mercoledì 12 settembre 2018

  I giudici di Roma cambiano idea   
Mafia che va, 
mafia che viene...



Contrordine (un tempo si sarebbe detto) compagni.  "Mafia Capitale" vive  e lotta insieme a noi.  Torna a vincere (si noti  il termine)  il  teorema del Procuratore capo  Pignatone   sui rapporti - a dire il vero mai provati concretamente -   tra mafia siciliana,  mondo di mezzo  e varia umanità politico-criminale romana.
Cosa  dire?   Intanto si può notare  che, solo in una società aperta ma non liberale, qualsiasi sentenza rischia  la  strumentalizzazione politico-mediatica.  Nel caso di "Mafia Capitale", insieme a Pignatone  tornano a cantare vittoria Cinque Stelle e la  congrega di quel romanzo criminale, che da Portella della Ginestra,  via Pci e azionismo muckraker,  giunge fino alle gesta di Carminati e Buzzi.  Per la serie continuiamo a farci del male, in particolare alle istituzioni, preparando la strada al castigamatti… Ovviamente nel tentativo, così dicono, di salvare lo stato di diritto.  Pura etica dei principi, però al servizio dei mezzi. Politici.
Dicevamo società aperta ma non liberale.  Il lettore non sobbalzi sulla sedia.  Ma come  i due termini non sono sinonimi? In realtà, una società può essere aperta, come quella americana (compri, vendi,  fai quello che vuoi), e  al tempo stesso liberale, perché sono per primi i giornalisti, magistrati e politici  a esercitare responsabilmente i propri diritti. Pura etica dei mezzi, al servizio dei principi. Ecco il vero stato di diritto.  Che significa rispetto di procedure legali  e codici deontologici, realmente interiorizzati. Ovviamente con delle eccezioni. Da ultimo Trump e il suo misterioso e schizoide pianeta verde.  Lo  stesso discorso del  giornalismo responsabile, o quasi, si può estendere a quello britannico. Chiamale se vuoi, tradizioni di libertà.
In sintesi, essere liberali in una società aperta, significa esercitare il diritto di informazione in modo responsabile. Si chiama autodisciplina: significa capire che il “teorema” è una cosa,  l' “informazione”  su un  politico  che ruba un’altra. Tradotto: giustizia non è sinonimo di giustizialismo. In Italia, la distinzione, se mai c’è stata, è sparita da un pezzo. Sicché tutti accusano tutti di mafia, quasi un mestiere (Sciascia, cosa notissima, parlò di  "professionisti dell’antimafia"). E,  cosa più grave ancora, fino al punto che  nessuno  crede più nelle istituzioni preposte a combattere il fenomeno. Semplificando: se tutti sono mafiosi, nessuno è mafioso e viceversa… Con tanti cari  saluti allo stato di diritto.
Si dirà che, con il nostro dire,  stiamo sminuendo lo “sforzo eroico” di un  pugno, di politici, di magistrati e poliziotti,  che da anni lotta, eccetera, eccetera.  A parte, che dietro  questa  accusa  si nasconde  il vecchio argomento retorico della  mozione degli affetti,  qui  va  considerato un fatto che tanto normale non è. Quale?   Che al  solo  avanzare dubbi  sulla macchina giudiziario-mediatica  si rischia la scomunica  e  la rubricazione a mafiosi di complemento.
Non sappiamo ciò che realmente sia accaduto a Roma:  ma  sembra poco o punto  liberale  iscriversi a una delle due tifoserie. Da una parte quelli del “romanzo criminale”,  dall’altra  quelli  che ancora difendono il romanzo  dell’ex giovane povero   Silvio Berlusconi, perseguitato dai magistrati.  A dire il vero, persecuzione ci fu,  ma il Cavaliere, nulla si fece mancare.  Neppure lo stalliere.  Ma questa è un’altra storia.
Il vero  punto allora  qual è?   Che  continuano a volare  palle di  letame,  gli schizzi sporcano tutti, l’aria si è fatta irrespirabile. Rischiamo il castigamatti. E così, buonanotte ai suonatori:  addio società aperta, e pure liberale. 
Carlo Gambescia