martedì 30 aprile 2013


Il Governo Letta,  Grillo e la muffa 


Letta ce l’ha fatta. E sembra  godere di una maggioranza considerevole, come mostra il voto alla Camera. Durerà? Bella domanda, come direbbe un nostro vecchio amico.
La scelta dei ministri, degna del “Manuale Cencelli”, e la vaghezza del programma esposto  ( soprattutto a proposito del finanziamento delle eventuali  misure economiche da "prendere subito") consentono ai due principali partners ampia  libertà di manovra.   Si pensi all’Imu, per ora, sospesa. La decisione sembra presa apposta per accontentare i due contendenti: il Pdl può presentare la sospensione come una vittoria abolizionista, mentre il Pd quale primo passo verso la rimodulazione -  quindi conservazione -   della tassa.
Insomma, la via del Governo Letta sembra segnata da un’ambiguità, stando a non pochi osservatori,   di matrice democristiana.   Duplicità -   terreno perfetto per imboscate, sortite, divisioni e riconciliazioni-   che potrebbe  consentire alle forze politiche che lo sostengono di  tirare  avanti  o cadere  giocando alla bisogna  sulla  logica - per alcuni dorotea -   del  bicchiere mezzo pieno/mezzo vuoto.  O  comunque  di  "tenere"   fino a quando Pd e Pdl  non decideranno di affondare Letta per andare al voto.  Ma con quale legge?   Difficile dire.  Anche perché  antichi  disaccordi   fanno  dell'argomento  una mina  vagante. E lo stesso si potrebbe dire della "questione giudiziaria" ( tema caldissimo per Berlusconi).   Riassumendo:   la vaghezza che  avvolge il programma del Governo Letta  ben  rappresenta  quel  misto di   forza e  debolezza che  può allungare come  accorciare  la sua durata. 
Del resto, esistevano alternative? No. Il rifiuto iniziale dei cinquestellati di collaborare con Bersani ha determinato  l'evoluzione della crisi. In che  modo?   Mettendo  nell’angolo il segretario  Pd  e  favorendo la successiva rielezione di Napolitano e la nascita del Governo Letta.
Se Grillo e Casaleggio, nel mese di marzo  in occasione del primo giro di consultazioni,  avessero accettato la proposta di Bersani, ora l’Italia avrebbe un governo Pd-Sel-M5s. E sicuramente nessun carabiniere all’ospedale.  Governo certamente  di sinistra, e quindi  sgradito all'elettorato di destra,  ma Governo effettivo. Come dire:  operativo e  non costretto a vivere alla giornata.            

Pertanto è molto sciocco  prendersela con la Merkel, con Napolitano, con le logge massoniche, con la mafia, eccetera.  Letta è Presidente del Consiglio per un gravissimo errore politico di Grillo. Questi sono i fatti. 
Per dirla in linguaggio grillino,  se muffa c’è, è tutta  nel cervello del’ex comico. E i suoi elettori  prima o poi se ne accorgeranno.

Carlo Gambescia

lunedì 29 aprile 2013




Cara donna Mestizia,
Forse ricordo male, ma in occasione del giuramento dei Governi Prodi nel 1996 e nel 2006 nessun passante calabrese sparò ai poliziotti con l’intenzione di sparare ai politici. Certo, non  c' era ancora  la crisi economica, ma neppure  lo squadrismo grillino. O no? 
Cordiali saluti.
Gino Destro
Caro Signor Destro,
No comment… Vorrei arrivare all’età della pensione….

***

Cara donna Mestizia,
ieri ho trovato davanti alla porta di casa una borsa vuota. Più precisamente, una sacca in cuoio chiusa da un legaccio in pelle intrecciata. A prima vista, il manufatto è antico, forse antichissimo: punzonata a caldo, all’interno si scorge la scritta “M. Pecorellius fecit”. La borsa è eccezionalmente ben conservata, tanto da lasciar pensare che sia stata custodita (da chi?) in qualche armadio a temperatura e umidità controllate. Il contenuto brilla per la sua assenza. Secondo Lei, a chi può appartenere? Che cosa conteneva? Chi può averla lasciata davanti a casa mia? E perché lasciarla proprio a me, un modesto ingegnere elettronico che ormai rammenta pochi brandelli del latino studiato al liceo? E’ un bel mistero! Fatto sta che stanotte non ci ho dormito.
Ing. Venanzio Costantini, Roma

Caro Ing. Costantini,
scusi la domanda personale: per caso, Lei è imparentato con l’imperatore Costantino, quello di “in hoc signo vinces”? Se fosse così, molte cose comincerebbero a trovare spiegazione. Ricorda la complessa vicenda della donazione del Suo (forse) antenato alla Chiesa? Alcuni ricercatori, capofila il dott. L. Valla, sostengono che si tratti di un falso. Vero che altri studiosi ne mettono in dubbio le conclusioni, e fanno pesanti allusioni ai legami del dott. Valla con i Servizi di intelligence (deviati?) e in generale con misteriose organizzazioni dello “Stato profondo”. Che vuole? Si lamenta sempre che l’Italia è un paese senza memoria, e per certe cose – ad esempio, i meriti dei migliori italiani - è senz’altro vero. Le cose di cui non si sa niente, invece, l’Italia non le scorda mai. Quanto alla Sua insonnia, Le raccomando di non prenderla sottogamba. Diceva un vecchio medico che quanto più ci si avvicina al riposo eterno, tanto meno si ha bisogno di dormire; e che un radicale cambiamento d’aria, in casi come il Suo, può far miracoli. Ha mai pensato di trasferirsi all’estero? AugurandoLe in bocca al lupo, La saluto cordialmente.

* * *

Cara donna Mestizia,
seguiamo da sempre la Sua attività giornalistica, ammiriamo la Sua equanimità bipartisan, la Sua competenza professionale, la Sua fedeltà ai valori repubblicani. Che ne dice di un dicastero nel nuovo esecutivo? Pensiamo che al Suo profilo etico si attaglierebbe a perfezione il Ministero per l’Integrazione, o in subordine, il Ministero per le Pari Opportunità. R.S.V.P.
Conte Nipote & Conte Zio, Superne Sfere

Illustri Conte Nipote & Conte Zio,
sono commossa e onorata per la lusinghiera proposta, ma temo si sia ingenerato un equivoco. Quanto al Ministero per l’Integrazione, una mia fotografia, largamente circolata su Internet, deve aver tratto in inganno le Loro Signorie. Si tratta però di una prova nella causa civile da me promossa contro il Centro Abbronzatura “O Sole mio” in seguito allo sciagurato malfunzionamento del lettino a raggi UVA di cui m’ero servita: insomma, purtroppo non sono negra. Quanto al Ministero per le Pari Opportunità, m’incorre l’obbligo di comunicare alle S.V. che nonostante il mio nom de plume, non sono neanche donna. Mi scuso, ma nessuno – tranne le Loro Signorie - è perfetto. Di nuovo ringrazio sentitamente, porgendo le mie scuse e i miei ossequi.




Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...

domenica 28 aprile 2013


  Sparatoria davanti a Palazzo  Chigi. 



"Durante la cerimonia di giuramento del governo Letta, un uomo ha sparato davanti a Palazzo Chigi - sede della presidenza del Consiglio - colpendo due carabinieri. Ad aprire il fuoco un uomo in giacca e cravatta che all'improvviso ha sparato. I due carabinieri avrebbero risposto al fuoco. L'uomo potrebbe essere uno squilibrato e, a sua volta ferito, è stato fermato dalle forze dell'ordine" .



Probabilmente si tratta dell'atto di uno squilibrato.   Tuttavia,  chi ha contribuito nei giorni  passati a creare un clima di odio,  opponendo la "Piazza" al Palazzo"?    

sabato 27 aprile 2013













Abbiamo paura degli angeli

Il male è empatico
alla somma di questi giorni vuoti.
Un'attrazione letale
intriga le azioni
di noi umani collezionisti
del disumano in tutte le cose che facciamo.
L'apparire subisce il fascino sinistro
della caduta dei sogni
e in ogni angolo della coscienza
mettiamo la parte più crudele di noi stessi.

Abbiamo paura degli angeli
perché portano la verità
e dicono che forse una salvezza
potrebbe allontanarci per sempre
dall'inferno che ogni giorno
ci cuciamo su misura.

                     Nicola Vacca
***

Oggi,  a chiosa dei  bellissimi versi  dell' amico Nicola,  ne  pubblichiamo  di nostri, assai modesti,  a lui dedicati.  Con il cuore.  (C.G.)

Amici
Lingue mai tagliate,
abbracci mai negati
attraversano le nostre colpe.
Moriremo e risorgeremo, 
ritrovandoci amici.
                         Carlo Gambescia


Nicola Vacca è nato a Gioia del Colle e vive a Salerno. È scrittore, opinionista, critico letterario, collabora alle pagine culturali di quotidiani e riviste. Svolge, inoltre, un’intensa attività di operatore culturale. Ha pubblicato numerosi libri di poesia, tra i quali ricordiamo, Civiltà delle anime (Book) , Incursioni nell’apparenza ( Manni), Esperienza degli affanni, Almeno un grammo di salvezza (Edizioni Il Foglio), nonché Mattanza dell' incanto ( Marco Saya Edizioni), intensa raccolta fresca di stampa.

venerdì 26 aprile 2013


Ce la farà Enrico Letta?





Ce la farà Enrico Letta?  Difficile dire.  A una parte  del Pd  ripugna governare con il "nemico assoluto" degli ultimi vent’anni ( un Berlusconi ora smanioso di “larghe intese”). In perfetto accordo con  l'altra minoranza esterna:  quella dei  post-comunisti di  Vendola.  I quali non perdono occasione  per     ribadire, compunti,  la continuità politica tra il Cavaliere e Mussolini.  Mentre  Cinquestelle, per ragioni di purezza razziale,  rifiuta di “mescolarsi” con Pd e Pdl. Infine,  Lista Civica  spera invece nella riedizione soft  del Governo Monti. Gli altri partiti, Lega inclusa,  stanno alla finestra, in attesa  non si sa bene  di che cosa.
Due i fattori che giocano   nella direzione  di un  esito negativo del tentativo Letta: a) la totale mancanza di spirito e volontà di mediazione tra le diverse forze politiche, dovuta b) alla crescente e pericolosa drammatizzazione, ormai ventennale, della lotta politica. Come del resto ha provato la  frattura, ideologicamente romanzesca, insensata e manichea sulle candidature alla Presidenza della Repubblica.
Due i fattori che invece depongono a  favore di una conclusione positiva del tentativo Letta: a) il grande lavoro di mediazione dietro le quinte  condotto dal Presidente Napolitano,  ormai al vertice di un Repubblica, almeno di fatto,  presidenziale; b) l’incalzare della crisi e della  necessità di varare misure di sostegno alla sempre più  fragile economia italiana.

Insomma, regna la massima incertezza.  Enrico Letta, sia detto con grande  rispetto,  benché molto preparato non pare  possedere, a differenza di Monti,  grande personalità politica (ovviamente il parallelo è  in chiave relativa,  non assoluta...).  Cosicché, questa volta,  il vero leader, seppure  dietro le quinte,  della  possibile coalizione sembra essere  Giorgio Napolitano.  Se Letta  ce la farà,  il nuovo governo sarà un vero e proprio  governo presidenziale.  In caso contrario,  potrebbero prepararsi tempi molto duri  per la democrazia italiana.

Carlo Gambescia

giovedì 25 aprile 2013



Il libro della settimana: Paolo Armaroli, Lo strano caso di Fini e il suo doppio nell’Italia che cambia. Tutte le anomalie della XVI legislatura e oltre, Mauro Pagliai Editore 2013, pp. 240. 


http://www.mauropagliai.it/php/index.php


Chissà oggi dove sarà Gianfranco Fini? L’anno scorso tagliava nastri e celebrava il 25 Aprile, oggi, stando al gossip  poco benevolo,   potrebbe essere nuovamente all’Ikea a fare piccole spese domestiche in compagnia della moglie (http://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/1215876/Fini--trombato-alle-urne--si-da-allo-shopping-low-cost--con-la-Tulliani-all-Ikea.html   ) .
Riposo del guerriero? Sì. Ma, probabilmente,  a tempo indeterminato. Anche se in politica, come si consiglia,  mai dire mai…  Comunque sia,  chi tuttora abbia qualche nostalgia della "battaglia" di Fini contro Berlusconi,  al tempo stesso   presidente della Camera e  leader di un neo-gruppo parlamentare, non può non leggere - soprattutto per guarirne rapidamente –  il libro dal respiro  filangeriano, del professor Paolo Armaroli:  Lo strano caso di Fini e il suo doppio nell’Italia che cambia. Tutte le anomalie della XVI legislatura e oltre (Mauro Pagliai Editore). Dove, da raffinatissimo studioso di scienza costituzionale e parlamentare,  Armaroli - tra l’altro penna assai  vivace - illumina i  risvolti  istituzionali di un’operazione politica tesa a far fuori Berlusconi.  Alla quale, Fini si è prestato neppure tanto elegantemente.
Si dirà, ma il professor Armaroli parla, se ci si perdona l’espressione, da “trombato”. Nel senso che, se ricordiamo bene, Fini pose il veto alla sua ricandidatura  nel 2001. Di qui, l’assenza di serenità…  Al contrario, siamo davanti a un libro molto equilibrato, dove addirittura si avverte laica  pietà verso un Gianfranco Fini costretto - certo, non per altrui scelte - a sdoppiarsi:  «irreprensibile dottor Jekyll intra moenia, inquietante come il signor Hyde fuori dalle mura» della Camera dei Deputati (p. 11). Un eccesso di pressione nervosa su una personalità,  sicuramente “di ghiaccio",  ma non oltre ogni  umana misura.  Un equilibrio, già precario,  messo defintivamente   a dura prova dal devastante flop elettorale: 0, 46 per cento.…   Il che potrebbe spiegare in chiave post-basagliana  i terapeutici   tour  familiari all’Ikea e la malinconica scomparsa di Fini dalle cronache politiche.
Dicevamo dell’equilibrio di Armaroli.  Ecco un esempio: « Non c’è solo (…) l’anomalia costituzionale di una maggioranza e di un governo che vorrebbero disfarsi del presidente della Camera. No c’è anche la simmetrica anomalia di un inquilino di Montecitorio, che, dismessi i panni dell’arbitro, fuori del palazzo fa politica tutto campo, contesta l’indirizzo politico del Pdl e del governo con espressioni sovente sopra le righe e si ripromette, quando capiterà l’occasione di liquidare un ministero che senza i voti dei suoi fedelissimi non detiene più la stratosferica maggioranza parlamentare di una volta. Ora, non è che l’una anomalia annulla per così dire l’altra. Niente affatto la verità è che alla prima anomalia si aggiunge la seconda, con il risultato che ogni regola viene stravolta. Il guaio è che c’è chi pone l’accento sull’una anomalia e chi invece tende a mettervi un po’ la sordina. Cosa che invece un osservatore imparziale non dovrebbe mai fare» (p. 23).
Pertanto Fini, non poteva essere sfiduciato,  perché «la sfiducia non è prevista né dalla Costituzione né dai regolamenti di entrambi i rami del Parlamento» (pp. 178-179). Poteva solo dimettersi.  Dal momento che il potere del presidente della Camera (come quello del Senato) è considerato un potere neutro, un potere non potere, cosicchè  dove non c’è potere, chiosa Armaroli  sulla scia di illustri precedenti dottrinari, non c’è responsabilità e quindi “sfiduciabilità”.  Al massimo, si poteva, sciogliere la Camera dei Deputati, appellarsi alla sovranità popolare e poi rieleggere un nuovo presidente.
Del resto, come mostra il professore, che seziona  undici-sedute-undici (pp. 43-122), «sia pure con qualche caduta di stile, il giudizio sulla conduzione dei lavori parlamentari da parte di Fini è positivo. Non lo diciamo solo noi, si badi. Lo afferma implicitamente la stessa maggioranza parlamentare, poco incline a fare sconti a un presidente della Camera passato dal centrodestra all’opposizione. Difatti la maggioranza non contesta tanto le decisioni della presidenza e, quanto lo fa, di solito non porta argomenti validi a sostegno della proprie tesi. Quanto piuttosto imputa alla presidenza di non essere super partes quando fuori dalla Camera si comporta né più né meno come uno dei tanti attori politici in circolazione» (p. 122).
Ma come - ecco il punto - evitare un  altro “caso Fini”?  Combattendo la malattia partitocratica. Ma in che modo? Se abbiamo capito bene, rafforzando la stabilità dei governi, riducendo il numero dei partiti, senza per questo indebolire troppo il ruolo del Parlamento. Insomma, una specie di quadratura del cerchio… Almeno in Italia.  Bisogna però tentare. Altrimenti il peggio potrebbe essere dietro l'angolo.

«Nella Prima Repubblica - osserva preoccupato  Armaroli - istituzioni deboli sono state compensate da partiti forti. Nella Seconda Repubblica il bipolarismo ha garantito un minimo di governabilità, a dispetto di istituzioni mai riformate a dovere. Nella Terza Repubblica, quella dei giorni nostri, ci manca di tutto: partiti responsabili e istituzioni forti. Ma anche i regimi politici hanno orrore del vuoto, E allora, per dirla con De Gaulle, il potere non si prende. No,  si raccatta da parte del primo venuto. Weimar docet» (p. 224) .

Carlo Gambescia

mercoledì 24 aprile 2013


 

Albert  Einstein e il problema del  male
di Carlo Pompei




Giorni fa, su questo blog, l’amico Carlo Gambescia ha pubblicato un pezzo  dove  si poneva un problema, quello del male,  dalla soluzione probabilmente impossibile (*). Possiamo comunque provare a ragionarci su.
In un aneddoto  attribuito ad Albert Einstein si racconta che il celebre fisico, appassionato già in età giovanile di materia e antimateria, si interrogasse sulla teoria degli opposti (**). Sintetizziamo al massimo: l’oscurità non è, ma esiste soltanto in assenza di luce e il freddo non è, ma esiste soltanto in assenza di calore. Con questi presupposti egli ipotizza che il male non è, ma possa esistere soltanto in assenza di bene, dove per bene si intende soltanto amore per il prossimo, per gli atei, ma anche fede in un Dio buono per i religiosi.
È una risposta che può piacere o meno, ma è l’unica che avvicina le “fazioni” e soddisfa criteri diametralmente opposti: è inoppugnabile e attribuisce unicamente agli uomini la responsabilità della malvagità terrena. Inoltre risolve - almeno sul piano teorico - il problema della contrapposizione: dove c’è bene non c’è male, che, però, apparirà immediatamente allo sparire del primo.  Si potrebbe obiettare che uno stormo di falchi sia decisamente più pericoloso di uno stormo di pari numero di colombe, ma il punto è proprio qui: trasformare i falchi in colombe. Come?
Per gli animali non è possibile, ovviamente, ma con una educazione appropriata dei bambini sarebbe una trasformazione possibile, almeno per il genere umano, che ad oggi si conferma il più pericoloso per il pianeta.
Infatti nella realtà le cose sono ben diverse: i rapporti umani diventano ogni giorno più freddi e distanti. Al proposito, sempre ad Einstein viene attribuita questa frase: “Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato da una generazione di idioti”. Questo giorno è arrivato: fatte salve alcune rare occasioni, siamo soli anche quando siamo in tanti.
Parafrasando, potremmo affermare che la solitudine non è, ma esiste soltanto in mancanza di compagnia. Ci comportiamo con gli amici come se avessimo vicino perfetti sconosciuti; anzi, a volte parliamo più con gli sconosciuti che con chi frequentiamo da anni. I social network ne sono la prova: stupide condivisioni, interessati apprezzamenti e molti litigi, ma è tutto virtuale e, soprattutto, remoto (per fortuna per i litigi). Questo è uno dei motivi per i quali la società (?!?) moderna è cosí facilmente manipolabile da potentati pseudopolitici ed è così sguarnita e indifesa preda del male: sembriamo tutti vicini, ma siamo lontanissimi. Se qualcuno ne parlasse, magari durante una cena, non sarebbe ascoltato e sarebbe apostrofato come rompiballe o addirittura come cervellotico orwelliano. Occorre invece parlare con chi è ora accanto a noi in carne, ossa e sangue, ci sentiremo tutti subito meglio, noi e chi, finalmente, ci circonda: una vita realmente condivisa è il primo antidoto contro il male, poiché l’assenza stessa è maligna.
Carlo Pompei





Carlo Pompei, classe 1966, “Romano de Roma”. Appena nato, non sapendo ancora né leggere, né scrivere, cominciò improvvisamente a disegnare. Oggi, si divide tra grafica, impaginazione, scrittura, illustrazione, informatica, insegnamento ed… ebanisteria “entry level”.

martedì 23 aprile 2013


I “sacrifici” di Lidia Ravera
Sinistra al caviale? 
Non proprio…




Chiediamo scusa agli amici che questa mattina  attendevano  un nostro post sull’elezione di Napolitano e sui possibili sviluppi. Affronteremo l’argomento nei prossimi giorni.
Oggi invece preferiamo segnalare e commentare  una (apparentemente)  soprendente   dichiarazione  di Lidia Ravera,  colta al volo in un’intervista rilasciata a “Nuovo Paese Sera” dalla “ titolare della cultura dell’era Zingaretti” (http://www.paesesera.it/Politica/Cultura-la-neo-assessora-Ravera-Basta-con-i-carrozzoni-Il-festival-del-cinema-Si-pensi-a-una-fase-transitoria  ):

Ho rinunciato alla mia libertà e alla mia vita da privilegiata per impegnarmi alla Regione Lazio, perché per 5 anni voglio provarci. Bisogna invertire questa tendenza vergognosa. Il mio è un grande sacrificio: il primo maggio di ogni anno parto per Stromboli e ci rimango fino alla fine di ottobre, da dove produco reddito seduta sul mio terrazzo. Se ho rinunciato a tutto questo deve valerne la pena.

Sarebbe facile, piegandosi al  mainstream  dei piagnoni  anticasta di destra,   ironizzare sulla sinistra intelllettuale  al caviale che pretende di sacrificarsi rinunciando a un bel tramonto sul mare di Stromboli,  mentre   digita l’ennesimo ego-romanzetto,  sul cui effettivo  ritorno economico  nutriamo qualche dubbio.    
In realtà,   la stupefacente affermazione della Ravera,   almeno agli occhi del sociologo, non è poi così sorprendente. Perché rinvia a un fattore sociologicamente costitutivo: quello professionale.  Ci spieghiamo meglio.
L’intellettuale, soprattutto se letterato in senso stretto - e non importa se di  destra o sinistra -  vive da intellettuale…  immerso se non del tutto  perduto tra le idee,  confrontandosi esclusivamente con altri intellettuali  solo e sempre  sul valore delle  idee…  Insomma, la  professione,  anche se la conclusione  può apparire banale,  plasma  l'uomo.  Certo, in  "natura sociale", esistono   le eccezioni.  Che tuttavia,  come si usa dire,  fanno la regola.        
Un avvocato, conoscendo  per "mestiere"  di quale pasta sono fatti  gli uomini, osserverà la realtà in maniera disincantata, sapendo perfettamente che il mare sulle pance vuote non può esercitare alcun fascino. Un pescatore, abituato a lottare con le forze della natura,   guarderà, in modo altrettanto distaccato,  ai pericoli  celati negli  abissi.  Un intellettuale  che invece vive in un mondo tutto suo,  incantato e irreale,    tenderà ad apprezzare i colori, le sfumature,  i profumi  di un paesaggio marino... 
Cosa vogliamo dire? Che gli intellettuali, soprattutto se scrittori puri,  devono tenersi lontani  dalla politica, rifutando incarichi di qualsiasi genere.    Perché  di  politica  pratica  ( quella, semplificando, del famigerato sangue e m...)  non potranno mai capire nulla.   Si accontentino perciò  di romanzare la realtà politica, talvolta bene, come Verga, che pure fu nominato senatore,  Melville, Conrad,  talaltra  male come l' "assessora"  Lidia Ravera. Ma non di praticarla,  rischiando di dire e  fare stupidaggini: la descrizione  della realtà   filtrata dalla scrittura ( che può essere ripetiamo, di buona o cattiva qualità) non è la realtà così com'è,  ma come  viene  immaginata e reinventata  da uomini - gli intellettuali -  che pretendono di parlare al mondo  senza essere del mondo.  Ovviamente, può esserci  ricaduta politica delle idee racchiuse in un romanzo.   Ma resta,  per l'appunto,  una ricaduta:  l' effetto indiretto del lavoro letterario.   Per contro,   un  successo editoriale e politico,   intenzionalmente  perseguito,   non   significa  affatto che nello zaino di ogni  scrittore  si nasconda il   bastone di maresciallo.   Insomma,  la capacità immaginativa -  come la conoscenza -   non fa  virtù ( né morale né politica).   Figurarsi  nel caso di una mediocre scrittrice.
Gli avvocati e i pescatori possono fare politica?  Certamente.  E  non perché  non possano fare danni...  Diciamo però che "per professione"   sono vocati  a  commettere   meno errori.

Carlo Gambescia


lunedì 22 aprile 2013





Cara donna Mestizia,
il PD che vota contro il suo fondatore, Berlusconi che canta vittoria perché si elegge alla Presidenza il comunista che l’ha umiliato e cacciato dal governo, la Lega che fa il baluardo dell’unità nazionale, Grillo che denuncia il colpo di Stato, indice la marcia su Roma e poi annulla la rivoluzione perché la Questura non dà il permesso …è assurdo, non ci capisco più niente! Suo aff.mo
Italo

Caro Italo,
per rispondere alla Sua legittima e naturale preoccupazione, viene a proposito la lettera seguente. A causa di un disservizio postale, ci è giunta con enorme ritardo, ed è stata scritta da un lettore francese per commentare un’antica vicenda d’Oltralpe, ma vedrà che si attaglia a perfezione all’odierna situazione italiana. Corsi e ricorsi, come diceva un napoletano non privo d’ingegno. Buona lettura.

* * *

Cara M.me Mestizia,
è una legge fondamentale : non si trasformano in corso d’opera dei vinti in vincitori. Solo la vittoria unisce. La disfatta non solo separa l’uomo dagli altri uomini, ma lo separa da se stesso. Se chi fugge non piange sulla Francia che crolla, è perché è un vinto. Piangere sulla Francia sarebbe già il comportamento di un vincitore. A quasi tutti, a chi ancora resiste come a chi non resiste più, il viso della Francia vinta si mostrerà solo più tardi, nelle ore di silenzio. Oggi, ciascuno consuma le sue forze contro un particolare banale che si rivolta o si disgrega, contro un camion in panne, una strada imbottigliata dal traffico, una manetta del gas che si blocca, l’assurdità di una missione. Il segno del crollo è che la missione diventi assurda. Che diventi assurda proprio l’azione che si oppone al crollo. Perché ogni cosa si divide al suo interno, contro se medesima. Non si piange sul disastro universale, ma contro l’oggetto banale di cui siamo responsabili, l’unico tangibile, e che smette di funzionare. La Francia che crolla è ormai solo un diluvio di frammenti senza volto riconoscibile: né la missione, né il camion, né la strada, né quello schifo di manetta del gas.
Certo, una disfatta è un triste spettacolo. Gli uomini ci fanno una brutta figura. Gli sciacalli si rivelano per quel che sono. Le istituzioni si sbriciolano. Le truppe, ingozzate di scoraggiamento e di fatica, si disgregano nell’assurdo. Tutti questi effetti, una disfatta li implica come la peste implica il bubbone. Ma se un camion investe la donna che amate, voi vi mettete a criticare la sua bruttezza? Io sono stato fatto dalla Francia. La Francia ha formato dei Renoir, dei Pascal, dei Guillaumet, degli Hochedé. Ha formato anche degli incapaci, dei politicastri e degli imbroglioni. Mi pare troppo comodo vantarsi dei primi e negare ogni parentela con i secondi (*).
Piccolo Principe

Caro Piccolo Principe,
scusandomi per il ritardo nella pubblicazione, La ringrazio della Sua bella lettera, alla quale non ho nulla da aggiungere. Sottolineo soltanto, perché le trovo particolarmente adatte per la situazione italiana di questi giorni, queste sue frasi illuminanti: “Il segno del crollo è che la missione diventi assurda. Che diventi assurda proprio l’azione che si oppone al crollo.”

 (*) Antoine de Saint-Exupéry, Pilote de guerre , 1942. Traduzione  di R.B.


Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...

domenica 21 aprile 2013

Luigi Zingales, il numero quattro e l’importanza storica del farmacista...
di 
Raffaele Siniscalchi




Quattro. Il numero quattro. Da alcuni giorni questo pensiero mi assilla la mente. Da perfetto individualista, e per deformazione professionale, prediligo i numeri primi, i dispari, divisibili per uno e per se stessi. So di tradire una vena di puro egoismo, ma confermo la mia scelta. D'altronde non è tale il tre, il numero perfetto?
Per i pitagorici, fusione del pari (due) e del dispari (uno), per i religiosi (sono frequenti le triadi divine) dalla Trimurti induista, Brahma, Shiva, Vishnu, alla Trinità del Cristianesimo; anche per i Cinesi il tre è perfetto, in quanto numero della totalità cosmica: cielo, terra, uomo. Tre sono le dimensioni dello spazio. E tre e i suoi multipli hanno un valore simbolico anche nella Divina Commedia (tre cantiche, trentatré canti, nove gironi infernali). Quindi, perché quattro?
Tutto è riconducibile a un articolo di Luigi Zingales, apparso su “L’Espresso” un paio di anni fa e da me casualmente scoperto. (http://espresso.repubblica.it/dettaglio/o-via-le-caste-o-si-muore/2169125#commentatutti  ). Dove l’ esimio economista e accademico italiano, descrive un quadro impietoso delle “lobby italiane” colpevoli, a suo dire, di pietrificare la crescita economica e l'evoluzione culturale della società nel Belpaese. Addirittura si giunge a elencare minuziosamente ( e genealogicamente)  i rappresentanti dell'attuale sfacelo: “ (...) Il notaio, il farmacista, il bancario, l'avvocato e il presidente della fondazione [bancaria n.d.r.] (...) ” . Segnalando il luogo nel quale perpetuano il loro sodalizio: “ (...) si trovano tutti a prendere l'aperitivo al bar centrale (della piazza n.d.a.), anche quello tramandato di padre in figli (...)”.
E qui, come si suol  dire, mi si è accesa la lampadina. Innanzitutto, sorprende oltremodo l' ignoranza   circa la   geometria urbanistica delle città italiane, distinte per ragioni storico culturali  da una crescita a raggiera dalla piazza, sovrastata dal potere spirituale (la cattedrale) e quello temporale (il municipio), verso l'esterno delle mura medievali.  Organizzazione, l' italiana,  che differisce concettualmente da quella statunitense:  terra amata dal professore  e  segnata da  un'evoluzione di strade intersecate ad assi cartesiani, in una scacchiera di isolati. Parliamo di  città  "democraticamente" prive di un centro privilegiato ma, ciononostante, "ricche" di periferie degradate...
Forse, se non ci fosse stato quel luogo fisico ove periodicamente si riuniscono compratori e venditori, punto d'incontro sin dal Medioevo delle esigenze dei cittadini, venuti in piazza a fare la spesa per la settimana, e dell'offerta dei contadini, recatisi in città, non avrebbe avuto modo di propagarsi quell'esito sociale capace di autogenerarsi dall’interazione delle azioni individuali e designato col termine “mercato”.
Ancor più stupefacente è, però, la disattenzione del professore sul numero quattro! E sì, perché quattro sono le figure che, dal Risorgimento a oggi, hanno permeato la vita sociale del popolo nei piccoli e numerosissimi paesi italici: il prete (potere spirituale), il sindaco (potere temporale), il maresciallo dei carabinieri (difesa e controllo del territorio), il farmacista (primo baluardo a tutela della salute). Perciò l'articolo del professor Zingales offre per contrasto la possibilità di rimarcare la figura professionale cui appartengo. Figura menzionata, seppure con parsimonia, da altri pensatori, scrittori e registi. Giacché il farmacista, nell'immaginifico collettivo, non è un elemento forte, carismatico, munito della durezza del soldato o il coraggio di un martire. Vive la sua opera tra il banco e il laboratorio e il magazzino. Elargisce consigli, vende medicinali. Punto e basta. E' una presenza sociale invisibile notata solo nell'assenza! Inoltre si dimentica la figura dei farmacisti nel Risorgimento e del loro ruolo nel processo di unificazione. Spesso le farmacie erano luoghi dove si svolgevano riunioni segrete e si “cospirava” .E in tanti vi misero in gioco e persero la loro stessa vita.
Infine, Leonardo Sciascia, riuscì a caratterizzarne la figura in un racconto, poi sceneggiato da Andrea Camilleri per la regia di Pino Passalacqua ed interpretato da Domenico Modugno, Sergio Castellitto e Gabriella Saitta. Il titolo, dall'omonimo testo, era “Western di Cose Nostre” ( http://www.comune.comitini.ag.it/film.asp  ).
Leggere, quindi, simili castronerie (mi si conceda l'eufemismo) da parte del professor Zingales, insignito nel 2012 dalla rivista “Foreign Policy” come uno dei cento pensatori più influenti al mondo, unico italiano oltre al Presidente della BCE Mario Draghi, rende particolarmente lecita la mia diffidenza e il sospetto che le onorificenze vengano distribuite, talvolta, come medaglie al valore in un campo di battaglia, per il solo merito di aver salvato la pelle a discapito della verità!

Raffaele Siniscalchi

Raffaele Siniscalchi è figlio di insegnanti elementari. Eclettico e autodidatta con molteplici interessi, coltiva l'hobby della fotografia e la passione per moto e motori. Come ripiego dall'esclusione nel concorso in Aeronautica Militare, si iscrive alla Facoltà di Farmacia (Università degli Studi di Camerino), dove si laurea nel 1989. Direttore e poi titolare di farmacia dal 1991 in un piccolo paese garganico in prossimità del Lago di Varano.




sabato 20 aprile 2013


Italiani, attenti a Grillo!


Italiani, attenti a Grillo!  Non è vero, come diceva Marx,  che  la storia tende a ripetersi sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Leggere (sotto) per credere...  La situazione non è la stessa del 1922,   ma  il   metodo e   i contenuti  dei due  appelli,  rivolti  contro  rappresentanti dei cittadini  liberamente eletti,   sembrano  essere molto simili...   Italiani,  attenti a Grillo!  (C.G.) 


27 ottobre 1922
Fascisti Italiani! L’ora della battaglia decisiva è suonata (…): oggi l’esercito delle Camicie Nere riafferra la vittoria mutilata e, puntando disperatamente su Roma, la riconduce alla gloria del Campidoglio (..). L’esercitò riserva e salvaguardia della nazione, non deve partecipare alla lotta. Il fascismo rinnova la sua altissima ammirazione per l’esercito di Vittorio Veneto. Né contro gli agenti della forza pubblica marcia il fascismo, ma contro una classe politica di imbelli e di deficienti che in quattro lunghi anni non ha saputo dare un governo alla nazione (…). Il fascismo snuda la sua spada per tagliare i troppi nodi di Gordio che irretiscono e intristiscono la vita italiana. Chiamiamo Iddio sommo e lo spirito dei nostri cinquecentomila morti a testimoni che un solo impulso ci spinge, una sola volontà ci raccoglie, una passione sola ci infiamma: contribuire alla salvezza e alla grandezza della patria
Fascisti di tutta Italia! Tendete romanamente gli spiriti e le forze. Bisogna vincere. Vinceremo. Viva l’Italia! Viva il fascismo.
IL QUADRUMVIRATO   -  27 ottobre 1922

Opera Omnia di Benito Mussolini, a cura di Edoardo e Duilio Susmel, vol. XVIII, La Fenice, Firenze, 1956, pp. 462-463.


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20 aprile 2013
Ci sono momenti decisivi nella storia di una Nazione. Oggi, 20 aprile 2013, è uno di quelli. È in atto un colpo di Stato (…). Il M5s da solo non può però cambiare il Paese. È necessaria una mobilitazione popolare. Io sto andando a Roma in camper (...).  Sarò davanti a Montecitorio stasera. Rimarrò per tutto il tempo necessario. Dobbiamo essere milioni. Non lasciatemi solo o con quattro gatti. Di più non posso fare. Qui o si fa la democrazia o si muore come Paese (…).  Pur di impedire un cambiamento sono disposti a tutto. Sono disperati. Quattro persone: Napolitano, Bersani, Berlusconi e Monti si sono incontrate in un salotto e hanno deciso di mantenere Napolitano al Quirinale, di nominare Amato presidente del Consiglio, di applicare come programma di Governo il documento dei dieci saggi di area Pdl/Pd che tra i suoi punti ha la mordacchia alla magistratura e il mantenimento del finanziamento pubblico ai partiti (…). Nel Dopoguerra, anche nei momenti più oscuri della Repubblica, non c'è mai stata una contrapposizione così netta, così spudorata tra Palazzo e cittadini (…).  Rodotà è la speranza di una nuova Italia, ma è sopra le parti, incorruttibile. Quindi pericoloso. Quindi non votabile. Il MoVimento 5 Stelle ha aperto gli occhi ormai anche ai ciechi sull'inciucio ventennale dei partiti.

Dal blog di Beppe Grillo – 20-4-2013 



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L’affondamento di Romano Prodi

Bersani e Prodi ora non ridono più....



Con l'affondamento della candidatura  Prodi è venuto meno  il piano bersaniano  di condizionare  dall' esterno  il  movimento di Grillo e Casaleggio   Ieri sera,  Bersani  ha addirittura annunciato le dimissioni (sempre che non si tratti di "contromossa").  Ora che succederà? Probabilmente si sta andando verso un testa a testa tra un candidato condiviso da Pdl, Scelta Civica e quel che resta del Pd,  ritornato secondo la destra a più miti consigli, e Stefano Rodotà,  il “prescelto” , lanciato on line  da Cinque Stelle.   Indubbiamente,   Grillo sta rivelando notevoli capacità politiche,  benché, per ora,  solo nel dividere gli avversari.  
Ai due candidati,   gli  schieramenti -     in via  di allineamento -   non potranno non attribuire ,  come impone la  retorica politica,  gli stessi valori di rappresentatività, serietà, onestà, eccetera. Tuttavia  il candidato, su cui convergeranno i voti di Berlusconi,  sarà  subito retrocesso dai sostenitori  di Rodotà, tra i quali c'è di nuovo Sel,   a mosca cocchiera del Cavaliere.   Di qui,  il pericolo  o l'auspicio (secondo lo schieramento)  che i grandi elettori  del  Pd,   già divisi, possano nell’urna  non votarlo,  o magari puntare  sull  ex Garante della Privacy,  arruolato,  bon gré mal gré , come  "grillino"   di complemento.   Perciò resta difficile fare quasiasi previsione.  Tutto può  accadere. 
Considerazione generale, metapolitica se si vuole.
Le  elezioni presidenziali  stanno provando, ancora una volta, come l’antiberlusconismo, e in genere  la politica costruita sull’ “antismo”, praticata anche dalla destra ovviamente ( se non iniziata),  stia rendendo l’Italia ingovernabile e  prigioniera  di un estremismo politico, di cui Grillo in particolare sembra essere  profeta e beneficiario al tempo stesso.
Che cosa intendiamo per antismo? Porre l' accento sul prefisso “anti”, sostantivandolo, aiuta concettualmente a circoscrivere una concezione del mondo “chiusa” se non totalitaria. Per farla breve: l'  “antista ” (da "anti")   è   radicalmente contrario alla concezione che reputa opposta alla sua. Che subito  viene però difesa, con altrettanta violenza,  da chi subisce l'attacco. E così via, lungo una spirale segnata dal crescente odio reciproco e dalle controversie,  come provano  le presidenziali italiane, sul  grado di  purezza  dell'antismo  professato ("io lo sono più di te", eccetera, eccetera) e non sui problemi veri.   Il che implica, sul piano della cultura politica,  la fine di ogni libero dibattito e il  dissolvimento di qualsiasi idea di  bene comune..

Insomma, l’ “antismo”  potrebbe portare l’Italia alla rovina.

Carlo Gambescia