mercoledì 7 gennaio 2009

Troppo giovani per morire



"Bocciato patente, suicida 19enne - Si e' impiccato in casa a Latiano (Brindisi)- (ANSA) - LATIANO (BRINDISI), 6 GEN -Un giovane di 19 anni si e' impiccato ieri a una trave nella sua abitazione a Latiano, nel brindisino. La notizia e' riportata da alcuni quotidiani pugliesi che mettono in relazione il suicidio con la bocciatura del ragazzo all'esame di pratica per il conseguimento della patente di guida, alcuni giorni prima. Il giovane in occasione della bocciatura avrebbe avuto un alterco con l'esaminatore sedato dall'intervento dei vigili urbani."
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http://temporeale.libero.it/libero/news/2009-01-06_106296520.html)

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A commento di questa notizia riprendiamo il nostro post sul suicidio in età giovanile apparso su ContrAgorà il 22 dicembre 2008, all’interno di un’ inchiesta sulla questione (
http://contragora.blogspot.com/search/label/gambescia%20-%20%20societ%C3%A0%20della%20resa ).
Lo “speciale”, per dirla in termini giornalistici, ospitava un interessante contributo di Cloroalclero (
http://contragora.blogspot.com/search/label/cloalclero%20-%20suicidi%20-%20%20heidegger%20-%20%20questione%20alitalia ) e un’intervista allo psichiatra e psicoterapeuta Adriano Segatori. ( http://contragora.blogspot.com/search/label/segatori%20-%20intervista%20-%20suicidi ).

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Il suicidio come causa di morte.
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Dal punto di vista statistico, tra le cause di morte, i suicidi non sono tra le principali. Ecco alcune cifre per l’Italia (2002 ultimi dati disponibili ). Cause di morte in valori assoluti:
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1)Malattie del sistema circolatorio: 131.472;
2)Tumori: 69.672;
3)Altri stati morbosi: 21.173;
4)Malattie dell’apparato respiratorio: 15.324;
5)Disturbi psichici e malattie sistema nervoso: 14.765;
6)Malattie dell’apparato digerente: 12.234;
7)Cause esterne dei traumatismi e degli avvelenamenti: 10.667 (di cui omicidi 560, ripartiti come più sopra);
8)Sintomi, segni e stati morbosi mal definiti: 3.640;
9)Malattie infettive e parassitarie: 2.147.
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Quanto ai suicidi, per l’anno 2007 vanno registrati 2.867 casi di suicidio e 3.234 tentativi di suicidio. In diminuzione rispetto all’anno precedente (-3,8% e -1,5%, rispettivamente). Dati che vanno comparati, grossolanamente, con quelli sulle cause di morte sopra esposti.
Comunque sia, di può dire che muoiono più persone per suicidio che per omicidio (comparando i dati 2002-2007). Abbiamo così 4,8 suicidi e 5,4 tentativi di suicidio ogni 100.000 abitanti. Sono le regioni del Nord più moderno a far registrare i valori più elevati: in particolare, nel Nord-est “produttivo” e completamente secolarizzato, abbiamo 6,1 suicidi e 7,2 tentativi ogni 100.000 abitanti, mentre nell’Italia Meridionale, economicamente meno produttiva e certamente meno moderna del nord, i due quozienti sono rispettivamente, del 2,9 e del 3,4 per 100.000 abitanti.
I suicidi di minorenni rappresentano l’1,1% dei casi mentre quelli di età pari o superiore a 65 anni sono il 40,0%. Analogamente, i tentativi sono pari al 2,7% per i minorenni e all’11,4% per le persone di 65 anni ed oltre. I suicidi sono più frequenti tra i coniugati (39,2% del totale dei suicidi); i tentativi tra i celibi (44,0%). Le malattie sia fisiche che psichiche prevalgono come movente, rappresentando il 50,2% delle cause nei suicidi, subito seguite dai motivi affettivi (10%), motivi economici (5%). Mentre le malattie fisiche e psichiche rappresentato il 42,1% nei tentativi. Il mezzo più usato nei suicidi è l’impiccagione (39,6%), mentre è l’avvelenamento nei tentativi (26,3%). Elevato è il numero di suicidi tra gli operai: è più del doppio rispetto ai lavoratori in proprio e dirigenti. Mentre rappresenta il quadruplo riguardo agli imprenditori. L'incidenza tra operai aumenta notevolmente nel caso di tentativo di suicidio ( più del 50 %).
Il più elevato numero di suicidi come di tentativi si pone ai due opposti: tra le “persone occupate” e quelle “ritirate dal lavoro”. Mentre dal punto di vista del titolo di studio il più alto numero di suicidi si conta tra coloro che dispongono della licenza elementare e inferiore. Mentre per i tentativi scende ( di circa del 50%) tra coloro che hanno conseguito la licenza elementare (si vedano le tabelle qui: http://contragora.blogspot.com/search/label/gambescia%20-%20%20societ%C3%A0%20della%20resa ) .
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I giovani e il suicidio.
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Ora però concentreremo la nostra attenzione sul suicidio giovanile. Perché indica una sorta di crisi della speranza. E dunque del nostro futuro.
Fino agli anni Settanta il suicidio dei giovani (tra i 14 e i 24 anni) era considerato una specie di sciagura sociale. E ci si preoccupava della sua stabilità nel tempo: il numero dei suicidi giovanili non aumentava ma neppure diminuiva (dal 1946 al 1975, 1 suicidio su 4). Lo si imputava a cause ambientali (problemi di integrazione familiare e sociale), e sui giornali si cercava di non parlarne. Spesso gli adolescenti “scivolavano” per le scale o cadevano “per gioco” dai balconi. L’ imprinting religioso, di una società non ancora secolarizzata, imponeva alle famiglie, vittime di un forte senso di vergogna e peccato, la regola del silenzio.Negli ultimi trent’anni, oltre a essere aumentati i suicidi (da 5 a 8 per 100.000 abitanti), sono particolarmente cresciuti quelli giovanili, che sfiorano quasi i 2 casi su 5 (è la seconda causa di morte). Con prevalenza dei ragazzi sulle ragazze. Mentre quelli “tentati” solo dai giovani ammontano al 40 % del totale (fonte: http://www.istat.it/dati/dataset/20080916_00/ ) .
Il punto è che i media ora ne parlano più di prima. Ma in termini più “naturalistici” e libertari. Questo non significa che non sia rispettato il dolore di familiari e amici dei giovani suicidi .Oppure incoraggiato direttamente il suicido… E’ tuttavia cambiato l’atteggiamento della società. E di conseguenza anche quello dei media. Vediamo come..
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La cultura della resa.
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La fine degli anni Sessanta con la sua libertaria cultura dei diritti, segna il punto di rottura tra una società che condannava il suicidio - e a maggior ragione quello del giovane - e una società, come la presente, che paradossalmente lo considera quasi un diritto. E che, in certo senso, si arrende al suicidio, soprattutto dei giovani.
Il ragionamento che si fa oggi è terribilmente semplice: se nelle dichiarazioni dei diritti, la libertà personale è considerata inviolabile, il suicidio non può che essere una manifestazione – certo estrema – ma comunque molto alta di libertà. Che, come mostrano, i recenti sviluppi a proposito di un presunto “diritto” al suicidio assistito (eutanasia), andrebbe addirittura tutelata dalla legge. O comunque, una forma di patologizzazione - o malattia - che andrebbe ricondotta nell'alveo di una fisiologica o "sana" devianza: "Se uno proprio non vuol vivere sono comunque fatti suoi...".
In tale contesto, socialmente atomizzato, e falsamente permissivo, se un giovane commette una “sciocchezza”, si tende perciò a ricondurla, non tanto nell’alveo della mancata integrazione familiare o sociale, quanto di una stravagante immaturità interpretativa… Ci si uccide, precocemente, anche perché si interpreta in modo sbagliato il valore della libertà individuale. E in questo senso quasi si propone che le famiglia si sforzino di educare i giovani a un esercizio maturo, fisiologico, del diritto al suicidio…
Probabilmente esageriamo. Ma il clima, spesso mefitico, che oggi si respira vi è abbastanza vicino. Di riflesso qualsiasi critica a una cultura che appende la vita dei ragazzi al filo del corretto esercizio di un diritto di libertà, viene ritenuta lesiva della stessa libertà individuale. E’ una situazione paradossale: per un verso si predica il diritto alla più grande libertà (inclusa per coerenza anche quella di suicidarsi), e per l’altro si chiede al giovane, di saper farne buon uso. Basti pensare all’uso reiterato, non solo in ambito mediatico, ma anche familiare e amicale (e spesso davanti ai bambini), della terribile espressione: “Piuttosto che soffrire, meglio un’iniezione…”.
Ecco questa frase, che tutti abbiamo ripetuto almeno una volta nella vita, indica il grado di pervasività di una cultura fondata sul diritto di infliggersi la morte. Cultura cui vanno a sommarsi, nei giovani, le pressioni sociali quotidiane (scuola, amici, consumi) e le ricorrenti crisi di “crescita”. Tutti fattori, che uniti all’idea di poter mettere fine alla propria vita in qualsiasi momento, formano una miscela esplosiva, che spesso, se innescata anche da una piccola delusione esistenziale (scolastica o sentimentale), può determinare il suicidio. Un atto “anticonservativo” della vita umana, che spesso i media invece presentano, certo tra le righe, come un prezzo che le nostre società liberali devono pagare al progresso della libertà individuale.

Bel progresso. 

Carlo Gambescia

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