giovedì 23 dicembre 2010

Il libro della settimana: Nicola Vacca, Serena felicità nell’istante, prefazione di Paolo Ruffilli, Edizioni Il Foglio Letterario 2010, pp. 100, euro 6,00. 


http://www.ilfoglioletterario.it/

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Come non condividere ciò che scrive Paolo Ruffilli nella nitida prefazione? Che Nicola Vacca “con una bravura istintiva (…) riesce a muoversi in mezzo ai mille trabocchetti dell’eterna vicenda amorosa, riconsegnandone al lettore un attraversamento inedito, perfino sorprendente e, in ogni caso, inaspettato. E gli riesce in ogni pagina, nel giro breve di qualche verso, di qualche strofa al massimo, e nella forma inquietante della poesia che tutto evoca e tutto disperde, facendo intanto trasparire per intermittenza il percorso accidentato che gioie e desideri disegnano per le occasioni dell’amore che, sia pure nella continuità e nella ripetizione, restano comunque irripetibili”.
Giustissimo. Vorremmo solo aggiungere che è vero che nell’ultima fatica poetica di Nicola Vacca, Serena felicità nell’istante (Edizioni Il Foglio Letterario 2010, pp. 100, euro 6,00), si parla “dell’eterna vicenda amorosa”, ma - attenzione - la si affronta “sulla soglia” della crisi che avvelena il nostro tempo. Si legga qui: “Incombe dalle mani nude/l’urgenza di sentire quel qualcosa/di vero di cui abbiamo bisogno./È nudità anche la parola che sa attraversare/ la carta stanca di parlare./Abbiamo necessità di scatenare assalti di dignità./ Perché l’oggi ferito/non sia divelto dagli oracoli del male./ Anche il più vicino vuoto d’amore/ avrà nell’ultimo bacio che ti ho dato/ il suo momento di felicità.” ("Sulla soglia").
L’amore come forma di resistenza al male? Certo. Ma non nei termini di scontata e dolciastra fuga a due dalla realtà. Tutt’altro. Il poeta non parla soltanto a Serena, sua dolce compagna, ma a tutte le anime forti: “Cresce un altro giorno e tutto scorre./Non possiamo fermare/ il cuore e la mente/quando le nostre bocche/declinano il verbo amare./Abbiamo l’età giusta/per abitare la nostra casa in comune/nella bellezza delle cose/semplici e vere.” ("La nostra casa in comune").
Tra le pericolanti rovine della mente e del cuore che oggi ci circondano - tutti - Nicola Vacca scorge e declina il Katechon delle “cose semplici e vere”. Quelle che fanno "da freno" al male che avanza, come qui: “Non è vero che col tempo/tutto scompare/se sappiamo tenere/nel nostro sangue/quello che sembra andare via./È per questo che ti amo.” ("È per questo che ti amo"). Oppure qui: “La distruzione s’impossessa del pianeta/ e si prepara alla cacciata definitiva dei viventi./Davanti allo scempio che svuota i cuori/siamo ancora parte della creazione mutilata./Non è mai troppa la tenerezza che ci scambiamo/ per resistere all’oltraggio dell’imperfetto.” ("Amore e disastri").
Insomma, una poesia che indica vie di resistenza, proprio perché ruota intorno a quell' anatomia in versi della crisi, che da sempre innerva l’opera poetica di Nicola Vacca. Servono però anime forti disposte ad ascoltare. Ma anche capaci di andare oltre la logica difensiva del Katechon. Che frena ma non salva. Dal momento che solo un Dio ci potrà salvare. Ma non tutti lo credono. E bisogna prenderne atto.
Certo, resta l’amore, che però è anche parola. E che perciò rimane sempre sospeso, per dirla con Michelstaedter, tra persuasione e rettorica... Come trovare la necessaria simbiosi tra due cuori, spesso diversi? Forse attraverso una Concordia discors capace di rinvigorire, al di là del bene e del male, anche l'amicizia, quando sia disinteressata... Purtroppo, le parole non sempre bastano: occorre cuore puro per capire. Non tutti riescono. Perché resta fortissimo l' atavico e crudele richiamo del taglione. Che uccide e non salva: appaga lo spirito di vendetta non di giustizia.
Il poeta civile difende la sua polis, e anche molto bene. Perché Nicola Vacca è poeta civile, soprattutto quando accetta la sfida dei "mille trabocchetti dell’eterna vicenda amorosa”, dominandoli dalle antiche mura della "sua" città poetica. A noi tutti, dopo aver letto e chiuso Serena felicità nell'istante, il compito di uscire, questa volta intenzionalmente, dalle mura amiche per andare in cerca del Pharmakon. Certo, si tratta di un percorso fitto di insidie, aspro, spesso in salita, se si vuole "impoetico". Ma da fare in due. Sta a noi, uomini e donne in amore, incamminarci per mano e di buon passo, risalendo dal particolare all'universale. Ma a una condizione: solo “se faremo della parola /l’albero della vita/sapremo seguire la via/ segnata dalla prospettiva./ Uno spirito e una carne sola./Questa è l’unica religione al mondo/ che ci fa comprendere/ che ci salveremo solo se lo vorremo.” ("Abbiamo qualcosa da dire").

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