Il libro della settimana: Luciano
Pellicani, Anatomia dell’anticapitalismo, Rubbettino 2010, euro 20,00 .
http://www.rubbettino.it/rubbettino/public/home_re.jsp |
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Luciano Pellicani è un bravissimo capitano
di lungo corso, capace di navigare, come pochi in Italia, nei mari tempestosi
della sociologia storica comparata. I suoi libri hanno solcato gli oceani della
rivoluzione, della modernizzazione, del totalitarismo, sempre con taglio
originale e conoscenza di autori poco frequentati qui da noi.
Ora è giunto il turno dell’anticapitalismo. Argomento al quale Pellicani ha
dedicato un succoso libro: Anatomia
dell’anticapitalismo (Rubbettino, Soveria Mannelli 2010, euro
20,00). La base teorica del lavoro rinvia decisamente ai suoi precedenti studi
sullo gnosticismo politico. Tradotto: sui « rivoluzionari di professione»,
quali portatori di un sapere eversivo, rivolto a costruire l’uomo perfetto. Ma
come? Se serve, anche attraverso un catartico bagno di sangue… E tra le
istituzioni da abbattere, per lo gnosticismo anticapitalista, c’è la Mammona del Nuovo Testamento,
reincarnatasi nel capitalismo.
Pellicani individua un filo rosso che dal cristianesimo pauperista giunge ai
totalitarismi novecenteschi e al noglobalismo radicale. Perciò quel che scrive
a proposto del comunismo può valere per tutto l’anticapitalismo. Si tratta,
nota Pellicani di «una guerra permanente basata sull’alchimistica idea che lo
sradicamento dello scambio avrebbe rigenerato la natura umana, corrotta dalla
maligna istituzione - la proprietà privata - che disintegrando l’Unità
originaria, aveva scatenato il bellum omnium contra omnes. Detto con il lessico
di Kant, distruggendo il capitalismo, i bolscevichi erano ciecamente convinti
che sarebbero riusciti a raddrizzare il “legno storto dell’umanità” ».
In questo senso l’anticapitalismo è un rifiuto dell’ uomo così com’è, con le
sue debolezze. Al quale, come sottolinea Pellicani, si continua a opporre
l’uomo nuovo perfetto, «che verrà», una volta eliminati scambi commerciali ed
economia privata. Siamo perciò davanti a una pericolosa utopia.
Il libro è ricco di analisi circostanziate. Pellicani, con il piglio che gli è
proprio, smantella autori e luoghi comuni. Come quello ad esempio di porre alle
origini del capitalismo il cristianesimo, oppure, con buona pace di Weber,
puritanesimo e calvinismo. E così una dopo l’altra, cadono le teste di Padri e
Dottori della Chiesa, di accesi Riformatori, dell’autarchico Rousseau, il padre
del moderno anticapitalismo. E poi di Marx, Engels, Lenin, Adorno, Horkheimer,
Marcuse e altri ancora.
Tutto ciò però non implica la difesa d’ufficio del capitalismo puro. A tale
proposito Pellicani traccia un realistico ritratto di Hayek, evidenziane la
contraddizione di fondo: «Tutta la sua macchina argomentativa è finalizzata a
dimostrare che è imperativo compiere una scelta secca: “O il mercato (e la
libertà) o la giustizia sociale; o la giustizia sociale o il mercato (e la
libertà) tertium non datur ”.
Ma poi, quasi spaventato dal suo radicalismo, Hayek si dice favorevole alla
protezione di coloro che per cause oggettive, non hanno alcuna capacità di
mercato. E chi mai dovrebbe provvedere a tale protezione, se non lo Stato? Il
quale evidentemente, non può limitarsi a stabilire le regole del gioco che si
svolge sul mercato e a farle rispettare. Deve farsi carico di una funzione di
natura essenzialmente etica: quella, per l’ appunto, di proteggere con azioni
positive, i deboli e gli indifesi. Il che dimostra che non è lecito
identificare la società civile con il mercato”. Occorre perciò, conclude
Pellicani, evitare di contraddirsi come Hayek. Ma in che modo? Privilegiando
“un principio che trascende la sfera economica in quanto proclama che tutti gli
individui (…) devono essere trattati come fini e non come semplici mezzi e che
di conseguenza, essi non possono essere oggetto di compravendita». Principio
che Pellicani vede storicamente incarnato nel «compromesso socialdemocratico»,
cui è dedicato l’ultimo capitolo del libro. Ma questa è un’altra storia.
Carlo Gambescia
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