martedì 30 settembre 2014

Una breve (ma utilissima) storia del rapporto tra giustizia e politica
  “Manettaro” avvisato, mezzo salvato...
di Teodoro Klitsche de la Grange




L’indagine giudiziaria a carico dei (due) amministratori ENI è tra le più preoccupanti avviate dalla pubblica accusa.
Da quel che si legge sulla stampa, si tratta del pagamento da parte dell’ENI di una consistente tangente a favore di un ministro di un paese africano.
Che il tutto possa essere successo è ovvio; perché anche per chi non avesse visto il bel film di Rosi sul caso Mattei, il fatto che per estrarre petrolio, occorra “ungere” i governanti dei paesi produttori, è cosa che non sorprende. Anzi la notizia – in senso giornalistico – sarebbe che non fosse capitato.
Molti si lamentano dell’invadenza del terzo potere: talvolta le lagnanze sono fondate ma, per lo più, pubblici ministeri e giudici non fanno che il proprio mestiere di perseguire i reati.
Se un comportamento, anche se opportuno (nel senso della conformità all’interesse generale) è un reato, i giudici hanno il dovere di perseguirlo. Se, di converso, il comportamento è opportuno, nel senso cennato, va realizzato anche se è un reato.
La teologia politica cristiana con la doppia morale (diversa per chi governa e chi è governato) e la dottrina della Ragion di Stato sono state le premesse i presupposti e l’attuazione di tale distinzione. I cui precetti fondamentali sono per la politica salus rei publicae suprema lex; per la giustizia fiat iustitia pereat mundus. Ma ovviamente, dato che lo Stato è uno, e bisogna coordinare principi così diversi, anzi antitetici, diversi sono stati i sistemi.
All’inizio dello Stato moderno il problema non si poneva. Montesquieu descriveva la distinzione dei poteri, grosso modo così, il principe fa delle leggi, e corregge o abroga quelle esistenti (potere legislativo). In base al potere esecutivo, fa la pace o la guerra, invita o riceve delle ambascerie, garantisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo lo Stato punisce i crimini, o giudica le liti dei privati. Quest’ultimo potere sarà chiamato il potere giudiziario, e l’altro, semplicemente, potere esecutivo dello Stato.
Ma data la concentrazione dei poteri e l’irresponsabilità del monarca (e di fatto dei suoi funzionari) di occasioni di frizione ce n’erano poche.
Con lo sviluppo dello Stato moderno il problema però si poneva; ed era risolto sia con le deroghe alla giurisdizione (ad es. l’ “atto politico”) sia con la giustizia politica; peraltro la dilatazione dei compiti (e delle strutture) dello Stato faceva sì che attività che prima non potevano produrre conflitti (perché non pubbliche e non d’interesse pubblico) sono diventate campo di battaglia. In uno Stato minimo, e quindi con compiti ridotti, la produzione e il commercio di beni o servizi ora “pubblici” (nel senso cennato), sarebbe stato affare privato e del pari il pagamento di “tangenti” per ottenerli o fornirli.
Per lo Stato “sociale” il problema si presenta quindi maggiorato. D’altra parte se è vero che l’istituzione-Stato ha per compito principale di tutelare l’esistenza politica, cioè l’essere della comunità, ha anche quello di provvedere al benessere, inteso come mantenimento di un decoroso stile di vita; pertanto non può – neppure lo Stato minimo – disinteressarsi delle condizioni che lo consentono.
Ciò stante che l’ENI provveda all’approvvigionamento di gran parte del petrolio consumato, e che l’Ilva e Finmeccanica siano tra le maggiori imprese nei rispettivi settori, non è indifferente per il benessere degli italiani.
Se processi ancorché giuridicamente fondati e neppure contrari a criteri di giustizia mettessero in pericolo – o creassero danni – al sistema Italia, sarebbe, anzi è dovere della politica, prendere delle misure, anche di carattere eccezionale per assicurare l’ordinata esistenza (e buona esistenza) comunitaria.
Perché il petrolio è indispensabile oggi per la vita economico-sociale; così come le entrate – anche dall’estero – assicurate dalla (residua) grande industria; e le regole sono importanti, ma presuppongono di applicarsi ad un organismo vitale, e in buona salute. Quello che l’Italia appare sempre meno.

Teodoro Klitsche de la Grange

Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013) 

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