Che cos’è una banalità superiore? Un luogo comune? In parte. Diciamo che si tratta di un’ asserzione talmente fondata al punto che nessuno pensa più di usarla sotto il profilo argomentativo.
Può sembrare impossibile eppure è così. Un esempio: si prendano le manifestazioni di ieri per la pace. Oggi i giornali dedicano pagine su pagine alle divisioni ideologiche interne alla sinistra, alle contraddizioni del pacifismo di sinistra, alle sue complicità, eccetera, eccetera.
Sembra sfuggire a tutti un fatto fondamentale, talmente fondamentale, che nessuno pare scorgere. Come capita con quei dipinti, che sono lì, da sempre, sulla parete, al punto che nessuno sembra farvi più caso.
Allora qual è questa benedetta banalità superiore?
Presto detto. Dove sono i pacifisti russi? Dove sono le piazze oceaniche in un paese con una popolazione tre volte quella italiana?
Certo, in Russia le opposizioni sono vessate, chiunque osi protestare finisce in prigione per anni e perde tutto (mi dicono amici accademici). Pertanto la paura serpeggia. Eppure la recente mobilitazione dei riservisti, non sembra essere andata vuoto. Si dice che molti russi siano scappati all’estero per non combattere nelle armate di Putin. Però ieri a Roma e Milano, non ne abbiamo visto neppure uno. Per contro, l’Italia dall’inizio dell’invasione ha accolto circa duecentomila rifugiati ucraini. E si vedono e si sentono, per fortuna.
In Russia, con le buone o con le cattive, la guerra non ha mai fatto paura. Il pacifismo non vi ha mai attecchito. Tolstoj resta un fenomeno di vetrina, soprattutto occidentale. Il pacifismo del 1917 era strumentale al colpo di stato bolscevico. Senza le Tesi di Aprile di Lenin (che in buona sostanza promettevano, si badi, “guerra ai castelli, pace alle capanne”) e la propaganda bolscevica, il fante russo avrebbe continuato disciplinatamente a farsi maciullare dalle mitragliatrici nemiche. Lo stato maggiore imperiale teorizzava, come poi Mussolini negli anni Trenta, addirittura l’efficacia militare dei milioni di baionette. Spaventoso.
Stesso discorso per il pacifismo sovietico: grandi ideali, ma in realtà punta di diamante dell’espansionismo della Mosca delle grandi parate militari, addirittura fino a tempi di Gorbačëv. Insomma, il militarismo russo viene da lontano ed è sempre stato collegato ai valori della Terza Roma (dopo Roma e Bisanzio, Mosca) e del panslavismo, spesso puro e semplice panrussisimo. La Russia di oggi non è che l’ultima reincarnazione di questi ideali di sicuro non pacifici né pacifisti.
Si tratta di un apparato ideologico, così potente sul piano delle credenze collettive, che non ha neppure necessità di coercizione. Per fare un parallelo con altre credenze si pensi all’anticapitalismo e all’antiamericanismo, abbastanza diffusi a livello politico-sociale in Europa, fino al punto che non hanno alcun bisogno di incoraggiamento. Ma si pensi anche all’ecologismo che tra l’altro si riallaccia al pacifismo.
Sono atteggiamenti mitologici, che scattano, se ci si passa l’espressione, in automatico, giusti o sbagliati che siano. I romantici un tempo evocavano addirittura l’ “anima dei popoli”, il sociologo moderno, più razionalmente, preferisce parlare di credenze collettive alle quali si intonano i comportamenti come forme di reazione culturale agli stimoli esterni, interiorizzate nel tempo. Certo, nulla di deterministico, però chiunque studi la società non può non tenerne conto.
Insomma, e torniamo alla banalità superiore, nessuno si è interrogato sull’ assenza ieri dei pacifisti russi, a Roma come a Mosca.
La riposta è semplice, addirittura banale: la Russia non è un paese per gente pacifica. Il “dipinto” con i carri armati e missili, è lì, sulla parete, eppure nessuno pare notarlo.
Oppure non si vuole vedere? In questo caso però sarebbe un’altra storia…
Carlo Gambescia
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