Il libro della settimana:
Leonida Bissolati, Diario di guerra. I
taccuini del soldato-ministro 1915-1918, a cura di Alessandro Tortato, Mursia 2014, pp. 218,
euro 16,00
http://95.110.225.117:8080/mursia/index.php? page=shop.product_details&flypage=flypage.tpl&product_id=3974&category_id=13&option=com_virtuemart&Itemid=58 |
Bissolati chi era costui? È sì,
il livello è questo. Oggi, se non per
pochi storici e antiquari politici di una mai nata socialdemocrazia italiana, è poco
più di un nome, al massimo una targa annerita dal tempo dedicata
a un distinto signore socialista
dai baffi fluenti. Sia chiaro, la cosa non ci piace. Anche perché, quando Craxi si involò, accelerando, con la
macchina socialista e democratica, in cerca di padri nobili per contrastare gli istinti leninisti del Pci berligueriano saltò più di una fermata. Per andare a schiantarsi nel circuito di Hammamet… Ma questa è un’altra storia.
Negli anni, per alcuni eroici, del primo craxismo si ripescò Proudhon, pensatore
brillante però antiborghese, ma non
Leonida Bissolati (1857-1920) - o comunque senza la stessa convinzione - e con lui l’ala
riformista, per così dire, al quadrato, che
aveva accettato ben prima di Turati la democrazia liberale e celebrato l’idea di patria senza cedere nulla alle opposte monomanie nazionaliste
pacifiste. Quel che colpisce
del pensiero bissolatiano, è
l’interessante collegamento fra
Risorgimento, socialismo democratico e irredentismo, quale coronamento, anche
attraverso la “Grande Guerra” - guerra
giusta - dell’ Unità,
dell’emancipazione economica e dell’autodeterminazione del popolo italiano. Siamo veramente agli antipodi della tradizione leninista, così carica di violenza e odio di classe. Detto per inciso, ancora si attende - a quanto ci risulta - un’edizione
filologicamente impeccabile degli scritti di Bissolati.
Sotto questo aspetto, chiunque ci
abbia pazientemente seguito fin qui, non
potrà non apprezzare il suo Diario
di Guerra. I Taccuini del soldato-ministro 1915-1918 (Mursia), finalmente in edizione integrale, con due sontuose
appendici (1/Lettere alla moglie;2/Discorsi e carteggi). Il volume è ottimamente curato e introdotto da Alessandro Tortato, che, da come si legge in quarta, ha
affiancato alla carriera musicale
gli studi storici. Meraviglioso!
Se fosse per noi obbligheremmo
certi aridi cattedratici a studiare
musica proprio per rendere fertile il discorso storiografico, quale magnifico
insieme di armonie, movimenti e tempi, ovviamente lenti e veloci. Che vanno, per farla breve, dal grave al
prestissimo…
Il volume restituisce i
pensieri quotidiani di un
fondatore del partito socialista, deputato, direttore dell’ “Avanti”,
arruolatosi nel 1915, a cinquantotto
anni, tra gli alpini. Ferito due volte, decorato. Dal 1916
Ministro per i collegamenti con
l’Esercito ( il “«soldato-ministro»). Di
qui, il rapporto mai facile con Cadorna,
generale comandante, segnato da alti e bassi, ma soprattutto, al di là degli
apprezzamenti formali, da una reciproca diffidenza. Sentimento - nostra amara considerazione - che non può non distinguere, e da sempre, il
rapporto tra militari e civili.
Parliamo di secche notazioni a tutto campo: i morti, i feriti, le bombe, le croci, i
tarocchi, il freddo, le alte quote, il
quarto di pagnotta inzuppato nel caffè,
i cieli azzurri ma gelidi come gli occhi dei austriaci, le marce, la stanchezza, la febbre,
disertori, le fucilazioni. Dopo
Caporetto, Bissolati credendo nella fine
del sogno irredentista, pensò per
un momento addirittura di farla finita. E, come si osserva, definì quella tragedia, da antico organizzatore sindacale qual
era, come frutto
avvelenato di uno «sciopero militare». Va qui ricordato che a proposito dell’Otto Settembre,
Renzo De Felice usa un’espressione simile: «sciopero morale» (Rosso e nero, a cura di Pasquale Chessa,
Baldini & Castoldi 1995, pp. 42-44 ). Probabilmente, al di là della natura
onnivora delle letture defeliciane, perché tristemente consapevole come
Bissolati, per dirla con Furet, autore
citato dallo storico reatino, che
«il fatto che i popoli non si comportino eroicamente nella sventura
non è una novità…».
In sintesi, per chi abbia
dimestichezza con la letteratura di guerra,
si può dire che nelle pagine di Bissolati, ritroviamo la lucidità del Diario di guerra di Mussolini e la passione civile
racchiusa nelle lettere dal fronte di
Omodeo
Fondamentale, infine,
per cogliere alla radice il pensiero politico di Bissolati, resta il testo (in Appendice) della famosa conferenza
della Scala dell’ 11, gennaio 1919, interrotta dal fior fiore del
diciannovismo e dallo stesso
Mussolini, presente in sala, che pur stimava Bissolati.
Il pensiero del “soldato-ministro” è un
concentrato di ragionevolezza politica e di fede nei valori di quella democrazia, liquidata da proto-fascisti e
leninisti con l’epiteto di
borghese. Torna l’idea della Prima Guerra Mondiale, come conflitto della
democrazia contro l’autoritarismo; si ribadisce con forza l’adesione ai principio wilsoniano - e prima ancora mazziniano - di
autodeterminazione dei popoli; si crede fermamente nel ruolo pacificatore della
Società delle Nazioni; si sfida il nazionalismo e il nascente mito della vittoria mutilata, si chiede agli italiani uno sforzo: rinunciare
al Dodecaneso, all’Alto Adige e alla Dalmazia; si domanda di non
contrastare ciò che per Bissolati
era
già un fatto: «La
Jugoslavia è, o Signori. E nessuno può fare che non
sia» (p. 197). Inutile ripetere quel
che accadde in una sala strategicamente dominata da futuristi,
arditi e altri diciannovisti.
Sempre in quei giorni drammatici,
Salvemini, altro grande interventista democratico, osservò: «Il dilemma, dinanzi a cui si trova oggi il
mondo è: o Wilson o Lenin ». L’Italia,
di lì a tre anni, scelse Mussolini. Già massimalista,
nemico di tutti i riformisti. Un
piccolo Lenin italiano? Forse. Comunque sia, nessuno si aspettava, come si direbbe oggi, che vincesse facile. Probabilmente neppure Bissolati, che però morì
il sei maggio 1920. E non fece in tempo a vedere l’ultimo atto
della tragedia. Probabilmente, fu meglio così. Matteotti, che invece c’era, vivo e
vegeto, fece una brutta fine.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento