giovedì 27 febbraio 2014

La rivista della settimana: “la Biblioteca di via Senato”,  n.1 – gennaio 2014;  n.2 – febbraio 2014  

http://www.bibliotecadiviasenato.it/editoria/biblioteca-di-via-senato/Anno-VI.aspx


Rivista per veri bongustai del libro e della cultura,  “la Biblioteca di via Senato”, mensile dell’omonima Fondazione,  apre il 2014  con  due fascicoli all’altezza, tanto per restare in metafora, del gourmet  più esigente.
Dal sommario del fascicolo n. 1 (gennaio 2014) segnaliamo il denso articolo (piccolo miracolo di sintesi) che Errico Passaro dedica a J.R.R. Tolkien ( “J.R.R. Tolkien, signore della fantasia”, pp. 6-9).  Di cui si  scrive,  a proposito  de La caduta di Artù,  poema inedito uscito per Bompiani,  introdotto da Gianfranco de Turris,  che  « Tolkien si apparenta a un MacPherson novecentesco, o se si preferisce un paragone più vicino alla nostra esperienza, un Carducci che, invece delle mitologia classica greco-latina, si riferisce all’epica nordica» (p. 9).  
Intrigante anche il ritratto  di Giancarlo Petrella, direttore della rivista, di quel picaro dell’editoria che fu  Filippo Argelati (“Questi non son sono tempi per libri”, pp. 10-20)  l’editore settecentesco dei Rerum Italicarum Scriptores di Muratori. Sempre sospeso tra debiti, crediti, mercanteggiamenti, blandizie, sogni di gloria. E, tutto sommato, il lieto fine. Quale?  Quello di  aver pubblicato  un padre della storiografia moderna, padrone delle fonti,   come pochi altri.
Non meno interessante la ricostruzione della politologia di Machiavelli,  ben tratteggiata da  Teodoro Klitsche de la Grange  (“Niccolò Machiavelli. Primo costituente”, seconda e ultima parte, pp. 25-23, per la prima parte si veda il fascicolo dicembre 2014,  da non perdere anche per il focus dedicato  al “segretario fiorentino”). Scrive de la Grange: « L’esistente prevale sul normativo (senza il primo  viene meno il secondo: ma non è vero l’inverso): è questa la lezione che Machiavelli (e il realismo) ci dà ancora oggi. A non capirlo o a volerlo non capire, anche nell’organizzare le istituzioni si trova “ più presto la ruina che la preservazione sua” » (p. 32).
Bello,  infine,  il “Ricordo” di  Fellini scritto da Piero Meldini (“Un sommo regista nel ricordo di in grande scrittore. A vent’anni dalla morte una memoria di Federico Fellini”, pp. 63-65).  Soprattutto per un’intuizione, tutta a favore dell’intelligenza  storiografica fellininana,  a proposito del     “Casanova”  Osserva Meldini: « Quello che ci rappresenta Fellini  è per l’appunto un Settecento notturno […] Il Casanova felliniano è un apolide, un vagabondo che concepisce l’amore come  passione […]. Altro che recordman e forzato del sesso: Casanova  è un amante appassionato e anche sdolcinato, un romantico ante litteram.  La rappresentazione del Settecento che ci dà Fellini troverebbe d’accordo, oggi, la maggior parte degli storici […]. [Ma] trent’anni fa il regista era in perfetta solitudine». Ma c’è dell’altro, di regola, conclude Meldini, « i registi di film storici, così come gli scrittori di romanzi storici, tendono, volenti o nolenti, ad attualizzare il passato. Fellini  fa l’opposto: guarda al presente con gli occhi dello storico. Da questo punto di vista  sono per me film storici non solo “Satyricon”, “Casanova” , “E la nave va”, “Amarcord”. Ma anche “Roma”, “Prova d’orchestra” e soprattutto “La dolce vita” » (pp. 64-65).  
Il fascicolo n. 2 (febbraio 2014) si segnala invece per uno “Speciale Emo”, con scritti di Giovanni  Sessa, Sandro Giovannini e interviste a Massimo Donà e Romano Gasparotti (pp. 14-31). Parliamo di un  focus  di altissimo livello su Andre Emo (1901-1983) filosofo, vero esempio vivente dell’epicureo vivi nascosto,  perché in vita non pubblicò nulla.  Sebbene riscoperto dopo la morte,  dalla triade cognitiva Cacciari,  Donà,  Gasparotti, abituata a dare del tu al pensiero negativo,  Emo rimane – almeno a nostro avviso -  una specie di  gigantesco punto interrogativo teoretico. Avvince e inquieta al tempo stesso. Un Cioran  di nobile casata veneta, forse addirittura più profondo del pensatore franco-rumeno,  passato per  Gentile,   che attraversa i molteplici stadi di una metafisica antimodernamente  votata  all’autodistruzione ma neppure alla costruzione. E forse in cerca -  lui,  Emo -  di un   un fondamento teoretico, o qualcosa che gli somigli,   in chiave di unità metadialettica  tra essere e nulla.   Ma per andare  dove?  Quale metafisica dei costumi è possibile costruire, in termini di una sociologia della vita quotidiana,  distinta com’è  –  e non potrebbe essere diversamente -  da analfabeti,   sulla pur avvincente  filosofia del pensare scrivendo?  Ciò che vale per i professori di filosofia vale anche per i cittadini? Difficile dire.Infine,  ogni fascicolo della rivista,  per tornare alla metafora culinaria, offre un ricco buffet di rubriche, tra le quali ricordiamo “L’altro scaffale” (Alberto Cesari Ambesi); Filoosfia delle parole e delle cose (Daniele Gigli); “BvS: il ristoro del buon lettore” (Gianluca Montinaro). E così via. Buona lettura.     

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