lunedì 26 gennaio 2009

L’umanitarismo e i suoi amici



Prima la definizione.
Secondo il Gabrielli (vocabolario) è “umanitario colui che tende al miglioramento materiale e morale della condizione umana, agendo secondo i valori della solidarietà, della generosità, dell’amore per il prossimo”. E di conseguenza l’umanitarismo è “il complesso dei concetti, dei sentimenti di chi o di ciò che è umanitario”.
Pareto, che invece era un sociologo, riteneva che l’umanitarismo fosse frutto di debolezza. Ma di una furba debolezza rivolta a ingannare l’avversario, per cooptarlo con il sorriso sulle labbra, e così restare al potere. Magari per sempre.
Sulla scia di Machiavelli, Pareto divideva i politici in volpi e leoni. E le volpi, a suo avviso, fingevano sempre di essere umanitarie. Oggi diremmo “buoniste”. Inoltre, sempre secondo l’autore del Trattato di sociologia generale , l’umanitarismo caratterizzava i regimi politici giunti alla fine del ciclo vitale. Dove alla forza, aggredita dai mali della vecchiaia politica, si cercava di sostituire astutamente, una falsa bontà d’animo.
E secondo Pareto le mosche cocchiere dell’umanitarismo erano gli intellettuali “illuminati”. Quelli che civettavano con la rivoluzione e giustificano la violenza degli avversari, definendoli vittime della società.. Come nei ricchi salotti pre-1789 e pre-1917.
Oggi invece frequentano quello televisivo di Fazio...
Insomma l’umanitarismo dilaga. E non parliamo di quello mostrato dalla Chiesa Cattolica e da altri fedi. Perché si tratta di “umanitarismo” istituzionale e dunque accettabile. Su questo punto non siamo d'accordo con Nietzsche.
Invece ci riferiamo a quello politico. Che di solito viene astutamente usato solo nei riguardi dei recuperabili, o presunti tali, mentre agli irrecuperabili, e ai loro figli, non si perdona nulla. Si pensi solo all'impietoso trattamento mediatico usato nei riguardi dei poveri bambini palestinesi, solo perché morti sotto le democratiche bombe al fosforo israeliane.
Ma oggi l’umanitarismo dilaga, anche nelle questioni (si fa per dire) minime. E questo è il fatto più grave, perché indica che il “buonismo” ha ormai permeato di sé il sentire comune: non è pertanto solo un segno di astuta rilassatezza politica, ma indice di una più generale degenerescenza morale e collettiva nei riguardi dei valori del bene e del male.
Un pluriassassino come Battisti, con sentenza passata in giudicato, cerca di sottrarsi alla giustizia. Ebbene c’è subito chi lo difende e imbroglia le acque… Uno stupratore, come quello della povera ragazza romana violentata nella notte di Capodanno, si dichiara "reo confesso", ebbene viene premiato con i domiciliari…
C’è dunque qualcosa che non va in noi tutti. Siamo piccoli uomini e donne che credono nel pettegolezzo morale perché ormai incapaci di discernere il bene dal male: perché bene e male non esistono. Così ci ripetono, fra le righe, tutti i giorni personaggi alla Fabio Fazio, "umanitaristi" per meriti televisivi.
Pareto parlerebbe di decadenza. Difficile però dire quando alla decadenza seguirà la caduta. E al crollo dell' "antico regime" un nuovo ciclo ricostruttivo.
Per ora ci troviamo tutti nella situazione, ben colta, dai celebri versi di Verlaine:
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Je suis l’Empire à la fin de la décadence,
Qui regarde passer les grands Barbares blancs
En composant des acrostiches indolents
D’un style d’or où la langueur du soleil danse (…).
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Con una differenza rispetto ai Romani. Che “les grands Barbares blancs” ora sono dentro di noi. Difficile liberarsene. Anche un nuovo Sant'Agostino potrebbe non bastare. 

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