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Sociologia del cretino
Che cos’è il cretinismo? Secondo i dizionari si tratta di una malattia caratterizzata dall’ arresto dello sviluppo organico, da deficienza più o meno pronunciata delle facoltà mentali e da altri disturbi collaterali.
Questo, il significato medico. Ma dal punto di vista sociologico esiste la figura del cretino sociale?
Difficile rispondere perché siamo ai confini della sociologia. E per dirla tutta, le discipline sociali non si sono ancora accorte di questo grave problema sociale. Si potrebbe però azzardare una definizione. In questo senso il nostro post è pionieristico. Guarda alla sociologia del futuro.
Probabilmente il cretino sociale maturo ha subito in età adolescenziale un arresto dello sviluppo morale: non è un adulto equilibrato; non è in pace con se stesso né con il mondo che lo circonda; sussistono, insomma, deficienze morali. Inutile qui approfondire le profonde ragioni psichiche (se non psichiatriche, come alcuni sostengono): forse una madre autoritaria, un padre assente, un tata indifferente, compagni di scuola crudeli. Non possiamo invadere il campo dei colleghi psicologi. Prendiamo atto che la personalità morale del cretino sociale è incompleta. E che da adulto il soggetto ne diventa consapevole. E con frustrazione. Di qui quel senso profondo di inferiorità, di inadeguatezza che pare schiacciarlo, a prescindere da qualsiasi gratificazione professionale. Il cretino sociale è sempre scontento di sé e del mondo che lo circonda. E’ il terrore dei sottoposti: portinai, tassisti, segretarie, camerieri, fidanzate, mogli e figli se ci sono. Ma al tempo stesso è capace di assumere un comportamento servile nei riguardi di coloro da cui dipende (il che gli costa e acuisce la sua frustrazione). Un caso paradigmatico, semplificando, è quello del mediocre assistente universitario che “massacra” i poveri studenti per poi sdraiarsi a tappetino ai piedi del barone prepotente.
Il cretino sociale va diviso in due grandi categorie sociologiche:
1) Il cretino che subisce il mondo;
2) Il cretino che non lo subisce, o lo subisce solo in parte.
Nel primo caso possiamo parlare del cretino rassegnato, o passivo.
Nel secondo del cretino competitivo, o attivo.
La prima tipologia, per riprendere la terminologia di
Bauman, designa il cretino allo stato liquido, che passa quasi inosservato,
Mentre la seconda indica il cretino allo stato solido e dunque immediatamente
riconoscibile… Anche perché maleducato e prepotente.
Quest’ultima è la specie più pericolosa e noiosa e che qui desideriamo approfondire. Perché il cretino competitivo, a differenza del cretino rassegnato, è in conflitto permanente con tutti. Ha perciò una sua rilevanza se non pericolosità sociale. Dal momento che vuole avere sempre ragione. E non importa come. In genere non è persona di cultura, sfrutta la sua preparazione professionale, molto utilitaristica, tentando di portare l’avversario del momento sul suo campo, molto ristretto, dove applica, come si direbbe a Napoli, una logica e una deontologia da paglietta.
In genere si tratta di individui a rischio cardiovascolare e con problemi biliari. Di regola il cretino competitivo è single. Anche perché, non sapendo decidere sul piano delle relazioni sentimentali tra status e contratto, per dirla con il grande Summer Maine, non riesce a stabilire solidi nuclei affettivi. Di solito preferisce le professioni liberali, perché l’adolescenza difficile (la madre autoritaria, eccetera) lo ha condotto a stabilire con le varie forme di interazione e dipendenza sociale una complicata condizione affettiva (di amore e di odio al tempo stesso). Pertanto il cretino competitivo non pratica sempre la neutralità affettiva, come invece imporrebbe la modernità. Sotto questo aspetto è un essere sociale moderno e pre-moderno al tempo stesso: una chimera sociologica. Orripilante, dal punto di vista sociale s'intende. Per alcuni potrebbe essere addirittura una "sopravvivenza" di un mondo primitivo, pre-industriale, "militare" per dirla con Herbert Spencer. Ma su questo punto preferiamo, per ora, sorvolare.
Il cretino competitivo non vuole vincere ma stravincere, e su ogni terreno. Di qui un grande spreco di risorse individuali e collettive, legato ai conflitti ricorrenti, con se stesso e con gli altri. I quali, di riflesso, se attaccati, devono in qualche modo studiare come difendersi. Siamo perciò davanti a una autentica dépense sociale, per dirla con Bataille. Che potrebbe essere evitata. Per esempio l’autore di questo post sospetta di aver gettato via un’ora del suo tempo con un cretino competitivo della peggiore specie.
Chiunque trovi sulla sua strada il cretino competitivo può ignorarlo nel caso di rapporto acquisitivo (legato a una scelta individuale), mentre non può evitare il conflitto in caso di rapporto ascrittivo (non legato a una scelta individuale). Perché - attenzione - è il cretino competitivo a sceglierti come nemico. Con lui la benevolenza non serve a nulla.
Ad esempio incrociare in Rete - all’interno di un contesto acquisitivo - un cretino sociale competitivo, non rappresenta in termini interattivi un problema insolubile: appena viene individuato lo si può evitare. Ritrovarselo invece come fratello, genitore, collega di lavoro - all’interno di un contesto ascrittivo - può essere veramente fonte di gravi difficoltà individuali e sociali, come abbiamo già notato. Talcott Parsons parlerebbe di “disfunzionalità temporanee”. Noi però non siamo d’accordo. Ma questa è un’altra storia.
Di regola, il cretinismo sociale, nelle due tipologie qui individuate (rassegnato e competitivo), si manifesta a livello endemico. E perciò è ineliminabile. Con picchi nell’ambito della Rete. Infatti, non si capisce ancora perché, ma pare chela Blogosfera
sia diventata il terreno di caccia preferito del cretino sociale competitivo.
In quest’ ultimo caso, in termini tipologici, si può parlare del cretino
competitivo blogosferico. Una sub-specie meritevole di essere studiata.
Comunque sia, si avverte la necessità, nonostante la sociologia del cretino sia ancora agli inizi, di calcolare il costo sociale del fenomeno. Servirà però una buona base empirica e probabilmente una teoria a medio raggio del cretinismo sociale nelle sue due forme, nonché solidi concetti operativi. Di sicuro la lotta alla riduzione del cretinismo sociale è una delle sfide più importanti per la sociologia del XXI secolo.
Anche gli stessi cretini sociali potrebbero, prima o poi, prenderne atto. E magari proprio il cretino competitivo. La speranza è sempre l'ultima a morire. Anche in sociologia.
Quest’ultima è la specie più pericolosa e noiosa e che qui desideriamo approfondire. Perché il cretino competitivo, a differenza del cretino rassegnato, è in conflitto permanente con tutti. Ha perciò una sua rilevanza se non pericolosità sociale. Dal momento che vuole avere sempre ragione. E non importa come. In genere non è persona di cultura, sfrutta la sua preparazione professionale, molto utilitaristica, tentando di portare l’avversario del momento sul suo campo, molto ristretto, dove applica, come si direbbe a Napoli, una logica e una deontologia da paglietta.
In genere si tratta di individui a rischio cardiovascolare e con problemi biliari. Di regola il cretino competitivo è single. Anche perché, non sapendo decidere sul piano delle relazioni sentimentali tra status e contratto, per dirla con il grande Summer Maine, non riesce a stabilire solidi nuclei affettivi. Di solito preferisce le professioni liberali, perché l’adolescenza difficile (la madre autoritaria, eccetera) lo ha condotto a stabilire con le varie forme di interazione e dipendenza sociale una complicata condizione affettiva (di amore e di odio al tempo stesso). Pertanto il cretino competitivo non pratica sempre la neutralità affettiva, come invece imporrebbe la modernità. Sotto questo aspetto è un essere sociale moderno e pre-moderno al tempo stesso: una chimera sociologica. Orripilante, dal punto di vista sociale s'intende. Per alcuni potrebbe essere addirittura una "sopravvivenza" di un mondo primitivo, pre-industriale, "militare" per dirla con Herbert Spencer. Ma su questo punto preferiamo, per ora, sorvolare.
Il cretino competitivo non vuole vincere ma stravincere, e su ogni terreno. Di qui un grande spreco di risorse individuali e collettive, legato ai conflitti ricorrenti, con se stesso e con gli altri. I quali, di riflesso, se attaccati, devono in qualche modo studiare come difendersi. Siamo perciò davanti a una autentica dépense sociale, per dirla con Bataille. Che potrebbe essere evitata. Per esempio l’autore di questo post sospetta di aver gettato via un’ora del suo tempo con un cretino competitivo della peggiore specie.
Chiunque trovi sulla sua strada il cretino competitivo può ignorarlo nel caso di rapporto acquisitivo (legato a una scelta individuale), mentre non può evitare il conflitto in caso di rapporto ascrittivo (non legato a una scelta individuale). Perché - attenzione - è il cretino competitivo a sceglierti come nemico. Con lui la benevolenza non serve a nulla.
Ad esempio incrociare in Rete - all’interno di un contesto acquisitivo - un cretino sociale competitivo, non rappresenta in termini interattivi un problema insolubile: appena viene individuato lo si può evitare. Ritrovarselo invece come fratello, genitore, collega di lavoro - all’interno di un contesto ascrittivo - può essere veramente fonte di gravi difficoltà individuali e sociali, come abbiamo già notato. Talcott Parsons parlerebbe di “disfunzionalità temporanee”. Noi però non siamo d’accordo. Ma questa è un’altra storia.
Di regola, il cretinismo sociale, nelle due tipologie qui individuate (rassegnato e competitivo), si manifesta a livello endemico. E perciò è ineliminabile. Con picchi nell’ambito della Rete. Infatti, non si capisce ancora perché, ma pare che
Comunque sia, si avverte la necessità, nonostante la sociologia del cretino sia ancora agli inizi, di calcolare il costo sociale del fenomeno. Servirà però una buona base empirica e probabilmente una teoria a medio raggio del cretinismo sociale nelle sue due forme, nonché solidi concetti operativi. Di sicuro la lotta alla riduzione del cretinismo sociale è una delle sfide più importanti per la sociologia del XXI secolo.
Anche gli stessi cretini sociali potrebbero, prima o poi, prenderne atto. E magari proprio il cretino competitivo. La speranza è sempre l'ultima a morire. Anche in sociologia.
Carlo Gambescia
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