Il libro della settimana: Sergio
Ristuccia, Costruire
le istituzioni della democrazia. La lezione di Adriano Olivetti, Marsilio, Venezia 2009, pp. 464, euro
35,00.
http://www.marsilioeditori.it/libri/scheda-libro/3179670/costruire-le-istituzioni-della-democrazia |
Ci sono testi così densi e ricchi di idee che una volta chiusi, dispiace averli
finiti. E si desidera subito riaprirli, per scoprire qualche particolare prima
sfuggito, e così godersi la riscoperta. E di nuovo il libro.
Tra questi dobbiamo collocare al posto d'onore, Sergio Ristuccia, Costruire
le istituzioni della democrazia. La lezione di Adriano Olivetti, Marsilio,
Venezia 2009, pp. 463, euro 35,00. Perché si tratta del miglior lavoro uscito a
tutt’oggi su Adriano Olivetti.
Sergio Ristuccia, presidente del Consiglio italiano per le Scienze Sociali, già segretario generale della Fondazione Olivetti, traccia un vigoroso e accurato ritratto intellettuale dell'imprenditore, editore, politico e quant'altro, nato a Ivrea nel 1901. Il cui pensiero, a suo avviso, ruota intorno a tre punti fermi.
Primo. L’idea che la politica sia fatta dalle persone e per le persone.
Secondo. L’idea che i politici eletti debbano esprimere due istanze: quella comunitaria (della comunità che li elegge) e quella delle competenze professionali (come valore da "aggiungere" e non da "sottrarre" alla comunità).
Terzo. L’idea che lo stato non sia una comunità isolata, ma una comunità di comunità. Di qui la sua scelta federalista, e negli ultimi anni della sua non lunga vita ( Olivetti morì improvvisamente a 59 anni), quella di scendere in campo, anche elettoralmente, con il Movimento Politico Comunità.
Scrive Ristuccia:
Sergio Ristuccia, presidente del Consiglio italiano per le Scienze Sociali, già segretario generale della Fondazione Olivetti, traccia un vigoroso e accurato ritratto intellettuale dell'imprenditore, editore, politico e quant'altro, nato a Ivrea nel 1901. Il cui pensiero, a suo avviso, ruota intorno a tre punti fermi.
Primo. L’idea che la politica sia fatta dalle persone e per le persone.
Secondo. L’idea che i politici eletti debbano esprimere due istanze: quella comunitaria (della comunità che li elegge) e quella delle competenze professionali (come valore da "aggiungere" e non da "sottrarre" alla comunità).
Terzo. L’idea che lo stato non sia una comunità isolata, ma una comunità di comunità. Di qui la sua scelta federalista, e negli ultimi anni della sua non lunga vita ( Olivetti morì improvvisamente a 59 anni), quella di scendere in campo, anche elettoralmente, con il Movimento Politico Comunità.
Scrive Ristuccia:
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“Proviamo ora a mettere insieme i due
modi di pensare ad Adriano Olivetti che si sono andati affermando: il grande
imprenditore, morto prematuramente prima che la sua opera si consolidasse
pienamente: e il politico che, per essere un riformista rigoroso ma inascoltato
dai riformisti di cultura tradizionale, apparve velleitario ed utopista. Nel
mettere insieme questi due modi di pensare, che poi significa mettere insieme
ed in connessione quelle che, se vogliamo, sono le due anime di Olivetti,
troviamo in realtà il cuore, il significato profondo della sua lezione
politica. Per oggi e per domani” (pp.438-439).
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Un altro merito del libro è quello di un' accurata e
appassionata esegesi dell' opera principale di Olivetti, L’ordine politico
della comunità, testo scritto negli anni della guerra e uscito nel 1945
(sottotitolo: "Le garanzie di libertà in uno stato socialista"). Che
racchiudeva un grande progetto di Repubblica Federale, aperta però al
decentramento regionale. E perciò appositamente pensato - a differenza di quel
che accadrà dopo - per togliere potere ai grandi partiti nazionali e conferirlo
alle comunità locali e di lavoro. Un disegno assolutamente in linea con quel
socialismo democratico, riformista e solidarista nel quale l'impreditore
canavese credeva.
Grazie al libro di Ristuccia si scopre la sincera essenza comunitarista del pensiero di Olivetti. In questo senso - ma la nostra è un' intuzione da approfondire - il socialismo olivettiano andrebbe teoricamente avvicinato, pur nella diversità di intenti, a quello di Tönnies, uno dei padri della sociologia moderna ; ma questa è un'altra storia...
Grazie al libro di Ristuccia si scopre la sincera essenza comunitarista del pensiero di Olivetti. In questo senso - ma la nostra è un' intuzione da approfondire - il socialismo olivettiano andrebbe teoricamente avvicinato, pur nella diversità di intenti, a quello di Tönnies, uno dei padri della sociologia moderna ; ma questa è un'altra storia...
Resta infine il fatto che Olivetti non si stancò mai di
parlare di “comunità concrete”: le sole capaci di creare quel “superiore interesse
concreto”, teso a comporre i conflitti e ad affratellare gli uomini; procedendo
dal basso verso l’alto: dal comune al governo federale, passando per le regioni
e le "comunità" ( da lui suddivise in amministrative, industriali,
agricole e miste).
Olivetti scorgeva nell'idea di comunità non il retaggio di balorde ideologie etniciste, ma una sfera aperta al “dominio dell’uomo”. La “regione” notava "è controllabile soltanto con il mezzo di un autoveicolo, lo Stato col mezzo di un aereo o di una ferrovia. Unica, completamente umana, è solamentela Comunità ”, che, lasciava
capire, si può percorrere a piedi, magari in gruppo, cantando o conversando...
Va però anche ricordato, seguendo il giudizio di Franco Ferrarotti, all’epoca vicinissimo a Olivetti, che l’approccio "culturologico" alla politica dell’imprenditore piemontese, era troppo alto, soprattutto nel senso di una sua eccessiva fiducia nel potere della parola scritta (si veda F. Ferrarotti, Pane e lavoro! Memorie dell’Outsider, Guerrini e Associati 2004).
Di qui certo neo-illuminismo olivettiano, in buonissima fede, ma troppo sicuro di sé e della possibilità di poter riformare l’Italia, mutandone a tavolino le istituzioni... Il che - ripetiamo - nulla toglie al valore intellettuale e umano del pensiero di Olivetti. E soprattutto al bel testo di Ristuccia.
Anche perché un altro imprenditore molto meno idealista, quarant’anni dopo riuscirà sul serio a cambiare l’Italia.
In peggio però.
Olivetti scorgeva nell'idea di comunità non il retaggio di balorde ideologie etniciste, ma una sfera aperta al “dominio dell’uomo”. La “regione” notava "è controllabile soltanto con il mezzo di un autoveicolo, lo Stato col mezzo di un aereo o di una ferrovia. Unica, completamente umana, è solamente
Va però anche ricordato, seguendo il giudizio di Franco Ferrarotti, all’epoca vicinissimo a Olivetti, che l’approccio "culturologico" alla politica dell’imprenditore piemontese, era troppo alto, soprattutto nel senso di una sua eccessiva fiducia nel potere della parola scritta (si veda F. Ferrarotti, Pane e lavoro! Memorie dell’Outsider, Guerrini e Associati 2004).
Di qui certo neo-illuminismo olivettiano, in buonissima fede, ma troppo sicuro di sé e della possibilità di poter riformare l’Italia, mutandone a tavolino le istituzioni... Il che - ripetiamo - nulla toglie al valore intellettuale e umano del pensiero di Olivetti. E soprattutto al bel testo di Ristuccia.
Anche perché un altro imprenditore molto meno idealista, quarant’anni dopo riuscirà sul serio a cambiare l’Italia.
In peggio però.
Carlo Gambescia
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