Il libro della settimana: Giuseppe
Galasso, Storici
italiani del Novecento, il Mulino, Bologna 2008, pp. 432, euro 30,00.
https://www.mulino.it/isbn/9788815125644 |
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Quale cammino ha seguito la storiografia italiana nel
Novecento? A questa non facile domanda risponde Giuseppe Galasso in Storici
Italiani del Novecento (il Mulino, Bologna 2008 pp. 432, euro 30,00).
Usando l’olimpica pacatezza di chi si è formato alla scuola di Benedetto Croce.
Se ci si perdona la battuta, Galasso, notissimo storico, oggi professore emerito dell’Università di Napoli “Federico Secondo”, è l’ultimo dei Moicani della storiografia etico-politica di impianto laico e liberale. E il suo volume è interessante proprio perché sprizza una corroborante fiducia (non fede), tutta crociana, nella storia della storiografia come storia della libertà: come conquista faticosa del libero arbitrio storiografico, attraverso un ferreo Novecento, contro ogni egemonia politica e culturale.
Infatti, non ce ne uno tra i dodici storici brillantemente “sezionati”, che secondo Galasso, non abbia in qualche modo contribuito al progresso della storiografia italiana. Certo, seguendo le proprie inclinazioni, ma con serietà e metodo: Volpe col suo gusto per i plastici contrasti storici di fondo: Salvatorelli per gli inquieti modernismi religiosi e politici; Chabod per le forze profonde della politica estera; Maturi per i perdenti del Risorgimento; Cantimori per la più sulfurea teologia politica; Sestan per la genealogia delle istituzioni politiche moderne; Garin e Venturi per una severa ragione storica, poco incline alle fatue gallerie di illuminati eroi del pensiero; Romeo e De Felice per la biografia “totale” come compiuto ( o quasi) ritratto di un’epoca; Cozzi e De Rosa per una storia etico-politica, attenta alla vita sociale e religiosa, ma senza volgari schematismi ideologici.
Pertanto Galasso traccia il ritratto condivisibile - per dirla con Gioacchino Volpe - di una storiografia il cammino. Certo, con le sue luci e ombre, spesso legate a una esterofilia tipicamente italiana. Si pensi solo alla moda storiografica della École des Annales, da noi imperversante negli anni Sessanta-Settanta… Dove allo storico si sostituiva il sociologo. Ma attenzione: il sociologo d’antan. Nel senso che certi modelli sociologici utilizzati dalla storiografia francese, e poi trasmigrati nell’ italiana, erano gli stessi - seppure risciacquati nelle non sempre limpide acque strutturaliste - della tradizione positivista di fine Ottocento. Dove la storia politica veniva “risucchiata” all’interno di un mondo sociale e materiale, non modificabile dalle decisioni umane e sottoposto a leggi evolutive e “strutturali”, presuntivamente considerate, come al di là del bene e del male.
Che poi oggi manchino alla storiografia italiane le traduzioni e i giusti riconoscimenti soprattutto nell’universo anglofono, crediamo sia, purtroppo, una questione di marginalità della nostra lingua. Vittima di un opprimente processo di emarginazione che ha riguardato anche la lingua tedesca e francese, come del resto nota lo stesso Galasso. Si tratta di un fenomeno legato alla crescente egemonia politica statunitense post-1945. Che non poteva non manifestarsi, sul piano internazionale, anche nell’ambito della vita scientifica e dell’editoria storiografica. Ma questa è un’altra storia. Politica, appunto.
Tuttavia crediamo che il professor Galasso, dall’alto del suo storicismo, consideri anche il “neo-impero” americano, uno dei tanti della storia. E sicuramente non l’ultimo.
Una ragione in più per leggere Storici italiani del Novecento.
Se ci si perdona la battuta, Galasso, notissimo storico, oggi professore emerito dell’Università di Napoli “Federico Secondo”, è l’ultimo dei Moicani della storiografia etico-politica di impianto laico e liberale. E il suo volume è interessante proprio perché sprizza una corroborante fiducia (non fede), tutta crociana, nella storia della storiografia come storia della libertà: come conquista faticosa del libero arbitrio storiografico, attraverso un ferreo Novecento, contro ogni egemonia politica e culturale.
Infatti, non ce ne uno tra i dodici storici brillantemente “sezionati”, che secondo Galasso, non abbia in qualche modo contribuito al progresso della storiografia italiana. Certo, seguendo le proprie inclinazioni, ma con serietà e metodo: Volpe col suo gusto per i plastici contrasti storici di fondo: Salvatorelli per gli inquieti modernismi religiosi e politici; Chabod per le forze profonde della politica estera; Maturi per i perdenti del Risorgimento; Cantimori per la più sulfurea teologia politica; Sestan per la genealogia delle istituzioni politiche moderne; Garin e Venturi per una severa ragione storica, poco incline alle fatue gallerie di illuminati eroi del pensiero; Romeo e De Felice per la biografia “totale” come compiuto ( o quasi) ritratto di un’epoca; Cozzi e De Rosa per una storia etico-politica, attenta alla vita sociale e religiosa, ma senza volgari schematismi ideologici.
Pertanto Galasso traccia il ritratto condivisibile - per dirla con Gioacchino Volpe - di una storiografia il cammino. Certo, con le sue luci e ombre, spesso legate a una esterofilia tipicamente italiana. Si pensi solo alla moda storiografica della École des Annales, da noi imperversante negli anni Sessanta-Settanta… Dove allo storico si sostituiva il sociologo. Ma attenzione: il sociologo d’antan. Nel senso che certi modelli sociologici utilizzati dalla storiografia francese, e poi trasmigrati nell’ italiana, erano gli stessi - seppure risciacquati nelle non sempre limpide acque strutturaliste - della tradizione positivista di fine Ottocento. Dove la storia politica veniva “risucchiata” all’interno di un mondo sociale e materiale, non modificabile dalle decisioni umane e sottoposto a leggi evolutive e “strutturali”, presuntivamente considerate, come al di là del bene e del male.
Che poi oggi manchino alla storiografia italiane le traduzioni e i giusti riconoscimenti soprattutto nell’universo anglofono, crediamo sia, purtroppo, una questione di marginalità della nostra lingua. Vittima di un opprimente processo di emarginazione che ha riguardato anche la lingua tedesca e francese, come del resto nota lo stesso Galasso. Si tratta di un fenomeno legato alla crescente egemonia politica statunitense post-1945. Che non poteva non manifestarsi, sul piano internazionale, anche nell’ambito della vita scientifica e dell’editoria storiografica. Ma questa è un’altra storia. Politica, appunto.
Tuttavia crediamo che il professor Galasso, dall’alto del suo storicismo, consideri anche il “neo-impero” americano, uno dei tanti della storia. E sicuramente non l’ultimo.
Una ragione in più per leggere Storici italiani del Novecento.
Carlo Gambescia
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