Il regalo (quasi) di Natale, un film su Benedetto Croce, di Pupi Avati e una data , ieri ricorreva il settantaduesimo anniversario della morte di Croce (20 novembre 1952), non possono passare invano. Niente di esaustivo. Scarni appunti di lettura su un filosofo che in qualche misura è intellettualmente al nostro fianco da una vita.
Croce è il filosofo del juste milieu, non nel senso politico dei guizotiani al tempo della monarchia costituzionale di Luigi Filippo, ma più semplicemente del giusto mezzo cognitivo. La cosa, come spiegheremo, può non piacere a certa cultura costruttivista, che non solo a tavolino, si propose, in particolare nel Novecento, di ricostruire da zero il mondo o di farne tabula rasa, che era ed è la stessa cosa. Ce ne faremo una ragione.
Procediamo per gradi: filosofia, politica, storia.
La filosofia crociana dei distinti, non è altro che un apprezzamento dialettico delle differenti sfere della vita umana, sfere che trovano unità, non nell’atto (unico) teorizzato da Giovanni Gentile, in principio crociano, poi dottrinario fascista, ma nel libero fluire dei quattro filoni dell’arte e della logica ( momenti teorici), dell’etica, dell’economia ( momenti pratici). Uniti e separati, vicini e lontani al tempo stesso, i quattro momenti costituiscono tutti insieme una specie di costante banco di prova dell’uomo con la realtà. Di qui la ricerca del giusto mezzo filosofico tra teoria e pratica, tra il momento concettuale e il momento organizzativo. Per capirsi: l’artista, se per un verso è solo artista, per l’altro non vive nel nulla, esulando dalla logica, dall’etica e dall’economia. E di questo bisogna tenere conto. Il conflitto che ne nasce, che non è solo interiore, è storia in atto. Flusso circolare di atti differenti: si crea, si fa scienza, si decide, si intraprende. Non si tratta di atto (unico), ripetiamo, che deve farsi storico, come in Gentile, rispondendo all’infedele criterio soggettivo, spesso solipsistico di realtà plasmabile a piacimento secondo una certa ideologia che ispira il capo carismatico di turno. Se fusione c’è, non è mai perfetta. Ne consegue quell’accettazione delle miserie umane, che è rifiuto del perfettismo ideologico.
La storia per Croce è evento e soprattutto riflessione sull’evento. Anche qui una distinzione. Tra le passioni dello storico e le passioni degli uomini. Lo storico, pur partendo dalle passioni del suo tempo, deve saper trascendere la mischia, per cogliere, al di sopra di esse il senso di un certo tempo. Senza però ricorrere a stereotipi o schemi di nessun tipo. Croce respinge sia l’idea di una storia che procede spedita verso il bene assoluto, sia l’idea di una storia ciclica o regressiva che ripete sempre se stessa o torna indietro all’età dell’oro. Anche qui giusto mezzo, tra una storia come eterno procedere, tra i conflitti, della libertà, e storia come pesantezza delle istituzioni, ai quali gli uomini non sempre riescono a sottrarsi. Di qui la necessità di convivere ma solo esteriormente con il proprio tempo. Come dire? Adelante Pedro, con juicio, si puedes. A dire il vero questo resta uno dei punti critici della sua filosofia della storia: la prevalenza del momento teorico su quella pratico. Scelta a nostro avviso inevitabile, anche sul piano cognitivo, se si voleva evitare la deriva attivistica gentiliana.
La politica per Croce è arte del possibile. Non nel senso del voler andare d’accordo con tutti, piegandosi, ma di capire cosa sia possibile fare o meno in un certo momento storico, quindi di vita vissuta. Croce restò sempre lontanissimo dal moralismo pretesco, come dal realismo pseudopolitico dei grandi cinici della storia. Il filosofo deve restare a guardia dei fatti: sa che il momento politico non esclude il conflitto e l’uso della forza, ma sa pure che impone equilibrio e talvolta qualche patto temporaneo con il diavolo. Il che ovviamente può avere un risvolto negativo: come prova l’iniziale passività crociana nei riguardi del fascismo. Anche questo resta un punto del suo pensiero oggetto di critiche: il rischio di cadere priogionieri di un realismo politico fine a se stesso. Che però in Croce, davanti al fascismo, durò l’espace d’un matin . Perché resto sempre un uomo libero. E del resto, come ci piace spesso ripetere, nessuno è perfetto.
A proposito del juste milieu crociano, alcuni ne hanno parlato, ingiustamente, come di un mediocre quietismo. In realtà si tratta di una potente fede laica nella religione della libertà. Ma lasciamo la parola Croce:
“E poiché la libertà è l’essenza dell’uomo, e l’uomo la possiede nella sua qualità stessa di uomo, non è da prendere letteralmente e materialmente l’espressione che bisogni all’uomo ‘dare la libertà’, che è ciò che non gli si può dare perché già l’ha in sé. Tanto poco gli si può dare che non si può neanche togliergliela; e tutti gli oppressori della libertà hanno potuto bensì spegnere certi uomini, impedire più o meno certi modi di azione, costringere a non pronunziare certe verità e a recitare certe menzogne, ma non togliete all’umanità la libertà cioè il tessuto della sua vita, che anzi, com’è risaputo, gli sforzi della violenza, invece di distruggerla, la rinsaldano e, dove era indebolita, la restaurano”(*).
Detto altrimenti, la libertà è un concetto che appartiene all’ eterno, un ideale che, se ben interiorizzato, non perde smalto al trascorrere del nel tempo. Certo, libertà che talvolta rischia di essere soffocata, ma non per questo muore.
La crisi dell’Occidente, geo-concetto che a dire il vero Croce non avrebbe apprezzato, dipende dall’assenza di questa forte fede laica, non tanto nel progresso, ma nella libertà, senza la quale il progresso si tramuta in una marcia trionfale verso il nulla. Sul punto si ricordino le seminali pagine di Croce, storico dell’Italia e dell’Europa, sul decadentismo, non solo letterario.
Probabilmente, siamo davanti a una fede troppo grande e profonda per essere accettata da tutti i popoli occidentali, spesso divisi, addirittura litigiosi, schiavi di abitudini e piccoli piaceri. Di qui un procedere in ordine sparso, che può favorire i nemici della libertà.
Ma non per sempre.
Carlo Gambescia
(*) Benedetto Croce, La mia filosofia, a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano1993, pp. 96-97. Si tratta un’ antologia, che risale al 1945, testi che Croce scelse personalmente su richiesta di un editore inglese, per far conoscere a un pubblico più largo le linee generali della sua opera. Per una immediata introduzione al Croce filosofo della libertà, si vedano Etica e politica e La storia come pensiero e come azione, nonché le storie d’Italia e d’Europa.