La "mini
indennità" di disoccupazione ai lavoratori precari
Una presa in giro
Chi ricorda la “mini indennità” di disoccupazione
introdotta dal governo nel gennaio scorso a sostegno dei lavoratori precari? Il provvedimento stabiliva, in via sperimentale, il riconoscimento per il 2009
di una somma una tantum pari al 20% del reddito percepito nel 2008 ai
collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co.) e ai collaboratori a
progetto (co.co.pro.). Condizionandolo ai seguenti requisiti: dipendenza da un
solo datore di lavoro; iscrizione alla gestione previdenziale per i
parasubordinati che abbiano determinati requisiti; mensilità contributive, per
il 2008 fra le 3 e le 10, più almeno altre 3 per 2009; reddito 2008 compreso
tra 5 mila e 13.819 euro.
L'indennità per la quale sono stati stanziati 70 milioni
di euro per il trienno 2009-2001, grosso modo può oscillare tra mille e 2.763
euro: nulla di risolutivo, insomma. Tuttavia per accedere a questo "meglio
che niente", i precari con rapporto lavorativo cessato prima del 30 maggio
scorso dovevano presentare domanda all'Inps entro il 30 giugno. Mentre per i
rapporti lavorativi finiti dopo il 30 maggio, il “precario” entro un mese di
tempo dalla cessazione del rapporto.
Allora, stando a quel che riferiva ieri un trafiletto del Corriere della
Sera, ( http://www.corriere.it/economia/09_luglio_02/precari_sussidi_f81880ec-66c7-11de-9708-00144f02aabc.shtml ), finora sarebbero pervenute solo 1.800 domande “ rispetto a una platea di
potenziali interessati quantificata per esempio dall'Adapt (Fondazione Marco
Biagi) in 75 mila collaboratori, cioè il 10% del totale” . Perché?
Probabilmente la causa del fallimento è legata alla scarsa informazione, connessa a sua volta, al deficit di “sindacalizzazione” del lavoro precario. Infatti, teoricamente, due potevano essere i canali informativi: quello pubblico e quello sindacale. Andava invece data per scontata l'assenza di qualsiasi opera di informazione da parte delle aziende. Di regola, non interessate a favorire la documentazione del lavoratore, soprattutto quando manca, come in questo caso, un ritorno economico immediato (in genere fiscale).
Bene, anzi male, perché il Ministero del Lavoro ha praticamente “silenziato” il provvedimento. A parte forse l’ ”emissione” di qualche spot televisivo in febbraio, a scopo celebrativo circa la presunta natura sociale del governo di centrodestra... Spot di certo sfuggiti, al co.co.co e al co.co.pro, prigionieri di orari di lavoro stressanti, e perciò facili prede del sonno, soprattutto davanti alla tv…
Quanto al sindacato, il vero punto della questione, come accennato, è quello della bassa sindacalizzazione di questo genere di lavoratore precario: di regola timoroso di mettersi in “cattiva luce”, iscrivendosi e praticando il sindacato, con un datore di lavoro che lo tiene in pugno. Di qui la difficoltà da parte del sindacato di raggiungere sul piano informativo un lavoratore che quasi si nasconde nel timore di perdere il posto di lavoro e/o di essere riassunto in futuro. Una difficoltà che al sindacato non poteva non essere nota .
Probabilmente la causa del fallimento è legata alla scarsa informazione, connessa a sua volta, al deficit di “sindacalizzazione” del lavoro precario. Infatti, teoricamente, due potevano essere i canali informativi: quello pubblico e quello sindacale. Andava invece data per scontata l'assenza di qualsiasi opera di informazione da parte delle aziende. Di regola, non interessate a favorire la documentazione del lavoratore, soprattutto quando manca, come in questo caso, un ritorno economico immediato (in genere fiscale).
Bene, anzi male, perché il Ministero del Lavoro ha praticamente “silenziato” il provvedimento. A parte forse l’ ”emissione” di qualche spot televisivo in febbraio, a scopo celebrativo circa la presunta natura sociale del governo di centrodestra... Spot di certo sfuggiti, al co.co.co e al co.co.pro, prigionieri di orari di lavoro stressanti, e perciò facili prede del sonno, soprattutto davanti alla tv…
Quanto al sindacato, il vero punto della questione, come accennato, è quello della bassa sindacalizzazione di questo genere di lavoratore precario: di regola timoroso di mettersi in “cattiva luce”, iscrivendosi e praticando il sindacato, con un datore di lavoro che lo tiene in pugno. Di qui la difficoltà da parte del sindacato di raggiungere sul piano informativo un lavoratore che quasi si nasconde nel timore di perdere il posto di lavoro e/o di essere riassunto in futuro. Una difficoltà che al sindacato non poteva non essere nota .
Insomma una presa in giro.
Italia 2009, Anno Secondo del Quarto Governo Berlusconi.
Che vede al Ministero del Lavoro un ex socialista. E sindacati che si
comportano da ex sindacati. Che tristezza.
Carlo Gambescia
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