Magistratura e politica
Come finirà?
Ci risiamo. Berlusconi grida al golpe morale-giudiziario... Gli avversari
replicano altrettanto duramente... Inoltre, i giudici per alcuni fanno il
proprio dovere, per altri no. Come stanno realmente le cose? E non tanto dal
punto di vista del "teatrino politico", quanto da quello sociologico.
Cerchiamo di capire.
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A proposito di divisione dei poteri...
La divisione dei poteri (in esecutivo,
legislativo e giudiziario) è presentata dal pensiero politico moderno, a
partire da Montesquieu, come una conquista: il fatto, che la giustizia sia
indipendente, dagli altri due poteri favorirebbe l’assoluta neutralità dei
giudici e l’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, come impongono i diritti
dell’uomo. Tuttavia basta entrare in un’aula giudiziaria per capire che la
giustizia non viene amministrata in modo indipendente. Perché il maestoso
principio della separazione dei poteri resta di così difficile attuazione?
Innanzitutto, bisogna sempre distinguere tra
teoria e pratica. Asserire che la giustizia debba essere amministrata in modo
neutrale rispetto ai diversi poteri sociali ha un valore teorico, nel senso che
indica la realtà come “dovrebbe essere”. Osservare, invece, che almeno due secoli
di storia confermano il contrario, ha un valore pratico, perché mostra la
realtà “così com’è”.
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Chi ha e chi non ha
Del resto è sotto gli occhi di tutti il
“fatto” che chiunque sia privo di risorse economiche o in contrasto con la
società (“politicamente” e “giudizialmente”) dominante, difficilmente vince una
causa.Inoltre, la giustizia non può essere amministrata in modo assolutamente
indipendente, perché è gestita da un preciso gruppo sociale: quello dei
giudici. Che, come ogni altro gruppo sociale tende a dominare altri gruppi, a
stabilire alleanze, a dividersi in sub-gruppi politici. Del resto, anche la
magistratura, come qualsiasi gruppo sociale ha necessità di risorse
ideologiche, simboliche e materiali. Risorse, che nel moderno sistema di economia
pubblica e privata basato sul mercato, provengono dallo Stato (stipendi e
status) ma anche dalla società civile (onori sociali e professionali). Senza
dimenticare che l’ideologia della “neutralità dei poteri”, prima che giuridica
è politica. Dal momento che si è storicamente affermata attraverso rivoluzioni
politiche, che hanno rafforzato il “potere” dello Stato. Il quale, a sua volta,
non è qualcosa di neutrale, ma si compone di gruppi sociali (ad esempio partiti
e lobby burocratiche), in conflitto per l’egemonia politica, e spesso
dipendenti dai gruppi economici (imprese, sindacati e altri gruppi di
pressione) .
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Diritto, ideologia e interessi
Pertanto la distinzione dei tre poteri, in
realtà, ignora una lotta - sociologicamente scontata - tra gruppi sociali
differenti per ideologia e interessi. Un conflitto all’ultimo sangue, distinto
da battaglie, imboscate, armistizi, alleanze più o meno sincere. E dove
l’ideologia della neutralità della giustizia, per dirla con Pareto, si
trasforma in “derivazione” o giustificazione: un’arma ideologica da usare
contro gli avversari e per nobilitare se stessi.Ma non basta. Perché, in questo
modo, la neutralità della giustizia finisce per essere frutto di fragili
equilibri sociali. Che nascono da alleanze ideologiche e materiali tra gruppi
temporaneamente affini: gruppi che reinterpretano ideologicamente, e in proprio
favore, l’idea normativa ( o teorica) di giustizia
Pertanto la neutralità viene e verrà sempre perseguita in misura parziale,
perché di regola riflette l’egemonia di un’alleanza ideologica, anche
occasionale, che premia alcuni e penalizza altri.Infine, la “macchina” della
giustizia, risente dei problemi legati alla burocratizzazione: fenomeno tipico
delle istituzioni moderne. Si tratta di questioni legate al reclutamento, alla
formazione e alla gestione della giustizia. Un iter sul quale influisce
inevitabilmente la cosiddetta “routinizzazione” o burocratizzazione delle
funzioni professionali: un fenomeno che colpisce tutte le grandi organizzazioni
moderne, come mostrano, tra gli altri, gli studi sul cosiddetto comportamento
amministrativo. E che si ripercuote sulla “piccola giustizia” di tutti i
giorni. E spesso negativamente, come in Italia, dove un processo civile, se va
bene, dura quindici anni…
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La guerra tra poteri
Di conseguenza, lo scontro tra Berlusconi e
i giudici è l’ennesimo episodio di una lotta tra due “sub-gruppi”, di destra e
sinistra, all’interno dei gruppi contrapposti di giudici e politici. Un
conflitto alimentato, a livello mediatico, da altri gruppi, probabilmente
economici, legati all’informazione e anch’essi vincolati ideologicamente a
fazioni politiche contrapposte. E il bello, anzi il brutto, è che tutti (
gruppi e sub-gruppi) difendono la neutralità della giustizia, ovviamente sempre
da un punto di vista particolare…Purtroppo, ripetiamo, bisogna accettare un
fatto sociologico: all’interno delle società liberali e di mercato, basate sul
pluralismo dei gruppi sociali ed economici, la cosiddetta ideologia
dell’indipendenza della magistratura, è una pura e semplice risorsa simbolica,
da usare nella lotta per l’egemonia sociale e politica tra i vari gruppi,
incluso quello dei magistrati. E tutto sommato, il nostro “sistema” è
“relativamente” migliore di quello in uso nelle società prive di pluralismo o
totalitarie, dove la giustizia è assoggettata a un unico gruppo politico e i
magistrati reclutati esclusivamente sulla base della fedeltà ideologica al
“partito unico”, in nome del quale devono esercitare la giustizia.
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La vita naturale dei gruppi sociali
Se ci si passa la metafora, si possono
immaginare i diversi gruppi sociali (magistrati, partiti, lobby, eccetera),
come veri e propri organismi biologici, con una loro vita naturale: si
espandono se non trovano ostacoli, e si bloccano o regrediscono se ne
incontrano. Ma per espandersi servono risorse economiche proprie. E il gruppo
sociale “magistratura”, come braccio del moderno stato liberale, non ne ha mai
possedute, come del resto ogni altro corpo amministrativo. Ha perciò sempre
dovuto confidare in poteri più forti: che pagano i conti ma pretendono… Ad
esempio, in Italia, i giudici si sono sempre divisi tra minoranze ( o
sub-gruppi) politicizzate di destra e sinistra (più di destra, almeno fino agli
Sessanta del Novecento) e maggioranze politicamente indifferenti, pronte però a
ubbidire, come ogni altro dipendente statale, a chiunque fosse capace di aprire
o chiudere i cordoni della borsa (in termini di offerta politica di mezzi e
risorse istituzionali).
In questo senso i giudici sono sempre stati ligi al potere, anche nascente. E
perciò attenti a ingraziarsi le stesse forze politiche di sinistra, come negli
anni di Tangentopoli, quando sembrava che i post-comunisti fossero sul punto di
conquistare il potere. Ovviamente, ripetiamo, tutte le forze politiche in campo
hanno sempre issato la bandiera dell’indipendenza della magistratura. Qualsiasi
riforma, come ogni controriforma, è tuttora presentata come “tesa a
ripristinare la libertà e l’indipendenza dei giudici”.
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Il difficile armistizio
Gli inviti al dialogo tra politica e
magistratura - si pensi agli ultimi interventi del Presidente Napolitano -
fanno parte di una specie di repertorio dei luoghi comuni del costituzionalismo
moderno, da utilizzare nei conflitti istituzionali. "Derivazioni",
per dirla con Pareto. Come se la politica fosse puro dibattito pubblico, una
specie di minuetto settecentesco, e non duro contrasto amico-nemico, talvolta
all'ultimo sangue. Napolitano, o finge o vive sulla Luna. Ed è un peccato,
perché così dimostra di aver completamente dimenticato Lenin...
Insomma, la questione è squisitamente politica. Sarebbe perciò più onesto
parlare di proposte armistiziali, soprattutto politiche, per arrestare la
guerra in corso per il controllo della magistratura. Ma sarà mai possibile
fermare la lotta eraclitea tra i diversi gruppi sociali?
Infine, di fatto, c'è qualche partito, al
momento, in grado di impegnarsi? E di andare oltre il muro contro muro?
Carlo Gambescia
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