La religione ecologista può essere accostata, dal punto di vista della forza espansiva sociale e politica, a religioni come il cristianesimo, l’islamismo e perfino l’ebraismo per il concetto di popolo eletto. Il che spiega perché parliamo di religione ecologista.
Quali sono i punti in comune?
Prima però di rispondere un piccolo passo indietro: il nostro approccio non è teologico né tanto meno da storico delle idee. Ci accostiamo alla questione in termini di sviluppi sociologici. Cioè dell’ inevitabile ricaduta politica, sociale, culturale di determinate concezioni, ricaduta tanto più dannosa quanto più le idee professate sono rigide e declinate come verità rivelate o comunque come dogmi sociali.
A questo proposto i sociologi della vecchia scuola parlavano giustamente di sociologia della conoscenza applicata alle idee sociali. Il punto che ci interessa esaminare non è tanto il valore scientifico delle idee ecologiste, tra l’altro discutibile secondo non pochi scienziati, quanto la rigidità della professione di fede ecologista. Un atteggiamento molto pericoloso per la nostra libertà, soprattutto quando istituzionalizzato, cioè trasformato e condensato in leggi, decreti e codici standardizzati di comportamenti vincolanti.
Dicevamo dei punti in comune.
In primo luogo, il monoteismo. Che si fa forte dell’idea di un solo pianeta, come per dire, di un solo dio. Di qui l’atteggiamento intollerante.
In secondo luogo, l’ enorme forza diffusiva e la conseguenza capacità, come per gli altri monoteismi, di imbrigliare e condizionare il potere, determinando, nel nostro caso, come è sotto gli occhi di tutti, l’agenda politica mondiale.
In terzo luogo, come anticipato, l’ autoconsiderazione dell’ecologismo come dottrina religiosa, patrocinio di una specie di nuovo popolo eletto: i movimenti ecologisti come unici e virtuosi movimenti di salvezza. Alcuni studiosi hanno parlato di componente gnostica. Preferiamo non addentrarci nella questione più filosofica che sociologica.
Inoltre, l’ecologismo, come ogni altra religione, che aspira a istituzionalizzarsi (semplificando: da catacombe e martiri ai sacri palazzi), ha i suoi sacerdoti, i suoi riti e celebrazioni. Dispone della complicità di noti politici, intellettuali, giornalisti, attori, cantanti, professori, persino scienziati, nonché dell’attivismo di organizzazioni che agiscono sul territorio, e si basano su un immaginario millenarista che celebra ricorrenze mondiali attraverso grandi grandi adunate dal sapore religioso. Sotto questo aspetto, una istituzione, come l’Onu ha sposato la causa ecologista, dimenticando quella della libertà individuale, che pure era alle sue origini.
Come anticipato – ma è bene ripeterlo – ogni monoteismo, quindi anche l’ecologismo, è intollerante: non si avrà altro dio, eccetera, eccetera.
L’aspetto più grave, sociologicamente parlando, è rappresentato dal condizionamento dell’agenda politica. Siamo dinanzi a una specie di teocrazia, che va sviluppandosi e che vede non pochi uomini politici tramutarsi, opportunisticamente o meno, in sacerdoti della nuova religione monoteista.
Le radici storiche della religione ecologista sono nell’ ideologia romantica ottocentesca che vagheggiava il ritorno a un incantato e storicamente mai esistito mondo medievale, basato su ideologie, feudali, corporative e pauperiste, nemiche della libertà individuale.
Mentre ha ereditato dal socialismo, e in particolare dal comunismo, l’approccio verticistico e costruttivistico, che punta, almeno in teoria, in dottrina diciamo, alla pianificazione mondiale di una società ecologista ed egualitaria. E questo perché la religione ecologista vede nella diffusione della ricchezza attraverso il mercato e nella libertà tout court un ostacolo alla pianificazione e all’edificazione di una società degli “uguali” dinanzi alle ricchezze del pianeta: ricchezze, si proclama, che devono essere condivise in modo uguale da tutti. Il verbo ecologista crede fermamente – cosa veramente inquietante – nel principio del meno ma a tutti.
Sotto questo aspetto l’ecologismo può essere dipinto come il comunismo, un nuovo comunismo, però pauperista del XXI secolo. Un mix di romanticismo politico e di egualitarismo.
Purtroppo il successo della religione ecologista si fonda su un equivoco piuttosto grave. Alla gente comune – qui la grave responsabilità dell’abiura ai principi liberali della classe politica – si è fatto credere che l’ecologismo si possa conciliare con l’economia di mercato e che la trasformazione della società sarà indolore.
In realtà, il costruttivismo ecologista, come ogni potere teocratico, comporta la perdita della libertà in nome di un bene più alto rappresentato dalla “salvezza”, come spesso si legge, “del Pianeta Terra”. Il punto è che la logica salvifica, che è una logica dell’emergenza, millenarista se si vuole, impone inevitabili sacrifici che saranno sempre più dolorosi mano a mano che si consoliderà il potere teocratico della religione ecologista a danno del potere laico della libertà, dei mercati e del progresso.
Il concetto da comprendere è perciò il seguente: quanto più i politici cedono ai movimenti ecologisti tanto più la libertà e il benessere sono a rischio. Altro che transizione indolore… Il nemico principale dei nostri tempi è la religione ecologista.
Anche perché, una volta accettato il monoteismo ecologista, ogni forma di ragionamento e rappresentazione non può che muoversi all’interno della scolastica ecologista. Si finisce per discutere, non più di fini (ad esempio dell’esistenza o meno del Dio-Pianeta), ma solo di mezzi ( di come onorarlo meglio).
Al momento siamo nella fase iniziale, ma neppure tanto, della trasformazione teocratica: del consolidamento istituzionale della religione ecologista. Si pensi ai risultati del G27. Di cosa si è discusso, mescolando ecologismo e socialismo? Dell’importo degli aiuti ai paesi poveri e per questo, si dice, più vulnerabili sotto l’aspetto ecologico. Pure questioni scolastiche: di mezzi non di fini.
Oggi, chiunque si azzardi, perfino gli scienziati, a mettere in discussione i principi della religione ecologista, rischia la scomunica e di essere messo al bando come accadeva ai residui politeisti negli ultimi secoli dell’Impero romano d’Occidente.
Per restare nell’ambito della storia del cristianesimo, la religione ecologista sta andando oltre l’età costantiniana. Costantino lasciò questo mondo nel 337. Poco più di due secoli dopo, nel 529, Giustiniano, Imperatore d’Oriente, teocrate con ambizioni di riconquista, decretò la chiusura della Scuola d’Atene, ponendola sotto controllo dello stato, perché giudicata simbolo di una peccaminosa libertà di pensiero. Intanto nel 380, sotto Teodosio il cristianesimo era divenuto la religione ufficiale dello stato romano. Decisione che portò, alla progressiva chiusura, pur tra alti e bassi, dei templi “pagani” e al divieto della celebrazione dei riti non cristiani.
Qui ci fermiamo. Di materiale per riflettere oggi ne abbiamo fornito fin troppo.
Carlo Gambescia
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