La rivista della settimana: “la Biblioteca di via Senato”, n.1 – gennaio 2014; n.2 – febbraio 2014
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Rivista
per veri bongustai del libro e della cultura,
“la Biblioteca
di via Senato”, mensile dell’omonima Fondazione, apre il 2014
con due fascicoli all’altezza,
tanto per restare in metafora, del gourmet più esigente.
Dal
sommario del fascicolo n. 1 (gennaio 2014) segnaliamo il denso articolo
(piccolo miracolo di sintesi) che Errico Passaro dedica a J.R.R. Tolkien (
“J.R.R. Tolkien, signore della fantasia”, pp. 6-9). Di cui si
scrive, a proposito de La
caduta di Artù, poema inedito uscito
per Bompiani, introdotto da Gianfranco
de Turris, che « Tolkien si apparenta a un MacPherson
novecentesco, o se si preferisce un paragone più vicino alla nostra esperienza,
un Carducci che, invece delle mitologia classica greco-latina, si riferisce
all’epica nordica» (p. 9).
Intrigante
anche il ritratto di Giancarlo Petrella,
direttore della rivista, di quel picaro dell’editoria che fu Filippo Argelati (“Questi non son sono tempi
per libri”, pp. 10-20) l’editore settecentesco
dei Rerum Italicarum Scriptores di Muratori. Sempre sospeso tra debiti,
crediti, mercanteggiamenti, blandizie, sogni di gloria. E, tutto sommato, il
lieto fine. Quale? Quello di aver pubblicato un padre della storiografia moderna, padrone
delle fonti, come pochi altri.
Non
meno interessante la ricostruzione della politologia di Machiavelli, ben tratteggiata da Teodoro Klitsche de la Grange (“Niccolò Machiavelli. Primo costituente”,
seconda e ultima parte, pp. 25-23, per la prima parte si veda il fascicolo
dicembre 2014, da non perdere anche per
il focus dedicato al “segretario
fiorentino”). Scrive de la
Grange : « L’esistente prevale sul normativo (senza il
primo viene meno il secondo: ma non è
vero l’inverso): è questa la lezione che Machiavelli (e il realismo) ci dà
ancora oggi. A non capirlo o a volerlo non capire, anche nell’organizzare le
istituzioni si trova “ più presto la ruina che la preservazione sua” » (p. 32).
Bello, infine,
il “Ricordo” di Fellini scritto
da Piero Meldini (“Un sommo regista nel ricordo di in grande scrittore. A
vent’anni dalla morte una memoria di Federico Fellini”, pp. 63-65). Soprattutto per un’intuizione, tutta a favore
dell’intelligenza storiografica fellininana, a proposito del “Casanova”
Osserva Meldini: « Quello che ci rappresenta Fellini è per l’appunto un Settecento notturno […] Il
Casanova felliniano è un apolide, un vagabondo che concepisce l’amore come passione […]. Altro che recordman e forzato
del sesso: Casanova è un amante appassionato
e anche sdolcinato, un romantico ante litteram. La rappresentazione del Settecento che ci dà
Fellini troverebbe d’accordo, oggi, la maggior parte degli storici […]. [Ma]
trent’anni fa il regista era in perfetta solitudine». Ma c’è dell’altro, di regola,
conclude Meldini, « i registi di film storici, così come gli scrittori di
romanzi storici, tendono, volenti o nolenti, ad attualizzare il passato.
Fellini fa l’opposto: guarda al presente
con gli occhi dello storico. Da questo punto di vista sono per me film storici non solo
“Satyricon”, “Casanova” , “E la nave va”, “Amarcord”. Ma anche “Roma”, “Prova
d’orchestra” e soprattutto “La dolce vita” » (pp. 64-65).
Il
fascicolo n. 2 (febbraio 2014) si segnala invece per uno “Speciale Emo”, con
scritti di Giovanni Sessa, Sandro
Giovannini e interviste a Massimo Donà e Romano Gasparotti (pp. 14-31).
Parliamo di un focus di altissimo livello su Andre Emo (1901-1983)
filosofo, vero esempio vivente dell’epicureo vivi nascosto, perché in vita non pubblicò nulla. Sebbene riscoperto dopo la morte, dalla triade cognitiva Cacciari, Donà,
Gasparotti, abituata a dare del tu al pensiero negativo, Emo rimane – almeno a nostro avviso - una specie di gigantesco punto interrogativo teoretico.
Avvince e inquieta al tempo stesso. Un Cioran
di nobile casata veneta, forse addirittura più profondo del pensatore
franco-rumeno, passato per Gentile,
che attraversa i molteplici stadi di una metafisica antimodernamente votata
all’autodistruzione ma neppure alla costruzione. E forse in cerca - lui,
Emo - di un un
fondamento teoretico, o qualcosa che gli somigli, in chiave di unità metadialettica tra essere e nulla. Ma per andare dove? Quale metafisica dei costumi è possibile
costruire, in termini di una sociologia della vita quotidiana, distinta com’è – e
non potrebbe essere diversamente - da
analfabeti, sulla pur avvincente filosofia del pensare scrivendo? Ciò che vale per i professori di filosofia
vale anche per i cittadini? Difficile dire.Infine, ogni fascicolo della rivista, per tornare alla metafora culinaria, offre un
ricco buffet di rubriche, tra le quali ricordiamo “L’altro scaffale” (Alberto
Cesari Ambesi); Filoosfia delle parole e delle cose (Daniele Gigli); “BvS: il
ristoro del buon lettore” (Gianluca Montinaro). E così via. Buona lettura.
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