?
Difficile dire. Meglio agire, ma come?
Secondo i “giovani” deputati Sandro Gozi, Pd ( classe 1968) Gianluca Pini (classe
1973), Pdl, Nicola Formichella, Lega Nord ( classe 1975) basterà approvare una
proposta di legge che verrà presentata nelleprossime settimane, tesa ad
abbassare l’età perl’elettorato attivo e passivo, sia alla Camera che al
Senato. Detto altrimenti: Todos Onorevoli a 18 anni e Senatori a25.
Attualmente, a 18 anni si può votare per eleggere un deputato, ma bisogna
averne non meno di 25 per essere eletti alla Camera. Mentre sono richiesti 25
anni per eleggere un senatore, ma non si può essere eletti al Senato prima di
40.
«In Parlamento - osserva Gozi, promotore dell’iniziativa - occorre pensare al
futuro e dare spazio e priorità a chi il futuro lo rappresenta, alle nuove
generazioni. Laparte più creativa della società non può determinare le leggi
delloStato in cui vive. Nella società dell'informazione la conoscenza
èconcentrata nei giovani. Che però non possono decidere quale società
dell’informazione possono avere, quale libertà dare alla rete, quali debbano
essere diritti e garanzie della privacy. Ma soprattutto quale futuro darsi».
Del resto, conclude, « le norme oggi in vigore rappresentano una
meradiscriminazione basata sull’età che non ha ragione di esistere e
checoinvolge più di 5 milioni di persone».
I nostri magnifici tre peccano d’idealismo. E per una ragione molto semplice: i
giovani sono lontani anni luce dalla politica. Stando allo Iard (Rapporto 2007), massima autorità
italiana in argomento, due giovani su tre (tra i 15 e 34 anni) non si
interessano di politica. E hanno come valori di riferimento amicizia, lavoro e
amore. Anche nei riguardi della religione non c’è grande interesse.
Oggi, insomma, ci troviamo davanti a ragazzi che, a differenza dei padri e dei
nonni, non credono più nell’ideale sessantottino del “privato uguale pubblico”…
E quindi nella capacità della politica di “cambiare” il mondo. Un altro aspetto
interessante, che viene fuori, è quello della bassa sindacalizzazione dei
giovani e in particolare della percezione negativa, o comunque non positiva,
del sindacato quale strumento di difesa del lavoratore. Altro ideale
sessantottino andato in frantumi…
Gozi, Pini e Formichella, ripetiamo, si fanno troppe illusioni. Perché,
probabilmente, l’abbassamento dell’ età per eleggere ed essere eletti alla
Camera e al Senato, dopo un entusiasmo iniziale, non muterebbe di un virgola
l’atteggiamento di sostanziale disinteresse dei giovani verso la politica. E
qui va ricordato che negli altri paesi europei, dove l’età per essere eletti in
Parlamento è più bassa che in Italia, come Finlandia, Germania, Olanda, Svezia,
Regno Unito, Spagna e Portogallo, l’interesse dei giovani nei riguardi della
politica è addirittura minore che in Italia.
Ci troviamo perciò davanti a un problema strutturale. Anche perché, ammesso
pure che i giovani italiani di colpo “rinsaviscano” politicamente, quale
potrebbe essere la sorte di un giovane peones parlamentare? Non diversa da
quella del maturo peones… Ovvero, contare meno di zero…
Per dirla fuori dai denti: un ipotetico senatore venticinquenne di belle
speranze, davanti al capogruppo settantenne, un vero lumacone a sua volta
ammanicato con altre potenti cariatidi di partito, e dunque capacissimo di
stroncare una giovane carriera in cinque minuti, di quanto potere decisionale
potrebbe disporre? Il lettore può rispondersi da solo.
Dalle interessanti indagini condotte da Carlo Carboni ( Élite classi dirigenti in Italia,
Laterza 2007) sulla banca dati del Who’s
who , che riduce a 5500 i personaggi di spicco italiani in tutti i
campi, risulta «che i quattro quinti dei potenti over 60 erano presenti già a
partire, come minimo, dal 1998, mentre si riscontra una percentuale pressoché
dimezzata fra coloro che avevano nel 2004 massimo 40 anni». Amare le sue
conclusioni: «Si entra quindi tardi nell’élite (da quarantenni o molto più spesso
da cinquantenni), ma vi si resta fino a tarda età».
Perciò, largo ai giovani. Ma come? Col mitra.
P.S. Ovviamente scherziamo.
Carlo Gambescia
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