Una breve (ma utilissima) storia del rapporto tra giustizia e politica
“Manettaro” avvisato, mezzo salvato...
di Teodoro Klitsche de la Grange
L’indagine
giudiziaria a carico dei (due) amministratori ENI è tra le più preoccupanti
avviate dalla pubblica accusa.
Da
quel che si legge sulla stampa, si tratta del pagamento da parte dell’ENI di
una consistente tangente a favore di un ministro di un paese africano.
Che
il tutto possa essere successo è ovvio; perché anche per chi non avesse visto
il bel film di Rosi sul caso Mattei, il fatto che per estrarre petrolio,
occorra “ungere” i governanti dei paesi produttori, è cosa che non sorprende.
Anzi la notizia – in senso giornalistico – sarebbe che non fosse capitato.
Molti
si lamentano dell’invadenza del terzo
potere: talvolta le lagnanze sono fondate ma, per lo più, pubblici ministeri e
giudici non fanno che il proprio mestiere di perseguire i reati.
Se
un comportamento, anche se opportuno (nel senso della conformità all’interesse
generale) è un reato, i giudici hanno il dovere di perseguirlo. Se, di
converso, il comportamento è opportuno, nel senso cennato, va realizzato anche
se è un reato.
La
teologia politica cristiana con la doppia morale (diversa per chi governa e chi
è governato) e la dottrina della Ragion di Stato sono state le premesse i
presupposti e l’attuazione di tale distinzione. I cui precetti fondamentali
sono per la politica salus rei publicae
suprema lex; per la giustizia fiat
iustitia pereat mundus. Ma ovviamente, dato che lo Stato è uno, e bisogna
coordinare principi così diversi, anzi antitetici, diversi sono stati i
sistemi.
All’inizio
dello Stato moderno il problema non si poneva. Montesquieu descriveva la
distinzione dei poteri, grosso modo così, il principe fa delle leggi, e
corregge o abroga quelle esistenti (potere legislativo). In base al potere
esecutivo, fa la pace o la guerra, invita o riceve delle ambascerie, garantisce
la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo lo Stato punisce i
crimini, o giudica le liti dei privati. Quest’ultimo potere sarà chiamato il
potere giudiziario, e l’altro, semplicemente, potere esecutivo dello Stato.
Ma
data la concentrazione dei poteri e l’irresponsabilità del monarca (e di fatto
dei suoi funzionari) di occasioni di frizione ce n’erano poche.
Con
lo sviluppo dello Stato moderno il problema però si poneva; ed era risolto sia
con le deroghe alla giurisdizione (ad es. l’ “atto politico”) sia con la
giustizia politica; peraltro la dilatazione dei compiti (e delle strutture)
dello Stato faceva sì che attività che prima non potevano produrre conflitti
(perché non pubbliche e non d’interesse pubblico) sono diventate campo di
battaglia. In uno Stato minimo, e quindi con compiti ridotti, la produzione e
il commercio di beni o servizi ora “pubblici” (nel senso cennato), sarebbe
stato affare privato e del pari il pagamento di “tangenti” per ottenerli o
fornirli.
Per
lo Stato “sociale” il problema si presenta quindi maggiorato. D’altra parte se
è vero che l’istituzione-Stato ha per compito principale di tutelare
l’esistenza politica, cioè l’essere della comunità, ha anche quello di
provvedere al benessere, inteso come mantenimento di un decoroso stile di vita;
pertanto non può – neppure lo Stato minimo – disinteressarsi delle condizioni
che lo consentono.
Ciò
stante che l’ENI provveda all’approvvigionamento di gran parte del petrolio
consumato, e che l’Ilva e Finmeccanica siano tra le maggiori imprese nei
rispettivi settori, non è indifferente per il benessere degli italiani.
Se
processi ancorché giuridicamente fondati e neppure contrari a criteri di
giustizia mettessero in pericolo – o creassero danni – al sistema Italia,
sarebbe, anzi è dovere della politica, prendere delle misure, anche di
carattere eccezionale per assicurare l’ordinata esistenza (e buona esistenza)
comunitaria.
Perché
il petrolio è indispensabile oggi per la vita economico-sociale; così come le
entrate – anche dall’estero – assicurate dalla (residua) grande industria; e le
regole sono importanti, ma presuppongono di applicarsi ad un organismo vitale,
e in buona salute. Quello che l’Italia appare sempre meno.
Teodoro Klitsche de la Grange
Teodoro Klitsche de la Grange è avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013)
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