Qual è il vero nemico della società liberale? L’ugualitarismo ( o egualitarismo). Attenzione non parliamo dell’uguaglianza dinanzi alla legge, quindi dei punti di partenza, la cosiddetta uguaglianza formale, ma dell’uguaglianza dei punti di arrivo, l’uguaglianza sostanziale.
L’ugualitarismo, diciamo nella veste socialista, anzi comunista (da ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo i suo bisogni), innerva purtroppo tutto il pensiero politico contemporaneo, perfino quello liberale (tramutatosi in liberalsocialista), come pure le conseguenti pratiche di governo, che affidano allo stato la missione di parificare i punti di arrivo attraverso un legislazione minuziosa e una burocrazia soffocante.
Il che spiega subito due cose.
La prima che parlare di merito (valore liberale per eccellenza), fin dai tempi di Constant e Guizot è praticamente impossibile. Sul punto, per inciso, sarà interessante, scoprire come il governo Meloni, che ha evocato il merito, riuscirà a coniugarlo con i finanziamenti a pioggia e altre provvidenze promesse che con il merito non hanno nulla a che vedere.
La seconda, che la lotta per le risorse, cioè per l’appropriazione delle risorse legislative, è senza quartiere. Appropriazione delle risorse legislative, può apparire il solito parolone. Quindi dobbiamo tradurre.
Ad esempio la lotta per l’estensione delle quote rosa (ma il discorso andrebbe stesso a ogni tipo di quota politica) e per la concertazione a ogni livello stato-imprese-sindacati (che viola la legge della domanda e dell’offerta ) sono esempi tipici di lotta per l’appropriazione di risorse legislative. Lotta che ha la finalità di imporre l’uguaglianza sostanziale: dei punti di arrivo. E quando lo stato si presta a infierire sul merito si trasforma in un nemico della libertà individuale.
Il fenomeno delle quote in particolare ricorda la logica pianificatoria dei regimi socialisti, volta al superamento del tanto disprezzato libero mercato, quando, ad esempio, in Unione Sovietica, da ogni università, annualmente doveva uscire un numero programmato, ideale, di ingegneri, muniti di titolo, quindi a prescindere dalla preparazione reale.
Cosa accadeva? Che pur di fare numero, e di non ostacolare gli obiettivi ambiziosi della pianificazione produttiva, decisa in alto, si conferiva, per evitare ritorsioni e spesso anche il gulag, il titolo accademico anche ai non meritevoli. Il che ha costituito una delle cause del crollo dell’Unione Sovietica.
Purtroppo, l’ Occidente, invece di fare tesoro della disgraziata esperienza comunista, insiste, a ogni livello, in particolare massmediatico (autentico esempio di autodistruzione sociale), sulla necessità e bontà dell’ugualitarismo dei punti di arrivo.
Però, ecco il punto importante, chi ci assicura che i “quotati” di ogni colore, una volta catapultati verso una certa professione, saranno all’altezza del ruolo che si chiede loro, se prima del merito viene il numero?
Il merito, in natura sociale, non si distribuisce secondo il criterio numerico del cinquanta e cinquanta, paracadutato dall’alto, ma secondo criteri qualitativi, aristocratici, frutto di interazioni individuali, quindi dal basso secondo movimenti selettivi spontanei che sfuggono alla logica democratica.
Il che può apparire, ai cuori teneri, ingiusto, dal punto di vista etico. E può anche esserlo per i cuori meno teneri. Tuttavia, si deve essere realisti, sociologicamente realisti, tra l’aristocrazia del merito e la democrazia ugualitaria non c’è ponte, ci si deve rassegnare: non esiste un’aristocrazia democratica, né un merito ugualitario. Tutto ciò che si può fare è stabilire l’uguaglianza davanti alla legge, dei punti di partenza.
Anche perché, cosa fondamentale, la società, come nel caso sovietico, ma anche in quello delle società liberalsocialiste di welfare, alla fine si vendica sempre, come ogni verità, perché, come detto, la società è aristocratica: per “funzionare” bene, ha necessità di persone capaci, quindi meritevoli di stare dove sono. La società, piaccia o meno, quanto più si allontana dal merito, tanto più rischia la paralisi politica, sociale, produttiva. La società, ripetiamo, quanto al funzionamento, è antidemocratica e antiugualitaria.
Diciamo che, forse esagerando, la società è liberale, così in modo spontaneo, attraverso milioni di interazioni individuali, perciò proabilmente senza neppure sospettarlo. Di conseguenza, la selezione dei peggiori, o comunque dei non meritevoli, ne distrugge il tessuto per così dire liberal-aristocratico, dilata i processi sociali, confonde le acque societarie, ritarda le decisioni. Sicché le società si “impallano”, se ci si perdona l’espressione. Finiscono per funzionare come vecchi computer, con programmi non aggiornati, permeabili a ogni tipo di virus.
E come i vecchi computer, prima o poi vengono rottamate.
Carlo Gambescia
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